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TEMPO DI ... INTERVISTE è lo spazio riservato a personaggi del nostro territorio, che hanno vissuto esperienze di vita degne di essere raccontate e commentate in maniera ancora più approfondita. L'intervista è un incontro speciale tra colui che fa le domande e colui che risponde. Sempre un incontro, mai uno scontro. L'intervistato è sicuramente un generoso perchè regala un pò di se stesso all'intervistatore. Sembrerebbe un qualcosa di facile, ma non lo è affatto. L'intervista appartiene all'intervistato, che con la complicità dell'intervistatore ha un solo obiettivo: rendere questo dialogo memorabile.
TEMPO DI ... INTERVISTE
DON SALVATORE NESTOLA (sacerdote) luglio 2013
RITA DE VITO (dirigente scolastico) novembre 2013
MATTIA IACONISI (MANOINO associazione culturale) agosto 2016
IRIS RIZZELLO (Giornata Mondiale della Gioventù Cracovia) settembre 2016
LEONARDO (Camposcuola 2017) aprile 2017
NICOLE (Camposcuola 2017) aprile 2017
PAOLO GRECO (Giorno della Cresima) giugno 2017
TONY l'artista (tra pittura e musica) ottobre 2017
GIANMARCO BALDI (Cammino di Santiago) dicembre 2017
MANSOUR NDIAYE - in arte NANDO (Parlando d'Africa) novembre 2018
CELESTINO DE GABRIELE (scultore poliedrico) luglio 2019
ALESSANDRA FERRARI (insegnante di ballo) agosto 2019
ANGELA COSI (arpista salentina) novembre 2019
MASSIMO ALBERTI (soccorritore - esecutore) maggio 2020
LUIGI MARIANO (cantautore salentino) novembre 2020
RITA DE VITO (dirigente scolastico) novembre 2013
MATTIA IACONISI (MANOINO associazione culturale) agosto 2016
IRIS RIZZELLO (Giornata Mondiale della Gioventù Cracovia) settembre 2016
LEONARDO (Camposcuola 2017) aprile 2017
NICOLE (Camposcuola 2017) aprile 2017
PAOLO GRECO (Giorno della Cresima) giugno 2017
TONY l'artista (tra pittura e musica) ottobre 2017
GIANMARCO BALDI (Cammino di Santiago) dicembre 2017
MANSOUR NDIAYE - in arte NANDO (Parlando d'Africa) novembre 2018
CELESTINO DE GABRIELE (scultore poliedrico) luglio 2019
ALESSANDRA FERRARI (insegnante di ballo) agosto 2019
ANGELA COSI (arpista salentina) novembre 2019
MASSIMO ALBERTI (soccorritore - esecutore) maggio 2020
LUIGI MARIANO (cantautore salentino) novembre 2020
L'INTERVISTA: LUIGI MARIANO
a cura di Alessio Peluso
“In realtà il severo paesaggio della Puglia è in queste distese di mastodontici ulivi, in questi tappeti a non finire di viti basse, che si tengon ritte da sé. E non c’è minor fascino, per chi lo sa sentire, in tale elementarietà di paesaggio, che nei menhir, nei dolmen, nei trulli…” E a rendere ulteriore omaggio alle considerazioni di Cesare Brandi, storico e critico d’arte del ‘900, vi è la musica d’autore, frutto di un lavoro quotidiano, di passione, di predisposizione dell’animo a lasciarsi trasportare non solo dalle onde sonore, ma dalla musicalità stessa delle parole. Potremmo riassumere la nostra digressione in unico nome: Luigi Mariano, cantautore classe 1973 ed originario di Galatone.
- Finalmente Luigi, oserei dire! Seguo da anni i tuoi trascorsi musicali e sono onorato di accoglierti nella grande famiglia di ECCLESIA.
- Grazie a voi! Ho accettato con grande piacere il vostro invito.
- Tutto ha un inizio: papà Salvatore appassionato di musica classica, la madre Giuliana di musica d’autore. Un mix esplosivo che ti ha influenzato, non poco, sin da bambino…
- È vero, sono stato fortunato. I miei nutrivano un’enorme attrazione per la musica, ma direi per l’arte in genere, soprattutto mia madre, appassionata di pittura e scultura. Erano entrambi persone curiose, che amavano viaggiare e scoprire. Lo spirito di mio padre era quello di un ragazzo assetato di avventura, anche se per lui la musica era soprattutto l’opera di Puccini, l’operetta e le antiche canzoni anni ‘40, ‘50 e ‘60. Mia madre invece era una grande ascoltatrice dei cantautori. E mi ha da subito inculcato la sacralità dei testi delle canzoni, da lei spesso paragonati ad autentiche poesie. Credo che la scintilla primordiale, per me, sia partita da lì.
- Ma per completare la composizione familiare, come non citare lo zio Vittorio, le sue prime nozioni e un armonium anni ’60. Cosa suscita in te a distanza di anni, il ricordo di quello strumento?
- Ogni domenica ci recavamo a Nardò, a casa della nonna Maria, dove viveva lo zio Vittorio, rimasto celibe. D’estate lo zio mi regalava qualche lezione teorica di pentagramma. E d’inverno suonava un armonium anni ‘60. Dopo pranzo mi avvicinavo a quello strumento, mettendoci ogni tanto le mani, per sperimentare un’emozione nuova, imparando a suonare ad orecchio con la sola mano destra, a soli dieci anni. Il fascino non era legato tanto all’armonium in sé, quanto al mistero in codice che sembrava celarsi dietro la disposizione di quei tasti bianchi e neri. E pensare che, dopo quarant’anni, continuano ancora a suscitare in me sensazioni magiche e indescrivibili. In seguito ho trasferito tutta la passione sulla tastiera e infine, all’amato pianoforte. Il piano è tuttora il mio strumento del cuore.
- Racconti, ma anche poesie. Una di esse “Una volta soltanto” è musicata da Andrea Baccassino. È un imput decisivo che apre le porte dell’ispirazione e dà il via alle prime esibizioni live con gli “Heaven’s door”.
- A fronte di un’infanzia grandiosa, ho purtroppo vissuto un’adolescenza molto dura: vari problemi familiari hanno dilaniato la serenità della famiglia, soprattutto di mia madre. Questo mi indusse a richiudermi molto su me stesso.
Mi rifugiavo nella lettura dei romanzi e a un certo punto ho anche iniziato a scrivere racconti, in modo ossessivo. Fino a che un giorno, a diciassette anni, rifiutato da una ragazza che amavo, scrissi una poesia per lei. Non l’avevo mai fatto e decisi di farla leggere a un compagno di liceo, Andrea Baccassino, già all’epoca musicista e scrittore di commedie. Andrea la musicò e io ne restai così avvinto da volerla a tutti i costi imparare a suonare, per entusiasmo ed orgoglio. Appresi accordi e scale in pochissimo tempo, quasi da solo, esercitandomi per mesi e mesi, tante ore al giorno. Fino a che non fui assoldato come tastierista e seconda voce negli “Heaven’s Door”, il gruppo musicale di mio cugino. Avevo diciott’anni.
- Gli studi ti porteranno lontano dal Salento, destinazione Roma. È qui che Massimo Bubola, protagonista in due album di De Andrè nota il tuo talento. E lo fa presente con una telefonata che non puoi dimenticare…
- Arrivai a Roma a diciannove anni per studiare Medicina, in modo intenso, metodico e con grandi risultati. Nella mia mente pensavo di emulare il percorso di Jannacci. Ma quando, verso i venticinque anni, persi di colpo l’entusiasmo, capii che non era la mia strada: rappresentava solo un modo un po’ masochista e tenero di rendere felici i miei. La musica nel frattempo non aveva mai abbandonato i miei pensieri, per cui spedii in giro i provini delle mie canzoni. Massimo Bubola, che viveva a Verona, ricevette il mio pacchetto e mi telefonò subito. Mi riempì di complimenti inattesi e si arrischiò addirittura a definirmi tra i giovani più bravi che avesse mai incontrato in quegli anni.
- Tra le maggiori influenze musicali Bruce Springsteen. E nel 2010, dopo un lungo riadattamento viene fuori “For you 2 – a tribute to Bruce Springsteen”.
- Bruce è stato uno dei miei idoli adolescenziali, nella seconda metà degli anni ‘80. Mai avrei creduto che, dopo una lunga pausa che mi ero preso da lui e dalla sua musica, tornasse poi prepotentemente a rappresentare per me così tanto, dagli anni 2000 in poi. Ma i suoi valori legati all’amicizia fraterna, alla fiducia dopo ogni caduta, alle radici familiari e al credere profondamente in sé stessi, hanno contribuito quasi a salvarmi dal rischio di una brutta depressione, nel momento in cui ho lasciato gli studi.
A quel punto ho iniziato ad adattare in italiano moltissime sue canzoni e a cantarle dal vivo, perché mi infondevano forza. “For you 2 – a tribute to Bruce Springsteen”, contiene la voce di molti artisti italiani e stranieri, tra cui i Modena City Ramblers e Daniele Groff.
- Nello stesso anno nasce “Asincrono”, il tuo vero primo album. Tra ironia, leggerezza ed intimità, che ad esempio possiamo scorgere all’interno di “Edoardo” …
- Quel mio primo disco, molto frizzante e variegato per tematiche e generi musicali, arrivava dopo quasi vent’anni di scrittura di canzoni. Negli anni 2000 iniziai timidamente a uscire allo scoperto, partecipando ad alcuni concorsi musicali e iniziando ad esibirmi a Roma, soprattutto dal 2003 in poi, nei cui club e locali divenni molto amico di Simone Cristicchi e Pippo Pollina. “Asincrono” uscì in autoproduzione, senza un’etichetta discografica e senza ufficio stampa. Eppure ricevette un’inattesa pioggia di consensi, su quotidiani e riviste nazionali, oltre a menzioni assai generose di vari personaggi dell’ambiente (Morandi, Cristicchi, Marcorè), e varie ospitate in studio a Radio Rai (da Fiorello, Cuccarini, Nino Frassica). Arrivarono poi anche prestigiosi riconoscimenti, specie per la canzone “Edoardo”, premiata col Premio Daolio 2010 e il Premio Bindi 2011. Tuttora resta il brano più amato dal pubblico.
- Nel 2016 nasce “Canzoni all’angolo”. Un disco graffiante, dove spiccano collaborazioni importanti: da Mino De Santis a Simone Cristicchi, passando per Neri Marcorè…
- Il secondo disco arrivò dopo un periodo difficilissimo. Avevo perso la mia zia più cara nel 2013 e mio padre nel 2014. Nel 2015 la botta finale: mia madre aveva scoperto una cirrosi avanzata, con aspettativa di vita di appena due anni. Tutti questi sconvolgimenti personali mi avevano travolto e indotto a lasciare Roma, città in cui vivevo da 21 anni. Nel 2016, in un periodo di momentanea serenità, riuscii a tornare però a Roma per sei mesi e incisi il disco “Canzoni all’angolo”. Brani come “Mille bombe atomiche”, “Quello che non serve più”, “Se ne vanno” e “L’ora di andar via” risentono un po’ del duro periodo personale che avevo vissuto e stavo vivendo (persi mia madre l’anno successivo). Stavolta però, a livello discografico, non ero più solo: c’era con me Pierre Ruiz, amico e mecenate della musica, che aveva fondato da pochi anni l’etichetta discografica Esordisco. Il disco uscì grazie al suo generoso supporto economico. L’intervento di amici e ospiti come Neri Marcorè, Simone Cristicchi e Mino De Santis, lo rendono davvero speciale. Il disco ha anche ricevuto il Premio Lunezia doc 2016 e il Premio Civilia Zingari Felici 2017. Credo mi rispecchi molto.
- Ed ora il presente: dopo tante date in giro per l’Italia, numerosi premi ed attestati raccolti, inizia a far capolino l’idea di un nuovo album?
- Non ancora in modo chiaro, ma nella mia testa è uno dei prossimi obiettivi. Ho molte nuove canzoni da parte e altre ne ho da scrivere nei prossimi mesi. Ho anche molti brani, per me più che validi, forzatamente scartati dai due dischi precedenti, per pure ragioni di spazio.
Al momento ho necessità di rimettere assieme alcuni tasselli del mio percorso, sia emotivo che artistico, dopo l’improvvisa e tragica morte, ad agosto, del mio amico e discografico Pierre Ruiz. È stato un evento che mi ha scioccato. Era un uomo meraviglioso, pieno di un entusiasmo travolgente per l’arte e la musica.
- Grazie Luigi di essere stato con noi! Come redazione ed appassionati di musica continueremo a seguire il tuo percorso artistico con grande interesse.
- Grazie a voi per la disponibilità. Un saluto affettuoso a tutti i lettori!
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
“In realtà il severo paesaggio della Puglia è in queste distese di mastodontici ulivi, in questi tappeti a non finire di viti basse, che si tengon ritte da sé. E non c’è minor fascino, per chi lo sa sentire, in tale elementarietà di paesaggio, che nei menhir, nei dolmen, nei trulli…” E a rendere ulteriore omaggio alle considerazioni di Cesare Brandi, storico e critico d’arte del ‘900, vi è la musica d’autore, frutto di un lavoro quotidiano, di passione, di predisposizione dell’animo a lasciarsi trasportare non solo dalle onde sonore, ma dalla musicalità stessa delle parole. Potremmo riassumere la nostra digressione in unico nome: Luigi Mariano, cantautore classe 1973 ed originario di Galatone.
- Finalmente Luigi, oserei dire! Seguo da anni i tuoi trascorsi musicali e sono onorato di accoglierti nella grande famiglia di ECCLESIA.
- Grazie a voi! Ho accettato con grande piacere il vostro invito.
- Tutto ha un inizio: papà Salvatore appassionato di musica classica, la madre Giuliana di musica d’autore. Un mix esplosivo che ti ha influenzato, non poco, sin da bambino…
- È vero, sono stato fortunato. I miei nutrivano un’enorme attrazione per la musica, ma direi per l’arte in genere, soprattutto mia madre, appassionata di pittura e scultura. Erano entrambi persone curiose, che amavano viaggiare e scoprire. Lo spirito di mio padre era quello di un ragazzo assetato di avventura, anche se per lui la musica era soprattutto l’opera di Puccini, l’operetta e le antiche canzoni anni ‘40, ‘50 e ‘60. Mia madre invece era una grande ascoltatrice dei cantautori. E mi ha da subito inculcato la sacralità dei testi delle canzoni, da lei spesso paragonati ad autentiche poesie. Credo che la scintilla primordiale, per me, sia partita da lì.
- Ma per completare la composizione familiare, come non citare lo zio Vittorio, le sue prime nozioni e un armonium anni ’60. Cosa suscita in te a distanza di anni, il ricordo di quello strumento?
- Ogni domenica ci recavamo a Nardò, a casa della nonna Maria, dove viveva lo zio Vittorio, rimasto celibe. D’estate lo zio mi regalava qualche lezione teorica di pentagramma. E d’inverno suonava un armonium anni ‘60. Dopo pranzo mi avvicinavo a quello strumento, mettendoci ogni tanto le mani, per sperimentare un’emozione nuova, imparando a suonare ad orecchio con la sola mano destra, a soli dieci anni. Il fascino non era legato tanto all’armonium in sé, quanto al mistero in codice che sembrava celarsi dietro la disposizione di quei tasti bianchi e neri. E pensare che, dopo quarant’anni, continuano ancora a suscitare in me sensazioni magiche e indescrivibili. In seguito ho trasferito tutta la passione sulla tastiera e infine, all’amato pianoforte. Il piano è tuttora il mio strumento del cuore.
- Racconti, ma anche poesie. Una di esse “Una volta soltanto” è musicata da Andrea Baccassino. È un imput decisivo che apre le porte dell’ispirazione e dà il via alle prime esibizioni live con gli “Heaven’s door”.
- A fronte di un’infanzia grandiosa, ho purtroppo vissuto un’adolescenza molto dura: vari problemi familiari hanno dilaniato la serenità della famiglia, soprattutto di mia madre. Questo mi indusse a richiudermi molto su me stesso.
Mi rifugiavo nella lettura dei romanzi e a un certo punto ho anche iniziato a scrivere racconti, in modo ossessivo. Fino a che un giorno, a diciassette anni, rifiutato da una ragazza che amavo, scrissi una poesia per lei. Non l’avevo mai fatto e decisi di farla leggere a un compagno di liceo, Andrea Baccassino, già all’epoca musicista e scrittore di commedie. Andrea la musicò e io ne restai così avvinto da volerla a tutti i costi imparare a suonare, per entusiasmo ed orgoglio. Appresi accordi e scale in pochissimo tempo, quasi da solo, esercitandomi per mesi e mesi, tante ore al giorno. Fino a che non fui assoldato come tastierista e seconda voce negli “Heaven’s Door”, il gruppo musicale di mio cugino. Avevo diciott’anni.
- Gli studi ti porteranno lontano dal Salento, destinazione Roma. È qui che Massimo Bubola, protagonista in due album di De Andrè nota il tuo talento. E lo fa presente con una telefonata che non puoi dimenticare…
- Arrivai a Roma a diciannove anni per studiare Medicina, in modo intenso, metodico e con grandi risultati. Nella mia mente pensavo di emulare il percorso di Jannacci. Ma quando, verso i venticinque anni, persi di colpo l’entusiasmo, capii che non era la mia strada: rappresentava solo un modo un po’ masochista e tenero di rendere felici i miei. La musica nel frattempo non aveva mai abbandonato i miei pensieri, per cui spedii in giro i provini delle mie canzoni. Massimo Bubola, che viveva a Verona, ricevette il mio pacchetto e mi telefonò subito. Mi riempì di complimenti inattesi e si arrischiò addirittura a definirmi tra i giovani più bravi che avesse mai incontrato in quegli anni.
- Tra le maggiori influenze musicali Bruce Springsteen. E nel 2010, dopo un lungo riadattamento viene fuori “For you 2 – a tribute to Bruce Springsteen”.
- Bruce è stato uno dei miei idoli adolescenziali, nella seconda metà degli anni ‘80. Mai avrei creduto che, dopo una lunga pausa che mi ero preso da lui e dalla sua musica, tornasse poi prepotentemente a rappresentare per me così tanto, dagli anni 2000 in poi. Ma i suoi valori legati all’amicizia fraterna, alla fiducia dopo ogni caduta, alle radici familiari e al credere profondamente in sé stessi, hanno contribuito quasi a salvarmi dal rischio di una brutta depressione, nel momento in cui ho lasciato gli studi.
A quel punto ho iniziato ad adattare in italiano moltissime sue canzoni e a cantarle dal vivo, perché mi infondevano forza. “For you 2 – a tribute to Bruce Springsteen”, contiene la voce di molti artisti italiani e stranieri, tra cui i Modena City Ramblers e Daniele Groff.
- Nello stesso anno nasce “Asincrono”, il tuo vero primo album. Tra ironia, leggerezza ed intimità, che ad esempio possiamo scorgere all’interno di “Edoardo” …
- Quel mio primo disco, molto frizzante e variegato per tematiche e generi musicali, arrivava dopo quasi vent’anni di scrittura di canzoni. Negli anni 2000 iniziai timidamente a uscire allo scoperto, partecipando ad alcuni concorsi musicali e iniziando ad esibirmi a Roma, soprattutto dal 2003 in poi, nei cui club e locali divenni molto amico di Simone Cristicchi e Pippo Pollina. “Asincrono” uscì in autoproduzione, senza un’etichetta discografica e senza ufficio stampa. Eppure ricevette un’inattesa pioggia di consensi, su quotidiani e riviste nazionali, oltre a menzioni assai generose di vari personaggi dell’ambiente (Morandi, Cristicchi, Marcorè), e varie ospitate in studio a Radio Rai (da Fiorello, Cuccarini, Nino Frassica). Arrivarono poi anche prestigiosi riconoscimenti, specie per la canzone “Edoardo”, premiata col Premio Daolio 2010 e il Premio Bindi 2011. Tuttora resta il brano più amato dal pubblico.
- Nel 2016 nasce “Canzoni all’angolo”. Un disco graffiante, dove spiccano collaborazioni importanti: da Mino De Santis a Simone Cristicchi, passando per Neri Marcorè…
- Il secondo disco arrivò dopo un periodo difficilissimo. Avevo perso la mia zia più cara nel 2013 e mio padre nel 2014. Nel 2015 la botta finale: mia madre aveva scoperto una cirrosi avanzata, con aspettativa di vita di appena due anni. Tutti questi sconvolgimenti personali mi avevano travolto e indotto a lasciare Roma, città in cui vivevo da 21 anni. Nel 2016, in un periodo di momentanea serenità, riuscii a tornare però a Roma per sei mesi e incisi il disco “Canzoni all’angolo”. Brani come “Mille bombe atomiche”, “Quello che non serve più”, “Se ne vanno” e “L’ora di andar via” risentono un po’ del duro periodo personale che avevo vissuto e stavo vivendo (persi mia madre l’anno successivo). Stavolta però, a livello discografico, non ero più solo: c’era con me Pierre Ruiz, amico e mecenate della musica, che aveva fondato da pochi anni l’etichetta discografica Esordisco. Il disco uscì grazie al suo generoso supporto economico. L’intervento di amici e ospiti come Neri Marcorè, Simone Cristicchi e Mino De Santis, lo rendono davvero speciale. Il disco ha anche ricevuto il Premio Lunezia doc 2016 e il Premio Civilia Zingari Felici 2017. Credo mi rispecchi molto.
- Ed ora il presente: dopo tante date in giro per l’Italia, numerosi premi ed attestati raccolti, inizia a far capolino l’idea di un nuovo album?
- Non ancora in modo chiaro, ma nella mia testa è uno dei prossimi obiettivi. Ho molte nuove canzoni da parte e altre ne ho da scrivere nei prossimi mesi. Ho anche molti brani, per me più che validi, forzatamente scartati dai due dischi precedenti, per pure ragioni di spazio.
Al momento ho necessità di rimettere assieme alcuni tasselli del mio percorso, sia emotivo che artistico, dopo l’improvvisa e tragica morte, ad agosto, del mio amico e discografico Pierre Ruiz. È stato un evento che mi ha scioccato. Era un uomo meraviglioso, pieno di un entusiasmo travolgente per l’arte e la musica.
- Grazie Luigi di essere stato con noi! Come redazione ed appassionati di musica continueremo a seguire il tuo percorso artistico con grande interesse.
- Grazie a voi per la disponibilità. Un saluto affettuoso a tutti i lettori!
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
L'INTERVISTA: MASSIMO ALBERTI
a cura di Alessio Peluso
“La tua professione non è ciò che ti fa portare a casa la tua paga. La tua professione è ciò che sei stato messo al mondo a svolgere con tale passione e intensità che diventa spirituale nella sua chiamata…” Sono parole penetranti quelle di Vincent Van Gogh che probabilmente troveranno conferma, nell’esclusiva intervista con Massimo Alberti, soccorritore – esecutore, da tanti anni volontario presso la Croce Rossa, impegnata anch’essa in una missione, anzi in una vera e propria vocazione, nell’ambito di un’emergenza mondiale chiamata Corona Virus.
- Ciao Massimo e grazie di aver accettato il nostro invito in questo delicato momento storico.
- Grazie a voi, non potevo certo rifiutare, contento di essere qui!
- Partiamo subito facendo un balzo all’indietro: quando comincia la tua avventura in Croce Rossa e cosa ti ha spinto ad aderire a questo progetto?
- Avevo 18 anni nel 1975 e degli amici con i quali uscivo in compagnia, un anno più grandi di me, avevano già aderito a questa associazione; vedevo il loro coinvolgimento emotivo e la loro voglia di aiutare, sentivo i loro racconti. Loro stessi mi hanno accompagnato a fare la domanda di accesso e tutt’ora li ringrazio. Purtroppo, diversi di loro non ci sono più, ma rimarranno sempre nel mio cuore.
- Ora ti ritrovi nel mezzo di una realtà, quella lombarda, così complicata. In quale momento hai percepito che l’emergenza Corona Virus sarebbe stata devastante?
- Dai primi giorni a Codogno, dove si vedevano crescere i contagi a vista d’occhio e sapendo che non c’era un vaccino, si capiva che la situazione sarebbe degenerata rapidamente. Anche perché eravamo in contatto con i nostri colleghi di Bergamo che ci descrivevano scene apocalittiche.
- L’Italia è in difficoltà, tante le vittime e i contagiati, turni di lavoro più lunghi del solito. Una volta tornato a casa quali sono le tue sensazioni, ma soprattutto dove trovi la forza di ripartire il giorno dopo?
- Anche oggi è andata! Ma il pensiero è sempre ai familiari in continuo pericolo a causa della mia attività e ai 7/14 giorni successivi, perché l’incubazione del virus ha quel periodo. I miei colleghi che ne hanno avuto la possibilità, per evitare rischi, hanno spostato moglie e figli dai genitori, oppure dai suoceri.
- Specialmente all’inizio ha regnato la confusione: a partire dalla scienza che faticosamente sta cercando contromisure, passando per informazioni contraddittorie. Ora però, abbiamo la certezza che bisogna indossare le mascherine: come usarle in modo corretto?
- Questo è uno dei punti dolenti, spesso volontariamente sottovalutato! Inizialmente anche certi medici, dichiararono che le mascherine dovevano essere indossate solo da pazienti con sintomi, oppure positivi, ma hanno dovuto correggere il tiro, perché non avevano fatto i conti con i pazienti asintomatici, che sono pazienti positivi, ma che non hanno sintomi e che sono in grado, a loro insaputa, di contagiare. Le mascherine devono essere indossate da tutti! Devono coprire naso e bocca e hanno una durata. Le mascherine chirurgiche dovrebbero essere gettate dopo l’uso, ma a causa di una penuria di esse si tende a riutilizzarle. È pericoloso però, se il virus contagia la parte esterna della mascherina; se questa viene toccata si rischia di diventare portatori oppure infettarsi se le mani vengono portate involontariamente verso la bocca, il naso e gli occhi. Solo le mascherine FFP3 possono essere riutilizzate dopo una sanificazione, ma anche loro hanno una vita: dopo alcune ore consecutive di utilizzo vanno gettate.
- Il falso mito che questa pandemia fosse destinata solo agli over 60 e a chi avesse patologie pregresse è stato smentito. Il pericolo è presente anche per i più giovani. Che messaggio manderesti loro?
- Questo virus uccide! Sono a rischio tutte le persone che hanno patologie pregresse, ma purtroppo, anche persone molto giovani, senza patologie, hanno perso la vita. L’unico modo per evitare contagi e non rischiare, è tenere le distanze, e per farlo bisogna stare a casa. Chi esce mette a rischio la propria vita, quella di altre persone e commette un reato!
- Ne verremo fuori, ma ci vorrà tempo e pazienza. Come credi cambierà la nostra vita, i nostri rapporti e il nostro modo di vivere?
- Gli Italiani, non tutti, fanno fatica a rendersi conto della gravità della situazione, visto che continuano a uscire non rispettando le indicazioni; tante generazioni di nonni e nonne non ci sono più! Sicuramente ne verremo fuori completamente e con sicurezza quando sarà creato un vaccino, perché fino ad allora come dimostrato dal ritorno del virus in Cina, non potremo stare tranquilli. La nostra vita cambierà notevolmente invece, a causa della gravissima crisi economica.
- Grazie Massimo della tua disponibilità e del prezioso servizio che svolgi, per conto della Croce Rossa. Un abbraccio sincero a voi, da tutti i nostri lettori.
- Grazie di cuore! Continuiamo il nostro cammino fiduciosi di vincere questa dura battaglia. Un caro saluto a tutti i lettori!
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
“La tua professione non è ciò che ti fa portare a casa la tua paga. La tua professione è ciò che sei stato messo al mondo a svolgere con tale passione e intensità che diventa spirituale nella sua chiamata…” Sono parole penetranti quelle di Vincent Van Gogh che probabilmente troveranno conferma, nell’esclusiva intervista con Massimo Alberti, soccorritore – esecutore, da tanti anni volontario presso la Croce Rossa, impegnata anch’essa in una missione, anzi in una vera e propria vocazione, nell’ambito di un’emergenza mondiale chiamata Corona Virus.
- Ciao Massimo e grazie di aver accettato il nostro invito in questo delicato momento storico.
- Grazie a voi, non potevo certo rifiutare, contento di essere qui!
- Partiamo subito facendo un balzo all’indietro: quando comincia la tua avventura in Croce Rossa e cosa ti ha spinto ad aderire a questo progetto?
- Avevo 18 anni nel 1975 e degli amici con i quali uscivo in compagnia, un anno più grandi di me, avevano già aderito a questa associazione; vedevo il loro coinvolgimento emotivo e la loro voglia di aiutare, sentivo i loro racconti. Loro stessi mi hanno accompagnato a fare la domanda di accesso e tutt’ora li ringrazio. Purtroppo, diversi di loro non ci sono più, ma rimarranno sempre nel mio cuore.
- Ora ti ritrovi nel mezzo di una realtà, quella lombarda, così complicata. In quale momento hai percepito che l’emergenza Corona Virus sarebbe stata devastante?
- Dai primi giorni a Codogno, dove si vedevano crescere i contagi a vista d’occhio e sapendo che non c’era un vaccino, si capiva che la situazione sarebbe degenerata rapidamente. Anche perché eravamo in contatto con i nostri colleghi di Bergamo che ci descrivevano scene apocalittiche.
- L’Italia è in difficoltà, tante le vittime e i contagiati, turni di lavoro più lunghi del solito. Una volta tornato a casa quali sono le tue sensazioni, ma soprattutto dove trovi la forza di ripartire il giorno dopo?
- Anche oggi è andata! Ma il pensiero è sempre ai familiari in continuo pericolo a causa della mia attività e ai 7/14 giorni successivi, perché l’incubazione del virus ha quel periodo. I miei colleghi che ne hanno avuto la possibilità, per evitare rischi, hanno spostato moglie e figli dai genitori, oppure dai suoceri.
- Specialmente all’inizio ha regnato la confusione: a partire dalla scienza che faticosamente sta cercando contromisure, passando per informazioni contraddittorie. Ora però, abbiamo la certezza che bisogna indossare le mascherine: come usarle in modo corretto?
- Questo è uno dei punti dolenti, spesso volontariamente sottovalutato! Inizialmente anche certi medici, dichiararono che le mascherine dovevano essere indossate solo da pazienti con sintomi, oppure positivi, ma hanno dovuto correggere il tiro, perché non avevano fatto i conti con i pazienti asintomatici, che sono pazienti positivi, ma che non hanno sintomi e che sono in grado, a loro insaputa, di contagiare. Le mascherine devono essere indossate da tutti! Devono coprire naso e bocca e hanno una durata. Le mascherine chirurgiche dovrebbero essere gettate dopo l’uso, ma a causa di una penuria di esse si tende a riutilizzarle. È pericoloso però, se il virus contagia la parte esterna della mascherina; se questa viene toccata si rischia di diventare portatori oppure infettarsi se le mani vengono portate involontariamente verso la bocca, il naso e gli occhi. Solo le mascherine FFP3 possono essere riutilizzate dopo una sanificazione, ma anche loro hanno una vita: dopo alcune ore consecutive di utilizzo vanno gettate.
- Il falso mito che questa pandemia fosse destinata solo agli over 60 e a chi avesse patologie pregresse è stato smentito. Il pericolo è presente anche per i più giovani. Che messaggio manderesti loro?
- Questo virus uccide! Sono a rischio tutte le persone che hanno patologie pregresse, ma purtroppo, anche persone molto giovani, senza patologie, hanno perso la vita. L’unico modo per evitare contagi e non rischiare, è tenere le distanze, e per farlo bisogna stare a casa. Chi esce mette a rischio la propria vita, quella di altre persone e commette un reato!
- Ne verremo fuori, ma ci vorrà tempo e pazienza. Come credi cambierà la nostra vita, i nostri rapporti e il nostro modo di vivere?
- Gli Italiani, non tutti, fanno fatica a rendersi conto della gravità della situazione, visto che continuano a uscire non rispettando le indicazioni; tante generazioni di nonni e nonne non ci sono più! Sicuramente ne verremo fuori completamente e con sicurezza quando sarà creato un vaccino, perché fino ad allora come dimostrato dal ritorno del virus in Cina, non potremo stare tranquilli. La nostra vita cambierà notevolmente invece, a causa della gravissima crisi economica.
- Grazie Massimo della tua disponibilità e del prezioso servizio che svolgi, per conto della Croce Rossa. Un abbraccio sincero a voi, da tutti i nostri lettori.
- Grazie di cuore! Continuiamo il nostro cammino fiduciosi di vincere questa dura battaglia. Un caro saluto a tutti i lettori!
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
L'INTERVISTA: ANGELA COSI
a cura di Paolo Galignano ed Alessio Peluso
L’artista salentina Angela Cosi, diplomata al Conservatorio Tito Schipa di Lecce, e laureata in Discipline Musicali al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli, della quale abbiamo parlato nel Focus Musicale di agosto, valorizza con la sua musica, uno strumento antichissimo e molto suggestivo: l’arpa. Le musiche, da lei composte ed eseguite, spaziano tra vari generi, diversi tra loro, ma confluenti nell’originale composizione dei suoi brani, racchiusi nel suo primo disco da solista, contenente 10 brani inediti: NOSTOS. Oggi abbiamo il piacere di accogliere Angela nella grande famiglia ECCLESIA. - Benvenuta, Angela! Siamo lieti di accoglierti nella grande famiglia di ECCLESIA, nello spazio designato ai grandi artisti, a maggior ragione se vicini al nostro territorio. - Grazie a voi! Ho accettato con grande piacere questa opportunità! - Innanzitutto complimenti per il tuo primo album solista: ascoltando “Nostos”, si resta colpiti sia dalle sonorità della tua arpa, sia dalla eterogeneità stilistica della tua musica. Chi o cosa ti ha spinto ad abbracciare questo particolarissimo strumento? - Ci tengo sempre a raccontare questa vicenda perché l’incontro con l’arpa è avvenuto a sorpresa, ma l’idea di suonare uno strumento che avesse qualcosa di singolare era già nata in me, ancora bambina. Affascinata dal mio primo libro di musica delle medie, ben presto, cominciai a suonare la tastiera che aveva comprato mio padre per suo diletto personale. I miei genitori, ascoltando che la mia spontanea formazione da autodidatta migliorava sempre più, mi hanno svelato l’esistenza di una scuola tutta incentrata sulla Musica, dal nome altisonante. Certo che io bambina ignara della difficoltà di un percorso di studio in Conservatorio, con ingenuità e forte desiderio di suonare, cominciai a fantasticare su quale sarebbe stato il mio strumento. L’ho incontrato una sera! Vedendo per la prima volta l’arpa a casa di amici di famiglia, mi ero accorta che quello che avevo immaginato si palesava di fronte a me, sebbene non sapessi neanche esattamente che nome avesse! È così che cominciò la mia avventura! - Bene! Credo che ogni creazione artistica sia una sapiente miscela di estro, fantasia e talento da una parte, di studio delle tecniche, dall’altra. Ti chiedo quanto i tuoi studi influiscano nella composizione ed esecuzione dei tuoi brani musicali. - Sicuramente, la mia formazione classica è alla base delle mie composizioni e la tecnica, che ho sempre ritenuto fondamentale per sfruttare al meglio le possibilità di uno strumento, mi aiuta a superare le difficoltà pratiche, lasciandomi invece coinvolgere senza impedimenti dalla melodia e dalle emozioni di un pezzo. Quindi la passione per la composizione trova la genesi nei miei studi e nella voglia di raccontare qualcosa che costantemente si muove dentro. - Sarebbe interessante scoprire quali sono gli artisti che maggiormente ti hanno ispirato nel creare un sound così originale, che spazia tra jazz, pop e classica contemporanea. - L’artista a cui mi ispiro maggiormente appartiene al mondo classico. Si tratta di Claude Debussy che più rimanda a melodie eteree e fluttuanti e che ha utilizzato largamente l’arpa nelle sue composizioni, dando lustro a questo strumento come pochi. Un artista invece vivente che ascolto tantissimo è Dhafer Youssef, a lui devo invece incursioni nel mondo jazz e nella World Music. - Puoi vantare una moltitudine di collaborazioni artistiche; con quale artista, e perché, ti piacerebbe collaborare in futuro? - Ogni artista con cui ho collaborato mi ha lasciato qualcosa di importante ed indelebile. Sicuramente una grande esperienza è stata quella con il maestro Vessicchio che mi ha molto colpito a livello artistico ed umano. Vorrei, anche per una volta, essere diretta da Riccardo Muti e Morricone e credo che il motivo sia chiaro a tutti. Adoro anche Sting per il suo spessore artistico e sogno che un giorno possa chiamarmi per prendere parte di una sua tournée; io tengo libero il telefono … - Potendo fare un viaggio nel tempo con la “DeLorean” del famoso film, immagino Angela Cosi al posto di Cecilia Chailly, nota arpista italiana che ha incrociato il suo strumento con artisti del calibro di De André, Bocelli, Dalla e Mina. Ci fosse la possibilità chi di loro stuzzicherebbe maggiormente la tua fantasia musicale? - Ho già avuto l’onore di accompagnare Bocelli nella sua “Con te partirò” in un concerto a Milano ed è stato davvero emozionante. Con l’aiuto della DeLorean, invece, passerei giorni interi con Dalla per conoscerne aneddoti ed ispirazioni. Sarei sicuramente catturata dai suoi racconti ed i suoi viaggi sonori. - L’inverno è alle porte, ma la tua musica è in grado di scaldare la nostra anima; avremo la possibilità di seguirti in tour? Magari puoi lasciarci qualche anticipazione esclusiva … - Dopo la presentazione ufficiale del 31 luglio ed i tanti concerti di questa estate, stiamo preparando le tappe della stagione invernale. Ci sarà ancora l’occasione in terra salentina di ascoltare i brani di Nostos con l’orchestra da camera, non soltanto nella versione per sola arpa, ma non posso svelare ancora nulla! Quello che invece tengo a ricordare è di seguire le novità sulla mia pagina Facebook, sul mio sito e sul canale YouTube in modo da essere aggiornati sui prossimi appuntamenti. - Angela, grazie di cuore per la tua disponibilità. La grande famiglia ECCLESIA continuerà a seguire la tua carriera artistica, con l’augurio di vederti prima o poi alla Scala di Milano … - Grazie infinite! Un saluto speciale a tutti i lettori di ECCLESIA! |
La grande protagonista della nostra intervista: Angela Cosi, sorridente vicino alla sua amata arpa.
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L'INTERVISTA: ALESSANDRA FERRARI
di Alessio Peluso
“La danza è la madre di tutte le arti. La musica e la poesia esistono nel tempo; la pittura e l’architettura nello spazio. Ma la danza vive contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Prima di affidare le sue emozioni alla pietra, al suono, l’uomo si serve del suo corpo per organizzare lo spazio e ritmare il tempo”. La riflessione di Curt Sachs musicologo e organologo tedesco è l’apripista per la scuola di ballo più in voga nell’ambito cesarino e non solo. “Ferrari Dance”, la scuola di ballo di Alessandra Ferrari è sicuramente motivo d’orgoglio per la nostra realtà, che può giovarsi dei tanti successi ottenuti in campo regionale, poi nazionale. Ne parliamo in questa breve chiacchierata, gentilmente concessa dalla nostra Alessandra.
- Benvenuta Alessandra! La grande famiglia ECCLESIA è lieta di accoglierti.
- Grazie a voi! Contenta di poter raccontare un po' della mia storia, ma soprattutto della mia passione, il ballo.
- Bene Alessandra, facciamo un tuffo nel tuo passato, quando tutto iniziò. Cosa va a catturare la tua attenzione?
- Sicuramente la mia famiglia e il legame con mio nonno Rocco Parente. Era un uomo pieno di vita, amava organizzare serate da ballo in occasioni particolari come il periodo natalizio, Capodanno, Carnevale. Un uomo che amava la buona compagnia.
- E non solo … Non disdegnava la cucina tipica …
- Eh, sì. Queste feste tenute in un locale ampio 250 metri quadrati circa, erano accompagnate da piatti prelibati della nostra terra come le “cicore o la carne a pignatu”, “pummidori scattariciati” o i noti “spaghetti cu le cozze”.
- Passati gli anni della prima infanzia arriva il tuo primo incontro importante.
- Avevo 9 anni e finalmente ho il mio primo maestro Cosimo Albano. È l’inizio del mio percorso!
- A soli 16 anni invece sperimenti cosa vuol dire essere un’insegnante …
- Lo ricordo benissimo! Iniziai col dare delle lezioni private, sfruttando il locale del nonno, ma arrivata alla maggiore età conseguì il diploma di danza latino-americana, affinando sempre nel tempo le mie competenze; liscio, ballo da sala, balli di gruppo. Per essere all’altezza è necessario essere preparati.
- I risultati ti danno ragione ben presto.
- Fortunatamente sì. La scuola di ballo funziona e tanto. Ora sono arrivata ad avere una scuola frequentata da tanti ragazzi e a settembre ripartirà anche quella di Leverano. Inoltre, per i nuovi iscritti primo mese gratuito, mentre per i ragazzi tra i 10 e i 12 anni da saldare solo l’iscrizione.
- E proprio questi ragazzi, ti stanno regalando grandi soddisfazioni.
- Sicuramente. Lo scorso 1 e 2 giugno il grande successo al “Campionato Italiano Open 2019”, presso Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, con medaglie d’oro nel “Sincronizzato Latin” categoria over 16 e nello Show Latin Under 21; il week-end successivo poi a Forlì altra incetta di medaglie con 7 ori, 5 argenti e 4 bronzi.
- Non sono successi isolati se guardiamo al passato …
- Ne avrei a bizzeffe! Però mi piace rimarcare il Mondiale a Napoli nel 2017, il “World Dance Festival” e lo “Star by Night”, spettacolo tenuto da sempre a Porto Cesareo.
- A proposito di Porto Cesareo: quando ti rivedremo all’opera?
- Per il momento mi godo un po' di serenità con la mia famiglia. Anche i ragazzi hanno bisogno di tirare il fiato. Ben presto però torneremo, con l’adrenalina e la voglia di sempre!
- Grazie Alessandra! A nome della redazione in bocca al lupo per il futuro!
- Crepi! Ne approfitto per un saluto speciale ai lettori di ECCLESIA. Grazie ancora!
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
“La danza è la madre di tutte le arti. La musica e la poesia esistono nel tempo; la pittura e l’architettura nello spazio. Ma la danza vive contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Prima di affidare le sue emozioni alla pietra, al suono, l’uomo si serve del suo corpo per organizzare lo spazio e ritmare il tempo”. La riflessione di Curt Sachs musicologo e organologo tedesco è l’apripista per la scuola di ballo più in voga nell’ambito cesarino e non solo. “Ferrari Dance”, la scuola di ballo di Alessandra Ferrari è sicuramente motivo d’orgoglio per la nostra realtà, che può giovarsi dei tanti successi ottenuti in campo regionale, poi nazionale. Ne parliamo in questa breve chiacchierata, gentilmente concessa dalla nostra Alessandra.
- Benvenuta Alessandra! La grande famiglia ECCLESIA è lieta di accoglierti.
- Grazie a voi! Contenta di poter raccontare un po' della mia storia, ma soprattutto della mia passione, il ballo.
- Bene Alessandra, facciamo un tuffo nel tuo passato, quando tutto iniziò. Cosa va a catturare la tua attenzione?
- Sicuramente la mia famiglia e il legame con mio nonno Rocco Parente. Era un uomo pieno di vita, amava organizzare serate da ballo in occasioni particolari come il periodo natalizio, Capodanno, Carnevale. Un uomo che amava la buona compagnia.
- E non solo … Non disdegnava la cucina tipica …
- Eh, sì. Queste feste tenute in un locale ampio 250 metri quadrati circa, erano accompagnate da piatti prelibati della nostra terra come le “cicore o la carne a pignatu”, “pummidori scattariciati” o i noti “spaghetti cu le cozze”.
- Passati gli anni della prima infanzia arriva il tuo primo incontro importante.
- Avevo 9 anni e finalmente ho il mio primo maestro Cosimo Albano. È l’inizio del mio percorso!
- A soli 16 anni invece sperimenti cosa vuol dire essere un’insegnante …
- Lo ricordo benissimo! Iniziai col dare delle lezioni private, sfruttando il locale del nonno, ma arrivata alla maggiore età conseguì il diploma di danza latino-americana, affinando sempre nel tempo le mie competenze; liscio, ballo da sala, balli di gruppo. Per essere all’altezza è necessario essere preparati.
- I risultati ti danno ragione ben presto.
- Fortunatamente sì. La scuola di ballo funziona e tanto. Ora sono arrivata ad avere una scuola frequentata da tanti ragazzi e a settembre ripartirà anche quella di Leverano. Inoltre, per i nuovi iscritti primo mese gratuito, mentre per i ragazzi tra i 10 e i 12 anni da saldare solo l’iscrizione.
- E proprio questi ragazzi, ti stanno regalando grandi soddisfazioni.
- Sicuramente. Lo scorso 1 e 2 giugno il grande successo al “Campionato Italiano Open 2019”, presso Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia, con medaglie d’oro nel “Sincronizzato Latin” categoria over 16 e nello Show Latin Under 21; il week-end successivo poi a Forlì altra incetta di medaglie con 7 ori, 5 argenti e 4 bronzi.
- Non sono successi isolati se guardiamo al passato …
- Ne avrei a bizzeffe! Però mi piace rimarcare il Mondiale a Napoli nel 2017, il “World Dance Festival” e lo “Star by Night”, spettacolo tenuto da sempre a Porto Cesareo.
- A proposito di Porto Cesareo: quando ti rivedremo all’opera?
- Per il momento mi godo un po' di serenità con la mia famiglia. Anche i ragazzi hanno bisogno di tirare il fiato. Ben presto però torneremo, con l’adrenalina e la voglia di sempre!
- Grazie Alessandra! A nome della redazione in bocca al lupo per il futuro!
- Crepi! Ne approfitto per un saluto speciale ai lettori di ECCLESIA. Grazie ancora!
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
L'INTERVISTA: CELESTINO DE GABRIELE
di Vanessa Paladini
Celestino De Gabriele, classe 1949, è certamente un’artista poliedrico. Dalla scultura alla lavorazione della cartapesta, dagli intarsi in legno alla pirografia, fino ad arrivare alla pittura su tela e portoni scolpiti, molte sono le opere realizzate nel suo laboratorio, tutte diverse, permeate di creatività e passione, assecondando fantasia di mente e privati, nella semplicità di un silenzio che diventa pura arte. L’approccio con le tecniche artistiche arriva molto presto, nell’Accademia di Belle Arti di Lecce. Allievo versatile, Celestino segue con caparbietà il suo estro, mettendosi subito a lavoro a Veglie e poi portando le sue opere in varie mostre. De Gabriele ha il merito di aver realizzato, su commissione dell’amministrazione De Monte (1997 - 2000), una meravigliosa scultura in bronzo per il comune di Porto Cesareo, collocata al centro del Piazzale di “Scalo d’alaggio”: la Statua del Pescatore. È senza dubbio, questa, una delle tante opere che il maestro ha forgiato per il territorio salentino e che resta, da allora, monumento significante per i cesarini. Con umiltà, Celestino racconta il suo lavoro in questa intervista.
Celestino De Gabriele, classe 1949, è certamente un’artista poliedrico. Dalla scultura alla lavorazione della cartapesta, dagli intarsi in legno alla pirografia, fino ad arrivare alla pittura su tela e portoni scolpiti, molte sono le opere realizzate nel suo laboratorio, tutte diverse, permeate di creatività e passione, assecondando fantasia di mente e privati, nella semplicità di un silenzio che diventa pura arte. L’approccio con le tecniche artistiche arriva molto presto, nell’Accademia di Belle Arti di Lecce. Allievo versatile, Celestino segue con caparbietà il suo estro, mettendosi subito a lavoro a Veglie e poi portando le sue opere in varie mostre. De Gabriele ha il merito di aver realizzato, su commissione dell’amministrazione De Monte (1997 - 2000), una meravigliosa scultura in bronzo per il comune di Porto Cesareo, collocata al centro del Piazzale di “Scalo d’alaggio”: la Statua del Pescatore. È senza dubbio, questa, una delle tante opere che il maestro ha forgiato per il territorio salentino e che resta, da allora, monumento significante per i cesarini. Con umiltà, Celestino racconta il suo lavoro in questa intervista.
- Benvenuto Celestino nella grande famiglia di ECCLESIA e nel nostro spazio dedicato agli artisti salentini.
- Grazie a voi! Ho accettato volentieri. È un grande onore!
- Partiamo dalla statua del pescatore: con quali materiali ha lavorato?
- L’ho realizzata quasi tutta in rame, materiale costoso, con piccole percentuali di stagno, piombo e zinco. Il bronzo che ho utilizzato per la statua del pescatore non contiene alluminio, perché se lo avessi utilizzato, l’opera, essendo vicina al mare, si sarebbe sicuramente danneggiata. Ho preferito prodotti duraturi, quasi indistruttibili. Ho effettuato un’operazione di formatura, con quella che si chiama forma a tasselli. I tasselli vengono uniformati dall’artista e i vari pezzi diventano un insieme. Al termine di questi passaggi si porta il tutto in fonderia. Per la colata in bronzo mi sono recato a San Benedetto del Tronto.
- In quanto tempo è stata realizzata la scultura? L’inaugurazione è avvenuta molti anni dopo la commissione del 1997, per quale motivo?
- Per realizzarla ho impiegato forse un anno. La parte più impegnativa è stata quella della realizzazione delle reti che il pescatore porta in spalla. La scultura è stata nel mio laboratorio per un altro anno, dalla sua realizzazione, l’amministrazione nel frattempo cambiava.
- Si è ispirato a qualche artista per la statua del pescatore?
- Assolutamente no, ho seguitola mia creatività. Le svelo una curiosità: un giorno, mentre ero a Porto Cesareo, mi fu detto che, in ogni ora del giorno, il pescatore assume una diversa espressione e io cercai di immaginarlo a modo mio.
- È una cosa bellissima! A questo punto mi chiedo perché la sua firma non sia visibile …
- La mia firma, C. De Gabrieli, è sulla testa della statua del pescatore.
- Perché ha scelto De Gabrieli e non De Gabriele? La sua firma si trova sempre nello stesso punto nelle varie opere?
- De Gabrieli suonava meglio, secondo me, per l’arte. Non firmo mai in un punto preciso o prestabilito: a Veglie, ad esempio, sul monumento al vigilantes la mia firma si trova sulla fascia indossata dalla guardia.
- La principale gioia di questo mestiere, qual è stata?
La soddisfazione più grande è stata aver portato avanti la famiglia con l’arte.
- Grazie Celestino della sua disponibilità! Ci sarà modo di rivedersi, magari per parlare delle sue tante opere sparse nel Salento …
- Certamente! Un saluto speciale agli amici di ECCLESIA e alla prossima!
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
L'INTERVISTA: MANSOUR NDIAYE, in arte NANDO
di Alessio Peluso
"Eccolo qua, eccolo qua! È arrivato Nando!” È uno degli slogan che a Porto Cesareo si riconosce immediatamente. È’ quello di Nando, noto venditore ambulante, proveniente dal Senegal, Africa Occidentale. Sarà lui il grande protagonista della nostra intervista sul mondo africano, definito perfettamente nelle parole di Claudia Cardinale: “L’Africa è un pensiero, un’emozione, quasi una preghiera: lo sono i suoi silenzi infiniti; i suoi tramonti; quel suo cielo che sembra molto più vicino del nostro, perché si vede di più, perché le sue stelle e la sua luna sono più limpide, nitide, pulite: brillano di più”.
- Benvenuto Nando, è un piacere averti qui con noi.
- Grazie a voi per l’invito e soprattutto per la possibilità di parlare della mia terra.
- E allora caro Nando partirei da una breve presentazione, alla scoperta del tuo nome d’origine.
- In Senegal l’usanza è di avere due nomi: il primo è Ndiaye Mansour, i miei amici invece mi conoscono come Dit Mara. Ho 34 anni e fin da piccolo, anche contro la volontà dei miei genitori, sono diventato venditore ambulante, facendo esperienza a Ponty Sandaga, uno dei mercati più importanti vicino Dakar, la capitale.
- Tanti anni fa il tuo approdo in Italia. Immagino non sia stato facile staccarsi dalla propria terra.
- Sono giunto in Italia nel 2005: avevo visto tanti uomini senegalesi emigrare e poi tornare nella nostra terra, dopo aver migliorato la loro condizione economica. Tante le difficoltà iniziali, a partire dalla lingua e dalla solitudine. Fortunatamente la vicinanza di mio fratello Mamour Fall, che già dal 2001 viveva a Milano, mi ha dato la forza di andare avanti.
- In tanti libri, testimonianze e documentari, chi ha potuto sentire il “profumo” dell’Africa ne è rimasto affascinato. Che cosa rende questa terra così speciale?
- Disponibilità, umiltà e accoglienza, rendono la nostra gente così speciale. Ci sono molte meno barriere e pregiudizi, rispetto all’Europa. E poi un clima unico che ci rende orgogliosi della nostra terra.
- La nostra Porto Cesareo si può definire multietnica: folta è la presenza non solo dal Senegal, ma anche da Marocco, Polonia o Romania. Come hai vissuto l’integrazione e l’ambientamento nel corso del tempo?
- A Porto Cesareo mi trovo benissimo, come se fossi in Senegal. A volte ho l’impressione di essere diventato “famoso”, poiché tutti ormai mi conoscono e mi accolgono affettuosamente.
- La nostra redazione ama dedicare spazio all’arte e alla musica: che ruolo hanno in Africa all’interno della vita quotidiana? Non mancano personaggi di spicco come Youssou N’Dour, Ismael Lo o Baaba Maal, per citarne alcuni.
- Sono artisti considerati idoli, meta da raggiungere. E poi la musica in generale respira quel clima di pace e serenità che noi definiamo comunemente “Pays Teranga”. Infine, ci sono strumenti come il “Tama” (tamburo) a rendere la musica parte integrante della nostra quotidianità.
- Religione e spiritualità da sempre accompagnano il nostro cammino. Qual è il tuo rapporto con la fede?
- Sono un musulmano praticante e credo fortemente in Maometto. In Senegal seguo la comunità del “Mouride”, nella quale ho incontrato Serigne Touba, la mia guida spirituale, un uomo apprezzato e stimato da tutti noi.
- Concludendo la nostra piacevole chiacchierata, cosa prevedi per il tuo prossimo futuro? Progetti, speranze e magari qualche sogno nel cassetto…
- Semplicemente tornare nella mia terra, lavorare lì e ritrovare la quotidianità dei miei affetti.
- Grazie Nando! È stato veramente bello averti con noi e ti salutiamo con una riflessione targata Karen Blixen:” Il respiro del panorama era immenso. Ogni cosa dava un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema. Lassù si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava la mattina, sugli altipiani, e si pensava: eccomi qui, è questo il mio posto”.
- Grazie a voi di ECCLESIA! Saluto tutti voi con una delle mie celebri frasi durante le mie uscite, ricordando che Nando è una persona “chic, di boutique” …
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018
"Eccolo qua, eccolo qua! È arrivato Nando!” È uno degli slogan che a Porto Cesareo si riconosce immediatamente. È’ quello di Nando, noto venditore ambulante, proveniente dal Senegal, Africa Occidentale. Sarà lui il grande protagonista della nostra intervista sul mondo africano, definito perfettamente nelle parole di Claudia Cardinale: “L’Africa è un pensiero, un’emozione, quasi una preghiera: lo sono i suoi silenzi infiniti; i suoi tramonti; quel suo cielo che sembra molto più vicino del nostro, perché si vede di più, perché le sue stelle e la sua luna sono più limpide, nitide, pulite: brillano di più”.
- Benvenuto Nando, è un piacere averti qui con noi.
- Grazie a voi per l’invito e soprattutto per la possibilità di parlare della mia terra.
- E allora caro Nando partirei da una breve presentazione, alla scoperta del tuo nome d’origine.
- In Senegal l’usanza è di avere due nomi: il primo è Ndiaye Mansour, i miei amici invece mi conoscono come Dit Mara. Ho 34 anni e fin da piccolo, anche contro la volontà dei miei genitori, sono diventato venditore ambulante, facendo esperienza a Ponty Sandaga, uno dei mercati più importanti vicino Dakar, la capitale.
- Tanti anni fa il tuo approdo in Italia. Immagino non sia stato facile staccarsi dalla propria terra.
- Sono giunto in Italia nel 2005: avevo visto tanti uomini senegalesi emigrare e poi tornare nella nostra terra, dopo aver migliorato la loro condizione economica. Tante le difficoltà iniziali, a partire dalla lingua e dalla solitudine. Fortunatamente la vicinanza di mio fratello Mamour Fall, che già dal 2001 viveva a Milano, mi ha dato la forza di andare avanti.
- In tanti libri, testimonianze e documentari, chi ha potuto sentire il “profumo” dell’Africa ne è rimasto affascinato. Che cosa rende questa terra così speciale?
- Disponibilità, umiltà e accoglienza, rendono la nostra gente così speciale. Ci sono molte meno barriere e pregiudizi, rispetto all’Europa. E poi un clima unico che ci rende orgogliosi della nostra terra.
- La nostra Porto Cesareo si può definire multietnica: folta è la presenza non solo dal Senegal, ma anche da Marocco, Polonia o Romania. Come hai vissuto l’integrazione e l’ambientamento nel corso del tempo?
- A Porto Cesareo mi trovo benissimo, come se fossi in Senegal. A volte ho l’impressione di essere diventato “famoso”, poiché tutti ormai mi conoscono e mi accolgono affettuosamente.
- La nostra redazione ama dedicare spazio all’arte e alla musica: che ruolo hanno in Africa all’interno della vita quotidiana? Non mancano personaggi di spicco come Youssou N’Dour, Ismael Lo o Baaba Maal, per citarne alcuni.
- Sono artisti considerati idoli, meta da raggiungere. E poi la musica in generale respira quel clima di pace e serenità che noi definiamo comunemente “Pays Teranga”. Infine, ci sono strumenti come il “Tama” (tamburo) a rendere la musica parte integrante della nostra quotidianità.
- Religione e spiritualità da sempre accompagnano il nostro cammino. Qual è il tuo rapporto con la fede?
- Sono un musulmano praticante e credo fortemente in Maometto. In Senegal seguo la comunità del “Mouride”, nella quale ho incontrato Serigne Touba, la mia guida spirituale, un uomo apprezzato e stimato da tutti noi.
- Concludendo la nostra piacevole chiacchierata, cosa prevedi per il tuo prossimo futuro? Progetti, speranze e magari qualche sogno nel cassetto…
- Semplicemente tornare nella mia terra, lavorare lì e ritrovare la quotidianità dei miei affetti.
- Grazie Nando! È stato veramente bello averti con noi e ti salutiamo con una riflessione targata Karen Blixen:” Il respiro del panorama era immenso. Ogni cosa dava un senso di grandezza, di libertà, di nobiltà suprema. Lassù si respirava bene, si sorbiva coraggio di vita e leggerezza di cuore. Ci si svegliava la mattina, sugli altipiani, e si pensava: eccomi qui, è questo il mio posto”.
- Grazie a voi di ECCLESIA! Saluto tutti voi con una delle mie celebri frasi durante le mie uscite, ricordando che Nando è una persona “chic, di boutique” …
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018
L'INTERVISTA: GIANMARCO BALDI
di Alessio Peluso
“Lo straordinario risiede nel cammino delle persone comuni … “ diceva Paulo Coelho, mentre raccontava la storia che gli cambiò la vita, nel libro “Il Cammino di Santiago”. Molti lo definiscono il pellegrinaggio per eccellenza, che ha radici medievali. Secondo la tradizione San Giacomo venne decapitato in Palestina per poi essere sepolto in Galizia, dove aveva evangelizzato. Il suo ritrovamento avvenne intorno al IX secolo. Tanti altri misteri avvolgono coloro che si addentrano verso Compostela: è il caso di Gian Marco Baldi, 25 anni di Porto Cesareo.
Ben tornato Marco e soprattutto grazie di essere qui con noi!
Grazie a voi di ECCLESIA!
Bene Marco, come consuetudine delle nostre interviste presentazione flash.
Sono Marco, ho 25 anni e mi occupo di ristorazione. Ho una straordinaria passione che lega mountain-bike e natura. È una predisposizione che ho scoperto recentemente: circa un anno fa mi cimentai nel percorso verso Santa Maria di Leuca, pernottando in tenda nei pressi della “Grotta del Diavolo”. Era solo l’inizio …
Come nasce la meta Santiago, dopo le lunghe fatiche estive?
Un richiamo istintivo che partiva da dentro! Poi prenotai il volo e acquistai un manuale sugli oggetti del pellegrino; solo dopo Emanuele e Rocco, due cari amici, decisero di seguirmi.
Siete partiti insieme, ma una volta giunti lì …
Erano le 23! Ostelli e bar erano chiusi, così ci accampammo in un ambiente medievale: case in pietra, pavé e illuminazione precaria, attutita dalle nostre torce. Essere insieme ci rendeva sicuri e la curiosità aumentava.
Per chi non lo sapesse il cammino ha diverse vie percorribili. Tu quale percorso hai intrapreso?
Giunti a San Jean Pied, versante francese la mappa offriva varie opzioni. Abbiamo intrapreso il cosiddetto “cammino francese” lungo 800 km, tra boschi e altipiani.
Durante il tragitto spesso in solitaria, nasce la notte più bella …
Era la penultima notte e mi ritrovavo a Finisterre. Un gruppo di pellegrini dall’età e nazionalità più disparate mi coinvolge in un indimenticabile falò da spiaggia: chitarre che emanavano musica soft inglese e una condivisione fatta di sguardi, sorrisi e gesti, sotto un cielo ricolmo di stelle.
Tutto era utile per “scordarsi” della fatica, anche gli imprevisti …
Infatti per ben due volte mi si è rotta la catena! Nel secondo caso provvidenziale l’intervento di alcuni passanti che mi hanno soccorso. Collaborazione e solidarietà sono elementi chiave dell’intero cammino.
Dopo circa 20 giorni in bicicletta, finalmente l’arrivo.
Il Santuario di San Giacomo di fronte, ma in fase di ristrutturazione, la piazza gremita e un piccolo applauso per ognuno che giungeva alla meta. Da lì in poi 90 km a Finisterre: qui l’obiettivo è godersi un tramonto unico in prossimità dell’Oceano Atlantico e veder terminare il conto alla rovescia, poiché si giunge al cartello del km zero.
Ed ora tornato a casa cosa ti porti dentro?
Ognuno di quei volti sorridenti, disponibili e a volte affaticati. A livello personale essere spesso da solo mi ha maturato. Oggi sono più sicuro di me e ho maggiore fiducia nelle mie capacità. Inoltre custodisco gelosamente gli attestati del pellegrino ricevuti a Santiago e Finisterre. In ogni caso è un’esperienza davvero travolgente!
Sento di ringraziarti per la tua disponibilità e testimonianza a nome di tutta la redazione. Ti saluto con la celebre frase di John Keats:”La vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere …”
Grazie ancora a voi di ECCLESIA e alla prossima!
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2017
“Lo straordinario risiede nel cammino delle persone comuni … “ diceva Paulo Coelho, mentre raccontava la storia che gli cambiò la vita, nel libro “Il Cammino di Santiago”. Molti lo definiscono il pellegrinaggio per eccellenza, che ha radici medievali. Secondo la tradizione San Giacomo venne decapitato in Palestina per poi essere sepolto in Galizia, dove aveva evangelizzato. Il suo ritrovamento avvenne intorno al IX secolo. Tanti altri misteri avvolgono coloro che si addentrano verso Compostela: è il caso di Gian Marco Baldi, 25 anni di Porto Cesareo.
Ben tornato Marco e soprattutto grazie di essere qui con noi!
Grazie a voi di ECCLESIA!
Bene Marco, come consuetudine delle nostre interviste presentazione flash.
Sono Marco, ho 25 anni e mi occupo di ristorazione. Ho una straordinaria passione che lega mountain-bike e natura. È una predisposizione che ho scoperto recentemente: circa un anno fa mi cimentai nel percorso verso Santa Maria di Leuca, pernottando in tenda nei pressi della “Grotta del Diavolo”. Era solo l’inizio …
Come nasce la meta Santiago, dopo le lunghe fatiche estive?
Un richiamo istintivo che partiva da dentro! Poi prenotai il volo e acquistai un manuale sugli oggetti del pellegrino; solo dopo Emanuele e Rocco, due cari amici, decisero di seguirmi.
Siete partiti insieme, ma una volta giunti lì …
Erano le 23! Ostelli e bar erano chiusi, così ci accampammo in un ambiente medievale: case in pietra, pavé e illuminazione precaria, attutita dalle nostre torce. Essere insieme ci rendeva sicuri e la curiosità aumentava.
Per chi non lo sapesse il cammino ha diverse vie percorribili. Tu quale percorso hai intrapreso?
Giunti a San Jean Pied, versante francese la mappa offriva varie opzioni. Abbiamo intrapreso il cosiddetto “cammino francese” lungo 800 km, tra boschi e altipiani.
Durante il tragitto spesso in solitaria, nasce la notte più bella …
Era la penultima notte e mi ritrovavo a Finisterre. Un gruppo di pellegrini dall’età e nazionalità più disparate mi coinvolge in un indimenticabile falò da spiaggia: chitarre che emanavano musica soft inglese e una condivisione fatta di sguardi, sorrisi e gesti, sotto un cielo ricolmo di stelle.
Tutto era utile per “scordarsi” della fatica, anche gli imprevisti …
Infatti per ben due volte mi si è rotta la catena! Nel secondo caso provvidenziale l’intervento di alcuni passanti che mi hanno soccorso. Collaborazione e solidarietà sono elementi chiave dell’intero cammino.
Dopo circa 20 giorni in bicicletta, finalmente l’arrivo.
Il Santuario di San Giacomo di fronte, ma in fase di ristrutturazione, la piazza gremita e un piccolo applauso per ognuno che giungeva alla meta. Da lì in poi 90 km a Finisterre: qui l’obiettivo è godersi un tramonto unico in prossimità dell’Oceano Atlantico e veder terminare il conto alla rovescia, poiché si giunge al cartello del km zero.
Ed ora tornato a casa cosa ti porti dentro?
Ognuno di quei volti sorridenti, disponibili e a volte affaticati. A livello personale essere spesso da solo mi ha maturato. Oggi sono più sicuro di me e ho maggiore fiducia nelle mie capacità. Inoltre custodisco gelosamente gli attestati del pellegrino ricevuti a Santiago e Finisterre. In ogni caso è un’esperienza davvero travolgente!
Sento di ringraziarti per la tua disponibilità e testimonianza a nome di tutta la redazione. Ti saluto con la celebre frase di John Keats:”La vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere …”
Grazie ancora a voi di ECCLESIA e alla prossima!
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2017
L'INTERVISTA: TONY l'artista
di Alessio Peluso
“Se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera favola.” Sono i giorni della festa patronale a Porto Cesareo e per le vie principali, in mezzo a una miriade di bancarelle incontro Tony, l’artista. Come sempre è un piacere rivedersi, salutarsi, ma soprattutto lasciarsi con la promessa di un’intervista in esclusiva per ECCLESIA.
Ciao Tony e benvenuto nella famiglia di ECCLESIA.
Grazie a te! Non so cosa mi aspetta, ma fremo dalla curiosità.
Siamo in due a fremere! Dai, presentazione rapida per i nostri lettori!
Sono Tony e “sopravvivo d’arte” nel mio piccolo mondo a Boncore, rappresentato dal mio bus che mi custodisce al suo interno insieme con le mie creazioni. Esso è la metafora della mia vita: viaggiare col corpo quando è possibile e con la mente soprattutto.
Immagino che il tuo talento risalga ai tempi dell’infanzia. Raccontaci un po’…
Da bambino mi dilettavo nel ritagliare immagini d’auto e donne dai giornali o riviste; addirittura ai tempi dell’asilo disegnavo sui muri case, strade e ambienti naturali. Ne pagai le conseguenze con mio padre, ma non ci potevo far nulla. La matita fu il mio primo amore.
Poi è iniziata la fase della maturazione e della crescita. Ora quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Il mio spostarmi nell’incontrare persone e vivere pienamente le avventure con le storie della quotidianità. E poi da sempre c’è la musica ad accompagnarmi. I Pink Floyd con le loro sonorità stimolano la mia creatività.
E’evidente il richiamo alla natura, alla musica e al ruolo della donna; quest’ultima da sempre musa ispiratrice d’ogni artista. Ne ricordi qualcuna che ti ha influenzato particolarmente?
Nel 2000 incontrai una donna afgana, vissuta in India. Abbiamo condiviso 8 anni meravigliosi e conservo varie opere dedicate a lei. La più importante è la “Rosa nera”.
M’incuriosisce questo nome col suo contrasto di colori …
Infatti la “Rosa nera” è la sua immagine con i capelli neri e lunghi, con i suoi occhi scuri e profondi. Intorno il fuoco che ha illuminato la nostra storia e la nostra vita; poi per concludere il sole che mi è stato donato dal suo essere donna a 360°, rispettando il mio essere uomo e artista con gli spazi di libertà indispensabili alla mia persona.
Tanti gli argomenti trattati. E dato il tuo feeling con la natura e il creato, qual è il tuo rapporto con la fede?
Credo fermamente in valori come l’umiltà, non tralasciando quindi di essere generoso e gentile con gli altri. Donarmi senza tornaconto personale mi rende felice e mi riempie il cuore.
Un’ultima domanda prima d’andar via dal tuo splendido habitat. La luce e l’influenza barocca del Caravaggio, Vincent Van Gogh con la riproposizione della natura morta con cipressi, grano o girasoli, oppure Leonardo da Vinci nell’uso della prospettiva aerea, come si può ricordare nella “Gioconda”; in chi ti rispecchi maggiormente?
Mi ritrovo maggiormente nella follia e nell’estro del Caravaggio nel rappresentare i poveri, i proletari, i santi o i soldati nella loro essenza più realistica.
Sai Tony, una volta il Caravaggio fu denunciato dalla sua padrona di casa perché oltre a dipingere il soffitto, lo aveva bucherellato per garantirsi quel complesso gioco di luce che solo lui padroneggiava in quel modo. E’ successo anche a te qualcosa di simile?
Ebbene sì: circa un ventennio fa durante la mia permanenza in Germania alloggiavo nell’appartamento di un mio amico e con lo stucco d’auto creai il pavimento con l’immagine di onde vorticose, prendendo spunto da una copertina d’album dei Pink Floyd, qual era “Pulse” del 1994; poi soffitta e mura laterali diventarono un’apoteosi di colori e sfumature. A differenza del Caravaggio però, non fui cacciato di casa, poiché il mio amico apprezzò enormemente e quella stanza a distanza di tempo è rimasta invariata.
Dopo quest’ultimo aneddoto sento solo di ringraziarti Tony della tua disponibilità e non sottrarre altro tempo alla tua arte. Ora vado lasciandoti con una frase che potrai fare tua, parchè “chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta …”
Hai ragione! Anche la mia arte è un moto perpetuo, che muta ogni secondo e che non si ferma mai …
PUBBLICATO NELL' OTTOBRE 2017
“Se incontrarsi resta una magia, è non perdersi la vera favola.” Sono i giorni della festa patronale a Porto Cesareo e per le vie principali, in mezzo a una miriade di bancarelle incontro Tony, l’artista. Come sempre è un piacere rivedersi, salutarsi, ma soprattutto lasciarsi con la promessa di un’intervista in esclusiva per ECCLESIA.
Ciao Tony e benvenuto nella famiglia di ECCLESIA.
Grazie a te! Non so cosa mi aspetta, ma fremo dalla curiosità.
Siamo in due a fremere! Dai, presentazione rapida per i nostri lettori!
Sono Tony e “sopravvivo d’arte” nel mio piccolo mondo a Boncore, rappresentato dal mio bus che mi custodisce al suo interno insieme con le mie creazioni. Esso è la metafora della mia vita: viaggiare col corpo quando è possibile e con la mente soprattutto.
Immagino che il tuo talento risalga ai tempi dell’infanzia. Raccontaci un po’…
Da bambino mi dilettavo nel ritagliare immagini d’auto e donne dai giornali o riviste; addirittura ai tempi dell’asilo disegnavo sui muri case, strade e ambienti naturali. Ne pagai le conseguenze con mio padre, ma non ci potevo far nulla. La matita fu il mio primo amore.
Poi è iniziata la fase della maturazione e della crescita. Ora quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Il mio spostarmi nell’incontrare persone e vivere pienamente le avventure con le storie della quotidianità. E poi da sempre c’è la musica ad accompagnarmi. I Pink Floyd con le loro sonorità stimolano la mia creatività.
E’evidente il richiamo alla natura, alla musica e al ruolo della donna; quest’ultima da sempre musa ispiratrice d’ogni artista. Ne ricordi qualcuna che ti ha influenzato particolarmente?
Nel 2000 incontrai una donna afgana, vissuta in India. Abbiamo condiviso 8 anni meravigliosi e conservo varie opere dedicate a lei. La più importante è la “Rosa nera”.
M’incuriosisce questo nome col suo contrasto di colori …
Infatti la “Rosa nera” è la sua immagine con i capelli neri e lunghi, con i suoi occhi scuri e profondi. Intorno il fuoco che ha illuminato la nostra storia e la nostra vita; poi per concludere il sole che mi è stato donato dal suo essere donna a 360°, rispettando il mio essere uomo e artista con gli spazi di libertà indispensabili alla mia persona.
Tanti gli argomenti trattati. E dato il tuo feeling con la natura e il creato, qual è il tuo rapporto con la fede?
Credo fermamente in valori come l’umiltà, non tralasciando quindi di essere generoso e gentile con gli altri. Donarmi senza tornaconto personale mi rende felice e mi riempie il cuore.
Un’ultima domanda prima d’andar via dal tuo splendido habitat. La luce e l’influenza barocca del Caravaggio, Vincent Van Gogh con la riproposizione della natura morta con cipressi, grano o girasoli, oppure Leonardo da Vinci nell’uso della prospettiva aerea, come si può ricordare nella “Gioconda”; in chi ti rispecchi maggiormente?
Mi ritrovo maggiormente nella follia e nell’estro del Caravaggio nel rappresentare i poveri, i proletari, i santi o i soldati nella loro essenza più realistica.
Sai Tony, una volta il Caravaggio fu denunciato dalla sua padrona di casa perché oltre a dipingere il soffitto, lo aveva bucherellato per garantirsi quel complesso gioco di luce che solo lui padroneggiava in quel modo. E’ successo anche a te qualcosa di simile?
Ebbene sì: circa un ventennio fa durante la mia permanenza in Germania alloggiavo nell’appartamento di un mio amico e con lo stucco d’auto creai il pavimento con l’immagine di onde vorticose, prendendo spunto da una copertina d’album dei Pink Floyd, qual era “Pulse” del 1994; poi soffitta e mura laterali diventarono un’apoteosi di colori e sfumature. A differenza del Caravaggio però, non fui cacciato di casa, poiché il mio amico apprezzò enormemente e quella stanza a distanza di tempo è rimasta invariata.
Dopo quest’ultimo aneddoto sento solo di ringraziarti Tony della tua disponibilità e non sottrarre altro tempo alla tua arte. Ora vado lasciandoti con una frase che potrai fare tua, parchè “chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta …”
Hai ragione! Anche la mia arte è un moto perpetuo, che muta ogni secondo e che non si ferma mai …
PUBBLICATO NELL' OTTOBRE 2017
L'INTERVISTA: PAOLO GRECO
di Alessio Peluso
“Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni …” recitava Lucio Battisti in uno dei suoi versi più famosi. Sicuramente faceva riferimento a sensazioni personali difficili da descrivere, perché ci sono momenti che lasciano il segno e giorni impossibili da dimenticare. Il nostro ospite è Paolo, 14 anni che proverà a raccontarci l’esperienza del 27 aprile, giorno della Cresima.
Benvenuto Paolo nella grande famiglia di ECCLESIA!
Grazie a voi! L’invito è arrivato a sorpresa, ma come facevo a dire no? Amo provare nuove esperienze, figuriamoci un’intervista!
Bene Paolo, dato che si percepisce la tua carica, parlaci un po' di te …
Sono Paolo, ho 14 anni e frequento la l’Istituto Scientifico a Galatone. La mia grande passione è il calcio ed amo ascoltare musica con il mio cellulare mentre viaggio.
Ok. Ma se ti dico 27 aprile qual è il primo pensiero che balena nella tua mente?
La mia prima sensazione è un pochino d’ansia e paura per il momento importante che mi apprestavo a vivere. Allo stesso tempo una gioia molto particolare, che mi dava la giusta energia.
Anche la preparazione è fondamentale per arrivare col piede giusto all’appuntamento clou. Quando è stato il momento in cui hai sentito di essere veramente pronto?
Ci sono state varie fasi: in primis il Campo Scuola ad Alezio e l’incontro col vescovo, ma ricordo piacevolmente anche uno degli ultimi incontri pre-sacramento con i miei educatori: trattare i sette doni dello Spirito Santo mi ha lasciato dentro qualcosa d’importante, che prima non avevo colto. Una bella emozione!
Dopo tanta attesa, quel pomeriggio la Chiesa era gremita, alla presenza di genitori, amici, fotografi. Forse c’era il pericolo di sentirsi quasi una piccola rockstar, ma nel momento dell’unzione …
E’ stata una frazione di secondi, vissuta con particolare patos. Lo scambio di sorrisi col mio amico Michael è stato tutto un programma che sembrava gridare: ce l’abbiamo fatta! Siamo Cresimati!
E il post-celebrazione? Svelaci qualche retroscena sui festeggiamenti …
Immancabile il ritrovo con i miei familiari. Inoltre ho avuto la fortuna di festeggiare nello stesso locale con altre mie compagne. Peccato non aver potuto assaggiare quell’ottimo prosecco, poiché la tonsillite non mi aveva ancora abbandonato, ma va bene lo stesso.
E ora chi è Paolo? E’ cambiato qualcosa nella tua vita?
Sì, qualcosa è cambiato. Sicuramente vi è un impegno maggiore in parrocchia, a partire dall’ora di Adorazione Eucaristica settimanale.
Per concludere la nostra chiacchierata: qual è il tuo sogno? E soprattutto pensi di poterlo realizzare?
Visto il mio indirizzo scolastico sogno di poter diventare uno scienziato. Il mio modello è Einstein! Magari potessi ricalcare le sue orme. In ogni caso ci proverò, con grande determinazione.
Ti ringrazio Paolo. E’ stato veramente piacevole conoscerti e apprezzarti. E come consuetudine delle nostre interviste con i ragazzi ti lascio con una frase di Gianni Rodari: “Or che i sogni e le speranze si fan veri come fiori,sulla Luna e sulla Terra fate largo ai sognatori!”
Istintivamente ti risponderei che quello che sogni è quello che vorresti vivere! Grazie ancora e alla prossima!
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2017
“Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi emozioni …” recitava Lucio Battisti in uno dei suoi versi più famosi. Sicuramente faceva riferimento a sensazioni personali difficili da descrivere, perché ci sono momenti che lasciano il segno e giorni impossibili da dimenticare. Il nostro ospite è Paolo, 14 anni che proverà a raccontarci l’esperienza del 27 aprile, giorno della Cresima.
Benvenuto Paolo nella grande famiglia di ECCLESIA!
Grazie a voi! L’invito è arrivato a sorpresa, ma come facevo a dire no? Amo provare nuove esperienze, figuriamoci un’intervista!
Bene Paolo, dato che si percepisce la tua carica, parlaci un po' di te …
Sono Paolo, ho 14 anni e frequento la l’Istituto Scientifico a Galatone. La mia grande passione è il calcio ed amo ascoltare musica con il mio cellulare mentre viaggio.
Ok. Ma se ti dico 27 aprile qual è il primo pensiero che balena nella tua mente?
La mia prima sensazione è un pochino d’ansia e paura per il momento importante che mi apprestavo a vivere. Allo stesso tempo una gioia molto particolare, che mi dava la giusta energia.
Anche la preparazione è fondamentale per arrivare col piede giusto all’appuntamento clou. Quando è stato il momento in cui hai sentito di essere veramente pronto?
Ci sono state varie fasi: in primis il Campo Scuola ad Alezio e l’incontro col vescovo, ma ricordo piacevolmente anche uno degli ultimi incontri pre-sacramento con i miei educatori: trattare i sette doni dello Spirito Santo mi ha lasciato dentro qualcosa d’importante, che prima non avevo colto. Una bella emozione!
Dopo tanta attesa, quel pomeriggio la Chiesa era gremita, alla presenza di genitori, amici, fotografi. Forse c’era il pericolo di sentirsi quasi una piccola rockstar, ma nel momento dell’unzione …
E’ stata una frazione di secondi, vissuta con particolare patos. Lo scambio di sorrisi col mio amico Michael è stato tutto un programma che sembrava gridare: ce l’abbiamo fatta! Siamo Cresimati!
E il post-celebrazione? Svelaci qualche retroscena sui festeggiamenti …
Immancabile il ritrovo con i miei familiari. Inoltre ho avuto la fortuna di festeggiare nello stesso locale con altre mie compagne. Peccato non aver potuto assaggiare quell’ottimo prosecco, poiché la tonsillite non mi aveva ancora abbandonato, ma va bene lo stesso.
E ora chi è Paolo? E’ cambiato qualcosa nella tua vita?
Sì, qualcosa è cambiato. Sicuramente vi è un impegno maggiore in parrocchia, a partire dall’ora di Adorazione Eucaristica settimanale.
Per concludere la nostra chiacchierata: qual è il tuo sogno? E soprattutto pensi di poterlo realizzare?
Visto il mio indirizzo scolastico sogno di poter diventare uno scienziato. Il mio modello è Einstein! Magari potessi ricalcare le sue orme. In ogni caso ci proverò, con grande determinazione.
Ti ringrazio Paolo. E’ stato veramente piacevole conoscerti e apprezzarti. E come consuetudine delle nostre interviste con i ragazzi ti lascio con una frase di Gianni Rodari: “Or che i sogni e le speranze si fan veri come fiori,sulla Luna e sulla Terra fate largo ai sognatori!”
Istintivamente ti risponderei che quello che sogni è quello che vorresti vivere! Grazie ancora e alla prossima!
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2017
L'INTERVISTA: NICOLE
di Alessio Greco
Nicole è la testimone esclusiva, dell’arco 12-14. Da sempre partecipe agli incontri domenicali, non ha voluto mancare nell’evento più atteso, ovvero il Camposcuola.
Benvenuta Nicole, su Ecclesia!
Grazie a voi! Non mi aspettavo quest’invito e sono un po’ emozionata.
Niente paura! Anzi, per metterti a tuo agio partiamo subito. Cos’è per te il CampoScuola?
Partecipare al CampoScuola è sempre un’esperienza bellissima che consiglio a tutti. Ogni campo è diverso dall’altro ed è difficile sapere cosa si farà. Certamente ci sono i giochi di squadra, attività, catechesi, l’incontro col Vescovo e tante risate, a renderlo unico.
E a proposito di imprevedibilità quest’anno, altro tema a sorpresa …
Sì, hai ragione! Non mi sarei mai aspettata la presentazione del gabbiano Jonathan Livingston . Leggere il libro poi, ci ha fatto riflettere su vari aspetti della quotidianità.
Come venivano approfonditi gli argomenti?
Principalmente attraverso la condivisione. Inoltre era necessario prepararsi mentalmente alla Cresima e capire l’importanza di questo sacramento. Canti e balli di riferimento sono stati la ciliegina sulla torta. Veramente azzeccati!
La tua gioia è contagiosa, ma c’è qualcosa che cambieresti?
No, non cambierei nulla! Ho vissuto emozioni talmente forti e difficili da raccontare solo con le parole. In primis ci metterei la serenità e la pace interiore.
Un’ultima curiosità: che messaggio senti di lasciare ai compagni dell’Azione Cattolica Ragazzi?
L’ACR non è solo campo! Ha il suo coronamento vivendola durante l’anno. L’ACR rappresenta le nostre mani e grazie a esse noi riusciamo a portare il pane ( Dio) alla nostra bocca (cuore). L’ACR non è l’ impegno della domenica, o un’aggiunta culturale, l’ACR è quel tramite di cui non riuscirei a fare a meno!
Grazie tante Nicole! Le tue ultime parole incarnano lo spirito giusto per essere buoni cristiani. A nome della redazione in bocca al lupo per il futuro!
Semplicemente, cerco di dare nel piccolo il mio contributo. Grazie ancora!
PUBBLICATO NELL' APRILE 2017
Nicole è la testimone esclusiva, dell’arco 12-14. Da sempre partecipe agli incontri domenicali, non ha voluto mancare nell’evento più atteso, ovvero il Camposcuola.
Benvenuta Nicole, su Ecclesia!
Grazie a voi! Non mi aspettavo quest’invito e sono un po’ emozionata.
Niente paura! Anzi, per metterti a tuo agio partiamo subito. Cos’è per te il CampoScuola?
Partecipare al CampoScuola è sempre un’esperienza bellissima che consiglio a tutti. Ogni campo è diverso dall’altro ed è difficile sapere cosa si farà. Certamente ci sono i giochi di squadra, attività, catechesi, l’incontro col Vescovo e tante risate, a renderlo unico.
E a proposito di imprevedibilità quest’anno, altro tema a sorpresa …
Sì, hai ragione! Non mi sarei mai aspettata la presentazione del gabbiano Jonathan Livingston . Leggere il libro poi, ci ha fatto riflettere su vari aspetti della quotidianità.
Come venivano approfonditi gli argomenti?
Principalmente attraverso la condivisione. Inoltre era necessario prepararsi mentalmente alla Cresima e capire l’importanza di questo sacramento. Canti e balli di riferimento sono stati la ciliegina sulla torta. Veramente azzeccati!
La tua gioia è contagiosa, ma c’è qualcosa che cambieresti?
No, non cambierei nulla! Ho vissuto emozioni talmente forti e difficili da raccontare solo con le parole. In primis ci metterei la serenità e la pace interiore.
Un’ultima curiosità: che messaggio senti di lasciare ai compagni dell’Azione Cattolica Ragazzi?
L’ACR non è solo campo! Ha il suo coronamento vivendola durante l’anno. L’ACR rappresenta le nostre mani e grazie a esse noi riusciamo a portare il pane ( Dio) alla nostra bocca (cuore). L’ACR non è l’ impegno della domenica, o un’aggiunta culturale, l’ACR è quel tramite di cui non riuscirei a fare a meno!
Grazie tante Nicole! Le tue ultime parole incarnano lo spirito giusto per essere buoni cristiani. A nome della redazione in bocca al lupo per il futuro!
Semplicemente, cerco di dare nel piccolo il mio contributo. Grazie ancora!
PUBBLICATO NELL' APRILE 2017
L'INTERVISTA: LEONARDO
di Alessio Peluso
Come promesso nel mensile di marzo la redazione di Ecclesia ha vivisezionato con attenzione il Camposcuola svolto ad Alezio dai ragazzi 9-11 e 12-14 di Porto Cesareo, dal 26 febbraio al 1 marzo. Preghiera, attività, giochi e tanta spensieratezza che andremo ad ascoltare nelle esclusive interviste a Leonardo e Nicole.
Ciao Leonardo e benvenuto su Ecclesia!
Grazie a voi! E’ un onore, anche perché è la prima volta che vengo intervistato!
Bene. Per rompere il ghiaccio partiamo con una tua semplice, ma rapida presentazione.
Mi chiamo Leonardo, ho 11 anni e faccio la prima media. Sono un grande appassionato di calcio e mi diverto con le escursioni all’aperto in bicicletta. Inoltre colleziono magliette firmate da cantanti rapper.
Aggiungerei anche che ami provare nuove esperienze. A tal proposito cosa ti dice la parola Campo Scuola?
Per me il Campo Scuola è sinonimo di libertà, perché finalmente mi posso “sganciare” dalla mia famiglia, per vivere questa fantastica esperienza con i miei amici.
Non è la tua prima volta. Qual è il motivo che spinge tanti ragazzi in questa avventura?
Sicuramente hanno in comune con me, l’idea di uscire dalla “routine” quotidiana e sognano di poter trasgredire le regole. Poi non sempre succede …
Veramente interessante. Che ricordo conserverai gelosamente dei giorni passati? Raccontaci un episodio inedito.
Durante la pausa post-pranzo, un mio compagno di stanza ha estratto dalla sua valigia un sacco enorme, con all’interno mini-cornetti vuoti da riempire con un delizioso barattolo di nutella. Ovviamente abbiamo approfittato della momentanea assenza degli educatori …
Che voto dai al tuo Campo Scuola e cosa vorresti cambiare? Se c’è qualcosa da cambiare …
Personalmente mi dò un bel nove! Sono riuscito ad integrarmi bene con i compagni e a divertirmi nel modo giusto. L’unico neo era il non poter accedere alle altre stanze e l’uso limitato dei cellulari. Mi impegnerò a convincere i miei educatori …
Tra i temi trattati ce n’è qualcuno che ha lasciato maggiormente il segno?
Certamente la figura di Don Tonino Bello e il suo prodigarsi per i “senza-tetto”. Non conoscevo questo straordinario personaggio.
Un ultima domanda che riguarda la tua vita: cosa vorresti fare da grande? Hai un sogno nel cassetto?
Anche se mi rendo conto delle difficoltà, sogno di poter accedere all’accademia militare. Amo il brivido, l’adrenalina e soprattutto accarezzo l’idea di poter un giorno difendere il mio Paese.
Grazie mille Leonardo per la tua preziosa testimonianza e come diceva Carlos Weise “l’uomo quando sogna è un gigante che divora le stelle …”
Wow, grazie a voi! E in ogni caso porterò via con me anche quest’ultima citazione. Alla prossima!
PUBBLICATO NELL' APRILE 2017
Come promesso nel mensile di marzo la redazione di Ecclesia ha vivisezionato con attenzione il Camposcuola svolto ad Alezio dai ragazzi 9-11 e 12-14 di Porto Cesareo, dal 26 febbraio al 1 marzo. Preghiera, attività, giochi e tanta spensieratezza che andremo ad ascoltare nelle esclusive interviste a Leonardo e Nicole.
Ciao Leonardo e benvenuto su Ecclesia!
Grazie a voi! E’ un onore, anche perché è la prima volta che vengo intervistato!
Bene. Per rompere il ghiaccio partiamo con una tua semplice, ma rapida presentazione.
Mi chiamo Leonardo, ho 11 anni e faccio la prima media. Sono un grande appassionato di calcio e mi diverto con le escursioni all’aperto in bicicletta. Inoltre colleziono magliette firmate da cantanti rapper.
Aggiungerei anche che ami provare nuove esperienze. A tal proposito cosa ti dice la parola Campo Scuola?
Per me il Campo Scuola è sinonimo di libertà, perché finalmente mi posso “sganciare” dalla mia famiglia, per vivere questa fantastica esperienza con i miei amici.
Non è la tua prima volta. Qual è il motivo che spinge tanti ragazzi in questa avventura?
Sicuramente hanno in comune con me, l’idea di uscire dalla “routine” quotidiana e sognano di poter trasgredire le regole. Poi non sempre succede …
Veramente interessante. Che ricordo conserverai gelosamente dei giorni passati? Raccontaci un episodio inedito.
Durante la pausa post-pranzo, un mio compagno di stanza ha estratto dalla sua valigia un sacco enorme, con all’interno mini-cornetti vuoti da riempire con un delizioso barattolo di nutella. Ovviamente abbiamo approfittato della momentanea assenza degli educatori …
Che voto dai al tuo Campo Scuola e cosa vorresti cambiare? Se c’è qualcosa da cambiare …
Personalmente mi dò un bel nove! Sono riuscito ad integrarmi bene con i compagni e a divertirmi nel modo giusto. L’unico neo era il non poter accedere alle altre stanze e l’uso limitato dei cellulari. Mi impegnerò a convincere i miei educatori …
Tra i temi trattati ce n’è qualcuno che ha lasciato maggiormente il segno?
Certamente la figura di Don Tonino Bello e il suo prodigarsi per i “senza-tetto”. Non conoscevo questo straordinario personaggio.
Un ultima domanda che riguarda la tua vita: cosa vorresti fare da grande? Hai un sogno nel cassetto?
Anche se mi rendo conto delle difficoltà, sogno di poter accedere all’accademia militare. Amo il brivido, l’adrenalina e soprattutto accarezzo l’idea di poter un giorno difendere il mio Paese.
Grazie mille Leonardo per la tua preziosa testimonianza e come diceva Carlos Weise “l’uomo quando sogna è un gigante che divora le stelle …”
Wow, grazie a voi! E in ogni caso porterò via con me anche quest’ultima citazione. Alla prossima!
PUBBLICATO NELL' APRILE 2017
L'INTERVISTA: IRIS RIZZELLO
di Alessio Peluso
Nata tra il 1983-1984 per celebrare l'anniversario numero 1950 della resurrezione di Gesù, la GMG ( Giornata Mondiale della Gioventù ) oggi ha una risonanza mediatica notevole. Istituita su intuizione di Giovanni Paolo II e partita da Roma, quest'anno ha fatto scalo in quel di Cracovia, terra del patrono e fondatore. Ed è proprio qui che milioni di giovani si sono incontrati per vivere un'esperienza unica, come ci testimonierà la nostra ospite: a soli 17 anni Iris con l'intero gruppo parrocchiale dalla piccola Porto Cesareo, fino alla GMG.
Benvenuta Iris su Ecclesia!
Grazie a voi. Sono un po’ emozionata, ma proverò a esprimere al meglio le molteplici emozioni provate.
Dunque, andiamo con ordine: hai solo 17 anni e già hai potuto vivere la tua prima GMG. Come ci sei arrivata? Ovviamente mi riferisco al tuo percorso di fede e di vita...
Tecnicamente non è stata la mia prima GMG. Nel 2013 con altri compagni abbiamo vissuto virtualmente la GMG di Rio, (Brasile) grazie a un collegamento diretto in parrocchia. Da quel momento mi è nata una voglia di conoscenza e di scoperta di cosa sia realmente una GMG e non c'era modo migliore che viverne una dal vivo, con altri 2 milioni di persone che sono lì per lo stesso motivo.
Il percorso non era così facile e prevedeva quasi due giorni di viaggio in pullman. Che clima si respirava? Anche perché l'attesa è stata lunghissima...
A dire la verità la mia paura più grande erano proprio questi due giorni in pullman, all'apparenza interminabili; invece poi mi sono ricreduta, perché ho avuto la possibilità di conoscere tutti i miei compagni d'avventura.
Non oso immaginare il vostro entusiasmo. Ma quali sono state le tue sensazioni iniziali giunta a Cracovia?
L'entusiasmo era alle stelle. Giunta a Cracovia e appena scesa dal treno, ho iniziato a vedere fiumi di persone che avevano tante bandiere diverse. Da li ho avuto la percezione che nel mondo non sarai mai solo perché Dio ci riunisce, al di là della nostra bandiera, storia o cultura!
Uno dei momenti clou era l'arrivo di Papa Francesco. Cosa ti ha colpito di lui e delle sue parole?
Mi ha colpito il suo carisma e il suo sorriso. Il primo giorno l'atmosfera era fantastica e si esibivano canti e balli in lingue e stili diversi.
Delle sue parole mi ha colpito l'aspetto riguardante i tantissimi giovani che sembrano già "pensionati", che non hanno voglia di far niente, che non hanno lo spirito d'avventura.
Poi ci ha posto una domanda:"Le cose possono cambiare?" Tutti abbiamo risposto in coro "siii!!" ed era la convinzione di 2 milioni di giovani che avevano lasciato la loro casa con lo spirito d'avventura, la voglia di andarlo a vedere e di cambiare realmente.
L'impatto con le tante etnie era uno degli aspetti più interessanti. Come lo hai vissuto? Sarebbe interessante qualche anedoto o incontro particolare durante la manifestazione...
E' stato molto bello vedere altre realtà di vita quotidiana, in particolare nella casa in cui ci hanno ospitato: le padrone di casa parlavano solo il polacco, quindi abbiamo comunicato con i gesti e con l'aiuto di Google traduttore.
Nel campus dove si svolgeva la manifestazione invece, vedevi gente di nazionalità diversa che ti circondava e ogni persona che guardavi negli occhi, ti rispondeva con un sorriso sincero.
Un aneddoto simpatico rimasto nei nostri cuori era il coro "italiano batti le mani" che gli altri traducevano in "italiano batto mano", non conoscendo ovviamente alla perfezione la nostra lingua.
Tanti i momenti di gioia, preghiera e riflessione. Cosa pensi possa cambiare in positivo nel tuo percorso di crescita?
Sicuramente questa esperienza mi ha fatto crescere e addirittura il mio compleanno è stato durante il viaggio! Certamente cambierà il modo in cui osservo determinate cose: prima osservavo come una ragazzina che immaginava e sognava tanto, ora sogno come una ragazza che ha vissuto realmente un' esperienza forte e ne può dare testimonianza in prima persona.
Un'ultima curiosità. Com'è stato il ritorno tra le mura domestiche? Immagino la calorosa accoglienza di parenti ed amici...
E' stato strano ritornare a casa.
Sono ripartita con la consapevolezza che un pezzo del mio cuore sarebbe rimasto là. E al ritorno, dopo aver salutato i miei genitori, la seconda persona che ho voluto andare a trovare è stato il mio carissimo amico Alessio, che mi ha rassicurato quando ero ansiosa per il viaggio e sicuramente mi è stato vicino con il pensiero.
Un grosso ringraziamento per la tua testimonianza. Adesso obiettivo Panama 2019 con pass per la prossima GMG?
Ne parleremo. Oggi incrocio le dita e ringrazio Ecclesia per l'accoglienza.
Grazie a te Iris e un grosso in bocca al lupo!
Crepi. E alla prossima!
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2016
Nata tra il 1983-1984 per celebrare l'anniversario numero 1950 della resurrezione di Gesù, la GMG ( Giornata Mondiale della Gioventù ) oggi ha una risonanza mediatica notevole. Istituita su intuizione di Giovanni Paolo II e partita da Roma, quest'anno ha fatto scalo in quel di Cracovia, terra del patrono e fondatore. Ed è proprio qui che milioni di giovani si sono incontrati per vivere un'esperienza unica, come ci testimonierà la nostra ospite: a soli 17 anni Iris con l'intero gruppo parrocchiale dalla piccola Porto Cesareo, fino alla GMG.
Benvenuta Iris su Ecclesia!
Grazie a voi. Sono un po’ emozionata, ma proverò a esprimere al meglio le molteplici emozioni provate.
Dunque, andiamo con ordine: hai solo 17 anni e già hai potuto vivere la tua prima GMG. Come ci sei arrivata? Ovviamente mi riferisco al tuo percorso di fede e di vita...
Tecnicamente non è stata la mia prima GMG. Nel 2013 con altri compagni abbiamo vissuto virtualmente la GMG di Rio, (Brasile) grazie a un collegamento diretto in parrocchia. Da quel momento mi è nata una voglia di conoscenza e di scoperta di cosa sia realmente una GMG e non c'era modo migliore che viverne una dal vivo, con altri 2 milioni di persone che sono lì per lo stesso motivo.
Il percorso non era così facile e prevedeva quasi due giorni di viaggio in pullman. Che clima si respirava? Anche perché l'attesa è stata lunghissima...
A dire la verità la mia paura più grande erano proprio questi due giorni in pullman, all'apparenza interminabili; invece poi mi sono ricreduta, perché ho avuto la possibilità di conoscere tutti i miei compagni d'avventura.
Non oso immaginare il vostro entusiasmo. Ma quali sono state le tue sensazioni iniziali giunta a Cracovia?
L'entusiasmo era alle stelle. Giunta a Cracovia e appena scesa dal treno, ho iniziato a vedere fiumi di persone che avevano tante bandiere diverse. Da li ho avuto la percezione che nel mondo non sarai mai solo perché Dio ci riunisce, al di là della nostra bandiera, storia o cultura!
Uno dei momenti clou era l'arrivo di Papa Francesco. Cosa ti ha colpito di lui e delle sue parole?
Mi ha colpito il suo carisma e il suo sorriso. Il primo giorno l'atmosfera era fantastica e si esibivano canti e balli in lingue e stili diversi.
Delle sue parole mi ha colpito l'aspetto riguardante i tantissimi giovani che sembrano già "pensionati", che non hanno voglia di far niente, che non hanno lo spirito d'avventura.
Poi ci ha posto una domanda:"Le cose possono cambiare?" Tutti abbiamo risposto in coro "siii!!" ed era la convinzione di 2 milioni di giovani che avevano lasciato la loro casa con lo spirito d'avventura, la voglia di andarlo a vedere e di cambiare realmente.
L'impatto con le tante etnie era uno degli aspetti più interessanti. Come lo hai vissuto? Sarebbe interessante qualche anedoto o incontro particolare durante la manifestazione...
E' stato molto bello vedere altre realtà di vita quotidiana, in particolare nella casa in cui ci hanno ospitato: le padrone di casa parlavano solo il polacco, quindi abbiamo comunicato con i gesti e con l'aiuto di Google traduttore.
Nel campus dove si svolgeva la manifestazione invece, vedevi gente di nazionalità diversa che ti circondava e ogni persona che guardavi negli occhi, ti rispondeva con un sorriso sincero.
Un aneddoto simpatico rimasto nei nostri cuori era il coro "italiano batti le mani" che gli altri traducevano in "italiano batto mano", non conoscendo ovviamente alla perfezione la nostra lingua.
Tanti i momenti di gioia, preghiera e riflessione. Cosa pensi possa cambiare in positivo nel tuo percorso di crescita?
Sicuramente questa esperienza mi ha fatto crescere e addirittura il mio compleanno è stato durante il viaggio! Certamente cambierà il modo in cui osservo determinate cose: prima osservavo come una ragazzina che immaginava e sognava tanto, ora sogno come una ragazza che ha vissuto realmente un' esperienza forte e ne può dare testimonianza in prima persona.
Un'ultima curiosità. Com'è stato il ritorno tra le mura domestiche? Immagino la calorosa accoglienza di parenti ed amici...
E' stato strano ritornare a casa.
Sono ripartita con la consapevolezza che un pezzo del mio cuore sarebbe rimasto là. E al ritorno, dopo aver salutato i miei genitori, la seconda persona che ho voluto andare a trovare è stato il mio carissimo amico Alessio, che mi ha rassicurato quando ero ansiosa per il viaggio e sicuramente mi è stato vicino con il pensiero.
Un grosso ringraziamento per la tua testimonianza. Adesso obiettivo Panama 2019 con pass per la prossima GMG?
Ne parleremo. Oggi incrocio le dita e ringrazio Ecclesia per l'accoglienza.
Grazie a te Iris e un grosso in bocca al lupo!
Crepi. E alla prossima!
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2016
L'INTERVISTA: MATTIA IACONISI
di Alessio Peluso
MaNoiNo è un'associazione culturale, nata con lo scopo di proporre e sviluppare iniziative nella zona di Porto Cesareo e dintorni. Mattia Iaconisi è uno dei suoi principali protagonisti e promotori.
Benvenuto Mattia e grazie della tua disponibilità
Grazie a voi di ECCLESIA, per l'opportunità di poter presentare i MaNoiNo.
Bene Mattia, come nasce la tua associazione?
La nostra associazione nasce con l'intento di promuovere all'interno del nostro territorio, eventi di carattere culturale attraverso spettacoli teatrali o musicali, mostre fotografiche, sport e tanto altro utile allo sviluppo di Porto Cesareo.
Anche il nome è particolare ed ha radice nello storico gruppo dei Nomadi. Come nasce l'idea?
Il nome viene fuori quasi per caso: eravamo in macchina, quando ad un tratto ascoltiamo per radio la nota canzone dei Nomadi "Ma noi no" che all'interno del suo testo rispecchia fortemente la nostra ideologia di pensiero. In quel momento è stata come un'illuminazione.
La professione di geometra occupa buona parte del tuo tempo. Come riesci a conciliarlo con l’attività dell’Associazione?
La mia professione occupa tanto tempo, ma con i miei compagni d'avventura,Danilo ed Edoardo,sacrifichiamo volentieri gli istanti che abbiamo a disposizione con l'obiettivo di creare sempre qualcosa di nuovo, per crescere culturalmente e come uomini.
L'associazione nasce nel 2014. Cosa siete riusciti a proporre in questi pochi anni?
In mezzo a mille difficoltà un gran numero di eventi teatrali significativi quali "In ginocchio", "Restiamo umani", o "Colino fa acqua da tutte le parti" con temi scottanti quali la mafia, la Palestina o la privatizzazione dell'acqua tanto per citarne alcuni. Inoltre in primavera eventi sportivi e il Festival dell'associazione, lasciando spazio a gruppi emergenti locali.
L'estate è iniziata. Giugno vi ha visto protagonisti con l'organizzazione del torneo di calcetto ispirato a Euro 2016. Cosa c'è da aspettarsi nei prossimi mesi?
C'è tanta carne al fuoco: in primis lo spettacolo teatrale WOP (with out passport) riguardante emigrazione, razzismo e ignoranza già realizzato il 23 giugno presso la Pro Loco, senza dimenticare la terza edizione del Festival Rock ancora da definire.
Indubbiamente un programma ambizioso e interessante. Ma come rispondono i più giovani alle vostre iniziative?
Purtroppo siamo in pochi e per certi versi è un limite, dato dal fatto che la maggior parte di loro preferisce non mettersi in gioco. Sarà nostra premura condurli a una partecipazione attiva e non alla classica "lamentela da bar" per il quale il nostro paese non funziona. E' importante muoversi e contribuire e noi lo facciamo attingendo anche dalle nostre tasche, per autofinanziarci.
Vista la partecipazione piuttosto carente, cosa potrebbe interessare di più i ragazzi?
Forse leggere quest'intervista potrebbe motivarli maggiormente...Una grande spinta potrebbe arrivare dall'ascolto di musica impegnata, un buon libro che si potrebbe trovare presso la Biblioteca comunale e anche il nostro impegno concreto e deciso nel tempo.
La molla giusta è dentro di noi, basta cercarla!
Un' ultima domanda sul mondo degli adulti. Ci sono, all'interno dell'associazione, e con quale ruolo?
Gli adulti non ci sono, anzi abbiamo trovato maggiore supporto da fasce d'età che partono dai 13 fino ai 30 anni. A loro cerchiamo di trasmettere i valori del significato di associazione che risulta viva solo partecipando.
Grazie Mattia, la nostra intervista termina qui. Ovviamente un grosso in bocca al lupo per il proseguo dei MaNoiNo.
PUBBLICATO NELL' AGOSTO 2016
MaNoiNo è un'associazione culturale, nata con lo scopo di proporre e sviluppare iniziative nella zona di Porto Cesareo e dintorni. Mattia Iaconisi è uno dei suoi principali protagonisti e promotori.
Benvenuto Mattia e grazie della tua disponibilità
Grazie a voi di ECCLESIA, per l'opportunità di poter presentare i MaNoiNo.
Bene Mattia, come nasce la tua associazione?
La nostra associazione nasce con l'intento di promuovere all'interno del nostro territorio, eventi di carattere culturale attraverso spettacoli teatrali o musicali, mostre fotografiche, sport e tanto altro utile allo sviluppo di Porto Cesareo.
Anche il nome è particolare ed ha radice nello storico gruppo dei Nomadi. Come nasce l'idea?
Il nome viene fuori quasi per caso: eravamo in macchina, quando ad un tratto ascoltiamo per radio la nota canzone dei Nomadi "Ma noi no" che all'interno del suo testo rispecchia fortemente la nostra ideologia di pensiero. In quel momento è stata come un'illuminazione.
La professione di geometra occupa buona parte del tuo tempo. Come riesci a conciliarlo con l’attività dell’Associazione?
La mia professione occupa tanto tempo, ma con i miei compagni d'avventura,Danilo ed Edoardo,sacrifichiamo volentieri gli istanti che abbiamo a disposizione con l'obiettivo di creare sempre qualcosa di nuovo, per crescere culturalmente e come uomini.
L'associazione nasce nel 2014. Cosa siete riusciti a proporre in questi pochi anni?
In mezzo a mille difficoltà un gran numero di eventi teatrali significativi quali "In ginocchio", "Restiamo umani", o "Colino fa acqua da tutte le parti" con temi scottanti quali la mafia, la Palestina o la privatizzazione dell'acqua tanto per citarne alcuni. Inoltre in primavera eventi sportivi e il Festival dell'associazione, lasciando spazio a gruppi emergenti locali.
L'estate è iniziata. Giugno vi ha visto protagonisti con l'organizzazione del torneo di calcetto ispirato a Euro 2016. Cosa c'è da aspettarsi nei prossimi mesi?
C'è tanta carne al fuoco: in primis lo spettacolo teatrale WOP (with out passport) riguardante emigrazione, razzismo e ignoranza già realizzato il 23 giugno presso la Pro Loco, senza dimenticare la terza edizione del Festival Rock ancora da definire.
Indubbiamente un programma ambizioso e interessante. Ma come rispondono i più giovani alle vostre iniziative?
Purtroppo siamo in pochi e per certi versi è un limite, dato dal fatto che la maggior parte di loro preferisce non mettersi in gioco. Sarà nostra premura condurli a una partecipazione attiva e non alla classica "lamentela da bar" per il quale il nostro paese non funziona. E' importante muoversi e contribuire e noi lo facciamo attingendo anche dalle nostre tasche, per autofinanziarci.
Vista la partecipazione piuttosto carente, cosa potrebbe interessare di più i ragazzi?
Forse leggere quest'intervista potrebbe motivarli maggiormente...Una grande spinta potrebbe arrivare dall'ascolto di musica impegnata, un buon libro che si potrebbe trovare presso la Biblioteca comunale e anche il nostro impegno concreto e deciso nel tempo.
La molla giusta è dentro di noi, basta cercarla!
Un' ultima domanda sul mondo degli adulti. Ci sono, all'interno dell'associazione, e con quale ruolo?
Gli adulti non ci sono, anzi abbiamo trovato maggiore supporto da fasce d'età che partono dai 13 fino ai 30 anni. A loro cerchiamo di trasmettere i valori del significato di associazione che risulta viva solo partecipando.
Grazie Mattia, la nostra intervista termina qui. Ovviamente un grosso in bocca al lupo per il proseguo dei MaNoiNo.
PUBBLICATO NELL' AGOSTO 2016
L'INTERVISTA: RITA DE VITO
di Vanessa Paladini
Rita De Vito è la nuova dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo di Porto Cesareo subentrata al Preside Giovanni Perrone, collocato in pensione.
- Prof. De Vito, la prima domanda che vorrei farle è quella inerente alla nuova digitalizzazione scolastica, lei è d’accordo con l’introduzione di supporti digitali nelle scuole?
- Se dovessi parlare a livello personale, ti direi che l’odore dei libri è la mia linfa vitale e trovo che i libri, specie quelli più antichi, abbiano un valore senza tempo. Se dovessi invece darti una mia opinione tenendo conto dell’evoluzione digitale che viviamo, ti direi che non posso esimermi dall’accettarla. Nell’ istituto comprensivo di Porto Cesareo, io ed i docenti, stiamo proseguendo sulla strada dell’ex preside Giovanni Perrone, attrezzandoci di strumenti digitali come LIM (lavagne interattive multimediali), Notebook, in quanto sia il registro di classe sia il registro del docente saranno elettronici. Vogliamo così rispondere alla procedura ministeriale che impone il CAD (codice amministrativo digitale) ed inoltre diamo alle famiglie di ogni singolo alunno la possibilità di essere informate in tempo reale di ciò che l’allievo fa tramite delle coordinate. In questo modo si crea anche un legame ancora più intenso tra la scuola e la famiglia.
- Quali attività di laboratorio si svolgeranno durante il corso dell’anno scolastico? Alcune di queste avranno bisogno di supporti multimediali?
- Si svolgeranno i seguenti laboratori: Laboratorio linguistico con utilizzo di Notebook e cuffie e laboratorio musicale che verrà allestito tramite i fondi europei. Inoltre, per potenziare la preparazione degli studenti abbiamo aderito all’AICA, l’ente che permette il rilascio delle patenti informatiche (ECDL). I corsi per l’ECDL saranno aperti a tutti gli esterni che vorranno parteciparvi, perciò non ne favoriranno solo gli studenti dell’istituto e questo permetterà uno scambio culturale anche con il territorio. Tra i tanti progetti c’è anche quello di far diventare l’istituto emittente del Trinity, certificato che attesta la competenza linguistica di uno studente nella lingua inglese.
- La scuola, dato il periodo non felice, sarà in grado allora di rinascere dalle sue ceneri più valida di prima oppure dovrà continuare a vivere in maniera precaria? E ancora, come si dovrebbero valorizzare i giovani secondo lei?
Il periodo è difficile non solo per la scuola, ma per tutto ciò che si vive in questa realtà. Spesso c’è discriminazione tra la scuola italiana - sempre più flagellata dalle spese pubbliche - e quella Europea. La scuola italiana continua nonostante tutto a lottare, anche perché i docenti lavorano assiduamente e sono interessati a sperimentare metodi innovativi d’insegnamento come ad esempio il “globalismo affettivo”. Il Globalismo Affettivo è un metodo di avvio alla letto-scrittura nella continuità tra la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e si rivolge ai bambini sin dai quattro anni, riuscendo a prevenire forme di disgrafia e dislalia. Il metodo scientificamente validato sui bambini disabili e tanto più su quelli normodotati. Trovo che la scuola pubblica si regga tramite la forte credenza nell’insegnamento, insegnamento visto sempre più come vocazione. A volte è semplice dare la colpa alla scuola, come quando secondo sondaggi risultiamo scarsi in qualche disciplina. Io credo che anche le famiglie debbano collaborare all’abbattimento dell’ignoranza. Noi come scuola stiamo avviando delle attività per la valorizzazione dell’eccellenza e intendiamo prendere parte alle olimpiadi della matematica, in collaborazione con l’Università Bocconi. Per i ragazzi che invece hanno difficoltà, vogliamo creare un sistema di classi aperte in modo che si svolgano attività sia di potenziamento che di recupero, con l’ausilio anche dell’AUSER – associazione di volontariato e di promozione sociale.
- A proposito di scuola, ci racconti un po’ del suo rapporto personale con la scuola e con l’istituto attuale.
- Ti dirò che questa è la mia prima esperienza con un istituto comprensivo. Ho avuto molto a che fare con le scuole secondarie superiori, sia come insegnante sia come collaboratrice del dirigente. Diciamo che ho agito sempre in attività di completamento all’educazione. Però, pur essendo subentrata da poco nella dirigenza di questo istituto, posso dire che l’impatto è stato forte. Mi son trovata di fronte a problemi vari: problemi di disagio sociale, disabilità gravi. Tutto ciò va oltre la cultura e la conoscenza, perciò mi auguro di poter creare un clima di accoglienza, in cui i ragazzi siano ascoltati e compresi. Se i ragazzi non sono sereni, il loro rendimento è scarso e se già vivono in questa realtà malata, il nostro compito di educatori diviene principalmente quello di far trovare al bambino la sua dimensione sociale, il suo personale equilibrio in collaborazione con la famiglia. Insomma, creare ciò che Leopardi definiva ‘l’uman catena’.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2013
Rita De Vito è la nuova dirigente scolastica dell’Istituto Comprensivo di Porto Cesareo subentrata al Preside Giovanni Perrone, collocato in pensione.
- Prof. De Vito, la prima domanda che vorrei farle è quella inerente alla nuova digitalizzazione scolastica, lei è d’accordo con l’introduzione di supporti digitali nelle scuole?
- Se dovessi parlare a livello personale, ti direi che l’odore dei libri è la mia linfa vitale e trovo che i libri, specie quelli più antichi, abbiano un valore senza tempo. Se dovessi invece darti una mia opinione tenendo conto dell’evoluzione digitale che viviamo, ti direi che non posso esimermi dall’accettarla. Nell’ istituto comprensivo di Porto Cesareo, io ed i docenti, stiamo proseguendo sulla strada dell’ex preside Giovanni Perrone, attrezzandoci di strumenti digitali come LIM (lavagne interattive multimediali), Notebook, in quanto sia il registro di classe sia il registro del docente saranno elettronici. Vogliamo così rispondere alla procedura ministeriale che impone il CAD (codice amministrativo digitale) ed inoltre diamo alle famiglie di ogni singolo alunno la possibilità di essere informate in tempo reale di ciò che l’allievo fa tramite delle coordinate. In questo modo si crea anche un legame ancora più intenso tra la scuola e la famiglia.
- Quali attività di laboratorio si svolgeranno durante il corso dell’anno scolastico? Alcune di queste avranno bisogno di supporti multimediali?
- Si svolgeranno i seguenti laboratori: Laboratorio linguistico con utilizzo di Notebook e cuffie e laboratorio musicale che verrà allestito tramite i fondi europei. Inoltre, per potenziare la preparazione degli studenti abbiamo aderito all’AICA, l’ente che permette il rilascio delle patenti informatiche (ECDL). I corsi per l’ECDL saranno aperti a tutti gli esterni che vorranno parteciparvi, perciò non ne favoriranno solo gli studenti dell’istituto e questo permetterà uno scambio culturale anche con il territorio. Tra i tanti progetti c’è anche quello di far diventare l’istituto emittente del Trinity, certificato che attesta la competenza linguistica di uno studente nella lingua inglese.
- La scuola, dato il periodo non felice, sarà in grado allora di rinascere dalle sue ceneri più valida di prima oppure dovrà continuare a vivere in maniera precaria? E ancora, come si dovrebbero valorizzare i giovani secondo lei?
Il periodo è difficile non solo per la scuola, ma per tutto ciò che si vive in questa realtà. Spesso c’è discriminazione tra la scuola italiana - sempre più flagellata dalle spese pubbliche - e quella Europea. La scuola italiana continua nonostante tutto a lottare, anche perché i docenti lavorano assiduamente e sono interessati a sperimentare metodi innovativi d’insegnamento come ad esempio il “globalismo affettivo”. Il Globalismo Affettivo è un metodo di avvio alla letto-scrittura nella continuità tra la scuola dell’infanzia e la scuola primaria e si rivolge ai bambini sin dai quattro anni, riuscendo a prevenire forme di disgrafia e dislalia. Il metodo scientificamente validato sui bambini disabili e tanto più su quelli normodotati. Trovo che la scuola pubblica si regga tramite la forte credenza nell’insegnamento, insegnamento visto sempre più come vocazione. A volte è semplice dare la colpa alla scuola, come quando secondo sondaggi risultiamo scarsi in qualche disciplina. Io credo che anche le famiglie debbano collaborare all’abbattimento dell’ignoranza. Noi come scuola stiamo avviando delle attività per la valorizzazione dell’eccellenza e intendiamo prendere parte alle olimpiadi della matematica, in collaborazione con l’Università Bocconi. Per i ragazzi che invece hanno difficoltà, vogliamo creare un sistema di classi aperte in modo che si svolgano attività sia di potenziamento che di recupero, con l’ausilio anche dell’AUSER – associazione di volontariato e di promozione sociale.
- A proposito di scuola, ci racconti un po’ del suo rapporto personale con la scuola e con l’istituto attuale.
- Ti dirò che questa è la mia prima esperienza con un istituto comprensivo. Ho avuto molto a che fare con le scuole secondarie superiori, sia come insegnante sia come collaboratrice del dirigente. Diciamo che ho agito sempre in attività di completamento all’educazione. Però, pur essendo subentrata da poco nella dirigenza di questo istituto, posso dire che l’impatto è stato forte. Mi son trovata di fronte a problemi vari: problemi di disagio sociale, disabilità gravi. Tutto ciò va oltre la cultura e la conoscenza, perciò mi auguro di poter creare un clima di accoglienza, in cui i ragazzi siano ascoltati e compresi. Se i ragazzi non sono sereni, il loro rendimento è scarso e se già vivono in questa realtà malata, il nostro compito di educatori diviene principalmente quello di far trovare al bambino la sua dimensione sociale, il suo personale equilibrio in collaborazione con la famiglia. Insomma, creare ciò che Leopardi definiva ‘l’uman catena’.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2013
L’INTERVISTA: DON SALVATORE NESTOLA
di Vanessa Paladini
Don Salvatore Nestola, classe 1939, è ordinato sacerdote nella chiesa “San Giuseppe Patriarca” il 07/07/1963. Ha effettuato servizio sacerdotale a Porto Cesareo dal 1985 al 2002, ma già a partire dal 1971 affianca Don Lorenzo Marzio Strafella con il ruolo di viceparroco. In procinto di celebrare i suoi 50 anni di Ministero Presbiteriale, Don Salvatore si abbandona a vecchi e nuovi ricordi, rimarcando il suo legame con Porto Cesareo e rimembrando - sia affettuosamente che nostalgicamente - il rapporto di fiducia instaurato con i fedeli del luogo.
- Don Salvatore avvio questo colloquio chiedendole la ragione per la quale ha deciso di dare la vita per la religione.
- Fin da bambino ho ammirato molto la figura di un parroco che celebrava la messa a Copertino e che aveva il mio stesso nome e cognome. Pensavo tra me e me che mi sarebbe piaciuto un giorno declamare il Vangelo come faceva lui. Purtroppo, però la mia famiglia era povera, eravamo otto fratelli, e mio padre non aveva abbastanza soldi per farmi iniziare subito quel tipo di carriera. Nel 1950 però i miei genitori decidono di farmi entrare comunque in seminario a Nardò, nel quale sono rimasto sino al 1955. I miei propositi circa il futuro non erano ancora definiti intorno ai 20 anni, solo alla fine del luglio 1962 prendo una decisione effettiva e faccio finalmente ingresso negli ordini sacri per poi essere ordinato sacerdote il 7 luglio del 1963.
- I suoi familiari quindi hanno reagito bene a questa sua decisione nonostante le ristrettezze economiche?
- Certo, erano contentissimi del sacerdozio. Erano orgogliosi del fatto che in casa nostra ci fosse qualcuno che un giorno avrebbe celebrato messa e poi erano molto legati al parroco di allora. Ricordo che mio nonno materno, appresa la notizia, mi disse: “Se penso che uno come te ha avuto questa vocazione allora il Signore è grande”.
- Cosa chiedono oggigiorno i giovani ad una figura come quella del sacerdote?
- I giovani chiedono che il sacerdote passi molto tempo accanto a loro e che si collochi al loro livello. Che si stia meno “seduti in cattedra” e che ci sia più partecipazione in tutti i sensi, scendendo così dal “prestigio” al servizio. Un servizio autentico, senza volerseli ingraziare a tutti i costi perché anche se un sacerdote porta dentro una realtà più grande di sé non deve togliere la genuinità al suo messaggio. I giovani hanno bisogno di essere richiamati all’autenticità della vita! Prima, la famiglia la scuola e la parrocchia erano le vere realtà esistenti, ora invece queste entità sono state offese. Le famiglie danno molta libertà ai ragazzi che fanno tutto ciò che gli passa per la testa anche quando maturano in loro pensieri nocivi.
- Spesso si sente dire, in modo quasi offensivo, “Ma cosa fa un sacerdote?” Lei come risponderebbe a questa domanda, se le venisse fatta?
- Cosa fa un sacerdote? Quello che fa un papà, cura la vita. La vita della cultura, la vita dello spirito e la vita della preghiera. Un parroco è tale in quanto non solo gestisce una parrocchia e promuove la fede cristiana dei battezzati ma anche perché è nominato Ministro del culto cattolico. Nella mia esperienza di sacerdozio ho accolto molta gente con le lacrime agli occhi, che veniva a parlare con me anche a tarda notte. Un sacerdote ascolta, come ho fatto io, le sofferenze dei fedeli e prega per loro silenziosamente. Ricordo che quando ero accanto a Don Lorenzo, a Porto Cesareo, la sua auto veniva messa a disposizione per chi ne aveva bisogno, anche per gente che doveva partorire.
- Com’è attualmente il rapporto con i fedeli a Copertino e com’era invece quello con i fedeli di Porto Cesareo?
Io a Porto Cesareo sono cresciuto come prete affiancando appunto Don Lorenzo ed accanto a lui sono maturato. Devo dire che a Porto Cesareo sono stato a mio agio anche perché per ben 14 anni sono stato viceparroco. Il rapporto che si era creato con la gente del posto era molto stretto e ascoltava con immenso piacere le liturgie. Non avrei mai chiesto al vescovo, di mia spontanea volontà, di farmi cambiare sede. Ma al mio vescovo dovevo - e devo - obbedienza, nonostante mi costasse molto andare via. A Copertino ho trascorso male i mesi di luglio e agosto dell’anno 2002, in chiesa non c’era gente ed io non sentivo il calore dei miei concittadini. Con il passare del tempo ho trovato un esiguo gruppo di famiglie con il quale ho instaurato un bel rapporto ma purtroppo non sono riuscito a legare così tanto come con le famiglie di Porto Cesareo. Una cosa che mi dispiace è che ci sia un impoverimento spirituale e culturale dei giovani che viene lenito solo durante l’inverno, dove la parrocchia diviene un luogo di ritrovo per grandi e piccini.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2013
Don Salvatore Nestola, classe 1939, è ordinato sacerdote nella chiesa “San Giuseppe Patriarca” il 07/07/1963. Ha effettuato servizio sacerdotale a Porto Cesareo dal 1985 al 2002, ma già a partire dal 1971 affianca Don Lorenzo Marzio Strafella con il ruolo di viceparroco. In procinto di celebrare i suoi 50 anni di Ministero Presbiteriale, Don Salvatore si abbandona a vecchi e nuovi ricordi, rimarcando il suo legame con Porto Cesareo e rimembrando - sia affettuosamente che nostalgicamente - il rapporto di fiducia instaurato con i fedeli del luogo.
- Don Salvatore avvio questo colloquio chiedendole la ragione per la quale ha deciso di dare la vita per la religione.
- Fin da bambino ho ammirato molto la figura di un parroco che celebrava la messa a Copertino e che aveva il mio stesso nome e cognome. Pensavo tra me e me che mi sarebbe piaciuto un giorno declamare il Vangelo come faceva lui. Purtroppo, però la mia famiglia era povera, eravamo otto fratelli, e mio padre non aveva abbastanza soldi per farmi iniziare subito quel tipo di carriera. Nel 1950 però i miei genitori decidono di farmi entrare comunque in seminario a Nardò, nel quale sono rimasto sino al 1955. I miei propositi circa il futuro non erano ancora definiti intorno ai 20 anni, solo alla fine del luglio 1962 prendo una decisione effettiva e faccio finalmente ingresso negli ordini sacri per poi essere ordinato sacerdote il 7 luglio del 1963.
- I suoi familiari quindi hanno reagito bene a questa sua decisione nonostante le ristrettezze economiche?
- Certo, erano contentissimi del sacerdozio. Erano orgogliosi del fatto che in casa nostra ci fosse qualcuno che un giorno avrebbe celebrato messa e poi erano molto legati al parroco di allora. Ricordo che mio nonno materno, appresa la notizia, mi disse: “Se penso che uno come te ha avuto questa vocazione allora il Signore è grande”.
- Cosa chiedono oggigiorno i giovani ad una figura come quella del sacerdote?
- I giovani chiedono che il sacerdote passi molto tempo accanto a loro e che si collochi al loro livello. Che si stia meno “seduti in cattedra” e che ci sia più partecipazione in tutti i sensi, scendendo così dal “prestigio” al servizio. Un servizio autentico, senza volerseli ingraziare a tutti i costi perché anche se un sacerdote porta dentro una realtà più grande di sé non deve togliere la genuinità al suo messaggio. I giovani hanno bisogno di essere richiamati all’autenticità della vita! Prima, la famiglia la scuola e la parrocchia erano le vere realtà esistenti, ora invece queste entità sono state offese. Le famiglie danno molta libertà ai ragazzi che fanno tutto ciò che gli passa per la testa anche quando maturano in loro pensieri nocivi.
- Spesso si sente dire, in modo quasi offensivo, “Ma cosa fa un sacerdote?” Lei come risponderebbe a questa domanda, se le venisse fatta?
- Cosa fa un sacerdote? Quello che fa un papà, cura la vita. La vita della cultura, la vita dello spirito e la vita della preghiera. Un parroco è tale in quanto non solo gestisce una parrocchia e promuove la fede cristiana dei battezzati ma anche perché è nominato Ministro del culto cattolico. Nella mia esperienza di sacerdozio ho accolto molta gente con le lacrime agli occhi, che veniva a parlare con me anche a tarda notte. Un sacerdote ascolta, come ho fatto io, le sofferenze dei fedeli e prega per loro silenziosamente. Ricordo che quando ero accanto a Don Lorenzo, a Porto Cesareo, la sua auto veniva messa a disposizione per chi ne aveva bisogno, anche per gente che doveva partorire.
- Com’è attualmente il rapporto con i fedeli a Copertino e com’era invece quello con i fedeli di Porto Cesareo?
Io a Porto Cesareo sono cresciuto come prete affiancando appunto Don Lorenzo ed accanto a lui sono maturato. Devo dire che a Porto Cesareo sono stato a mio agio anche perché per ben 14 anni sono stato viceparroco. Il rapporto che si era creato con la gente del posto era molto stretto e ascoltava con immenso piacere le liturgie. Non avrei mai chiesto al vescovo, di mia spontanea volontà, di farmi cambiare sede. Ma al mio vescovo dovevo - e devo - obbedienza, nonostante mi costasse molto andare via. A Copertino ho trascorso male i mesi di luglio e agosto dell’anno 2002, in chiesa non c’era gente ed io non sentivo il calore dei miei concittadini. Con il passare del tempo ho trovato un esiguo gruppo di famiglie con il quale ho instaurato un bel rapporto ma purtroppo non sono riuscito a legare così tanto come con le famiglie di Porto Cesareo. Una cosa che mi dispiace è che ci sia un impoverimento spirituale e culturale dei giovani che viene lenito solo durante l’inverno, dove la parrocchia diviene un luogo di ritrovo per grandi e piccini.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2013