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"La musica ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza ..." sosteneva Nick Hornby. Nasce a tal proposito la rubrica FOCUS MUSICALE, un modo unico per conoscere gli artisti che hanno fatto la storia; non mancano approfondimenti legati alla musica salentina.
BATTISTI E I SUOI GIORNI
NEL SALENTO
di Aurora Paladini
Una storia di sperimentazione oltre ogni convenzione stilistica. Il 5 marzo, Lucio Battisti avrebbe compiuto 78 anni e noi lo ricordiamo ancora grazie alla posizione che ha conquistato nell’olimpo del panorama musicale italiano del Novecento. Fuori dai contesti a cui siamo abituati oggi, l’inizio della sua carriera è sancito da un’esibizione come chitarrista in un locale di Milano insieme alla sua band dal nome “Campioni”. Solo un anno dopo, firma il suo primo contratto discografico e incontra Mogol: si rivelerà un incontro decisivo per la sua creatività artistica, che porterà ad una sinergia ineguagliabile tra note e parole. Tutti conoscono i brani iconici che lo hanno consacrato alla storia. Non tutti, però, sanno che alcune delle sue creazioni più apprezzate potrebbero essere state ispirate proprio dal nostro mare. Infatti, tra il 1967 e il 1968, Battisti e Mogol hanno spesso soggiornato in una villa vicina alla spiaggia di Torre Squillace, tra Porto Cesareo e Sant’Isidoro. Avevano conosciuto la nostra terra grazie ad Adriano Pappalardo e se ne innamorarono al punto di acquistare un’abitazione per i loro ritiri estivi. In questi anni sono state composte le celebri “Acqua azzurra, acqua chiara” e “La canzone del sole” : la prima è certamente frutto d’ispirazione alle nostre acque cristalline, mentre sulla seconda il dibattito resta aperto. Battisti e Mogol continuarono a frequentare il posto fino al 1973, anno in cui decisero di vendere la loro proprietà in seguito ai sempre più frequenti casi di abusivismo edilizio che avevano ormai compromesso la tranquillità del luogo.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
Una storia di sperimentazione oltre ogni convenzione stilistica. Il 5 marzo, Lucio Battisti avrebbe compiuto 78 anni e noi lo ricordiamo ancora grazie alla posizione che ha conquistato nell’olimpo del panorama musicale italiano del Novecento. Fuori dai contesti a cui siamo abituati oggi, l’inizio della sua carriera è sancito da un’esibizione come chitarrista in un locale di Milano insieme alla sua band dal nome “Campioni”. Solo un anno dopo, firma il suo primo contratto discografico e incontra Mogol: si rivelerà un incontro decisivo per la sua creatività artistica, che porterà ad una sinergia ineguagliabile tra note e parole. Tutti conoscono i brani iconici che lo hanno consacrato alla storia. Non tutti, però, sanno che alcune delle sue creazioni più apprezzate potrebbero essere state ispirate proprio dal nostro mare. Infatti, tra il 1967 e il 1968, Battisti e Mogol hanno spesso soggiornato in una villa vicina alla spiaggia di Torre Squillace, tra Porto Cesareo e Sant’Isidoro. Avevano conosciuto la nostra terra grazie ad Adriano Pappalardo e se ne innamorarono al punto di acquistare un’abitazione per i loro ritiri estivi. In questi anni sono state composte le celebri “Acqua azzurra, acqua chiara” e “La canzone del sole” : la prima è certamente frutto d’ispirazione alle nostre acque cristalline, mentre sulla seconda il dibattito resta aperto. Battisti e Mogol continuarono a frequentare il posto fino al 1973, anno in cui decisero di vendere la loro proprietà in seguito ai sempre più frequenti casi di abusivismo edilizio che avevano ormai compromesso la tranquillità del luogo.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
PETRELLI: DALLA CHITARRA
AL COVO DI MOZART (seconda parte)
di Alessio Peluso
Così durante queste sessioni, nasce il sodalizio con il batterista Andrea Spagnolo, con il quale decide di fondare una band. E ad imprimere una svolta decisiva ci pensa una vecchia cassetta dei Metallica, prestata dal vocalist Gianni Iaconisi. Marco comprende che la sua strada è la musica e a partire dall’età di 17 anni, comincia ad insegnare il suo amato strumento a sei corde, mentre nel frattempo comprende che il Conservatorio non è la strada da percorrere. Ad aprire nuovi orizzonti invece, è l’iscrizione all’Università della Musica, a Roma: saranno due anni cruciali, nei quali amplierà le sue conoscenze e competenze musicali. Intanto le lezioni private vanno a gonfie vele e un sogno si affaccia prepotente nel cuore di Marco: aprire una scuola di musica a Porto Cesareo. Provvidenziale risulta l’incontro con la flautista Anna Lucia Albano e Maria Pia Calogiuri, con una grande passione per il pianoforte. Entrambe saranno figure importanti per tramutare il sogno in realtà. Marco, intanto, con i suoi amici Paolo Calcagnile ed Italo Minnella, provvede alla formazione della sala prove, in maniera del tutto originale. È il novembre 2011, quando la prima scuola di musica cesarina prende il via, e il suo nome sarà tratto dalla via in cui è situata: nasce ufficialmente il “Covo di Mozart”, con corsi che comprendono chitarra, basso, batteria, piano e canto. È un successo, certificato dal boom di iscrizioni registrato durante l’anno inaugurale. Seguiranno iniziative e collaborazioni rilevanti, a partire dalla I e II Edizione del “Concorso Canoro” per bambini, con la preziosa collaborazione di Barbara Paladini e della Ludoteca “Bim Bum Bam”; vari saggi proposti con la scuola di ballo di Cristina Parente e manifestazioni presso la palestra “Egizia Club”. Ora il Covo di Mozart ha compiuto il suo decennio di vita, tra professionalità e buona musica. È così che quella voglia di osare e sognare, che ha contraddistinto Marco Petrelli, è divenuta una realtà stabile della nostra comunità.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
Così durante queste sessioni, nasce il sodalizio con il batterista Andrea Spagnolo, con il quale decide di fondare una band. E ad imprimere una svolta decisiva ci pensa una vecchia cassetta dei Metallica, prestata dal vocalist Gianni Iaconisi. Marco comprende che la sua strada è la musica e a partire dall’età di 17 anni, comincia ad insegnare il suo amato strumento a sei corde, mentre nel frattempo comprende che il Conservatorio non è la strada da percorrere. Ad aprire nuovi orizzonti invece, è l’iscrizione all’Università della Musica, a Roma: saranno due anni cruciali, nei quali amplierà le sue conoscenze e competenze musicali. Intanto le lezioni private vanno a gonfie vele e un sogno si affaccia prepotente nel cuore di Marco: aprire una scuola di musica a Porto Cesareo. Provvidenziale risulta l’incontro con la flautista Anna Lucia Albano e Maria Pia Calogiuri, con una grande passione per il pianoforte. Entrambe saranno figure importanti per tramutare il sogno in realtà. Marco, intanto, con i suoi amici Paolo Calcagnile ed Italo Minnella, provvede alla formazione della sala prove, in maniera del tutto originale. È il novembre 2011, quando la prima scuola di musica cesarina prende il via, e il suo nome sarà tratto dalla via in cui è situata: nasce ufficialmente il “Covo di Mozart”, con corsi che comprendono chitarra, basso, batteria, piano e canto. È un successo, certificato dal boom di iscrizioni registrato durante l’anno inaugurale. Seguiranno iniziative e collaborazioni rilevanti, a partire dalla I e II Edizione del “Concorso Canoro” per bambini, con la preziosa collaborazione di Barbara Paladini e della Ludoteca “Bim Bum Bam”; vari saggi proposti con la scuola di ballo di Cristina Parente e manifestazioni presso la palestra “Egizia Club”. Ora il Covo di Mozart ha compiuto il suo decennio di vita, tra professionalità e buona musica. È così che quella voglia di osare e sognare, che ha contraddistinto Marco Petrelli, è divenuta una realtà stabile della nostra comunità.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
PETRELLI: DALLA CHITARRA
AL COVO DI MOZART (prima parte)
di Alessio Peluso
“Osa diventare ciò che sei. E non disarmarti facilmente. Ci sono meravigliose opportunità in ogni essere. Persuaditi della tua forza e della tua gioventù. Continua a ripetere incessantemente, non spetta che a me…” Parole di Andrè Gide, scrittore francese e premio Nobel per la letteratura nel 1947. Una riflessione, che facendo un balzo nel tempo di trent’anni ci conduce al 12 ottobre 1977, data di nascita di Marco Petrelli, nato a Copertino, ma di origini cesarine. Fin dalla più tenera età il ritmo è parte integrante della sua vita, a partire dalle classi primarie, con l’uso smodato di quella che diventerà a breve la “beat – box”, ovvero imitare la batteria con il movimento della bocca. Ma è solo l’inizio e qualcosa si accende, durante il passaggio tra le classi, di un signore che invita a prendere parte ad alcuni corsi musicali. Marco ha le idee ben chiare e spinge la madre verso l’apprendimento della chitarra, ottenendo in cambio solo quella giocattolo. Gli anni passano e nel corso della Terza Media la visione di una foto sul libro di inglese, con un ragazzo accompagnato dai suoi amici, insieme ad un’appariscente chitarra blu, riaccende il desiderio. Questa volta, complice l’aiuto di un amico di famiglia, la madre cede alle richieste ed acquista una chitarra classica. L’entusiasmo iniziale è travolgente e “Smoke on the water”, classico riff rock dei Deep Purple, è il primo pezzo che Marco riesce a suonare. Ad alimentare la fiamma della passione, ecco l’invito ad esibirsi durante i “Giochi di Don Bosco”, che si tenevano in parrocchia agli inizi degli anni ’90. L’aiuto del tastierista Antonello Saponaro è fondamentale per apprendere le canzoni e imparare nuovi accordi. Da qui in poi è un crescendo emozionale ricolmo di incontri con altri musicisti, spesso più grandi, con i quali confrontarsi e migliorare: a soli 13 anni Marco si ritrova a suonare “The wall” dei Pink Floyd, con un gruppo di ragazzi quasi maggiorenni, che si complimentano per l’interpretazione.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
“Osa diventare ciò che sei. E non disarmarti facilmente. Ci sono meravigliose opportunità in ogni essere. Persuaditi della tua forza e della tua gioventù. Continua a ripetere incessantemente, non spetta che a me…” Parole di Andrè Gide, scrittore francese e premio Nobel per la letteratura nel 1947. Una riflessione, che facendo un balzo nel tempo di trent’anni ci conduce al 12 ottobre 1977, data di nascita di Marco Petrelli, nato a Copertino, ma di origini cesarine. Fin dalla più tenera età il ritmo è parte integrante della sua vita, a partire dalle classi primarie, con l’uso smodato di quella che diventerà a breve la “beat – box”, ovvero imitare la batteria con il movimento della bocca. Ma è solo l’inizio e qualcosa si accende, durante il passaggio tra le classi, di un signore che invita a prendere parte ad alcuni corsi musicali. Marco ha le idee ben chiare e spinge la madre verso l’apprendimento della chitarra, ottenendo in cambio solo quella giocattolo. Gli anni passano e nel corso della Terza Media la visione di una foto sul libro di inglese, con un ragazzo accompagnato dai suoi amici, insieme ad un’appariscente chitarra blu, riaccende il desiderio. Questa volta, complice l’aiuto di un amico di famiglia, la madre cede alle richieste ed acquista una chitarra classica. L’entusiasmo iniziale è travolgente e “Smoke on the water”, classico riff rock dei Deep Purple, è il primo pezzo che Marco riesce a suonare. Ad alimentare la fiamma della passione, ecco l’invito ad esibirsi durante i “Giochi di Don Bosco”, che si tenevano in parrocchia agli inizi degli anni ’90. L’aiuto del tastierista Antonello Saponaro è fondamentale per apprendere le canzoni e imparare nuovi accordi. Da qui in poi è un crescendo emozionale ricolmo di incontri con altri musicisti, spesso più grandi, con i quali confrontarsi e migliorare: a soli 13 anni Marco si ritrova a suonare “The wall” dei Pink Floyd, con un gruppo di ragazzi quasi maggiorenni, che si complimentano per l’interpretazione.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
I VAN HALEN
di Aurora Paladini
Una storia tormentata dai conflitti interni e dai problemi. I “Van Halen”, celebre gruppo rock statunitense, hanno perso la loro roccia salda: il leggendario chitarrista Eddie Van Halen. Fondatore dell’omonimo gruppo nel 1978, è stato la costante che ha accompagnato il viaggio della band nel mondo del rock tra successi e separazioni. Si potrebbe persino dire che l’attenzione verso il gruppo sia attribuibile alle abilità di sperimentazione di Van Halen, tanto straordinarie da garantirgli un posto nella Top 100 dei più grandi chitarristi di sempre stilata dalla redazione di “Rolling Stones” nel 2015. Il più grande successo del gruppo è senza dubbio l’album “1984”, in cui è contenuto il singolo “Jump”, il loro primo e unico pezzo ad aver raggiunto la vetta più alta delle classifiche. Rimane alla storia anche l’assolo di chitarra composto da Eddie per la celeberrima “Beat it” di Michael Jackson. Strada facendo, come se non bastasse, ai problemi che affliggevano l’intera band si aggiungono i problemi di salute di Van Halen stesso, a causa dell’abuso di droghe e alcool, fino ad arrivare al cancro che lo ha portato via lo scorso ottobre, dopo anni di dura lotta. L’ultima appari zione pubblica dei Van Halen risale al 2007; tuttavia, nonostante il successo del tour, che ha visto sul palco la riapparizione dell’ex - frontman David Lee Roth e l’esordio del figlio di Eddie al basso, i conflitti interni hanno stroncato ancora una volta l’attività del gruppo.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
Una storia tormentata dai conflitti interni e dai problemi. I “Van Halen”, celebre gruppo rock statunitense, hanno perso la loro roccia salda: il leggendario chitarrista Eddie Van Halen. Fondatore dell’omonimo gruppo nel 1978, è stato la costante che ha accompagnato il viaggio della band nel mondo del rock tra successi e separazioni. Si potrebbe persino dire che l’attenzione verso il gruppo sia attribuibile alle abilità di sperimentazione di Van Halen, tanto straordinarie da garantirgli un posto nella Top 100 dei più grandi chitarristi di sempre stilata dalla redazione di “Rolling Stones” nel 2015. Il più grande successo del gruppo è senza dubbio l’album “1984”, in cui è contenuto il singolo “Jump”, il loro primo e unico pezzo ad aver raggiunto la vetta più alta delle classifiche. Rimane alla storia anche l’assolo di chitarra composto da Eddie per la celeberrima “Beat it” di Michael Jackson. Strada facendo, come se non bastasse, ai problemi che affliggevano l’intera band si aggiungono i problemi di salute di Van Halen stesso, a causa dell’abuso di droghe e alcool, fino ad arrivare al cancro che lo ha portato via lo scorso ottobre, dopo anni di dura lotta. L’ultima appari zione pubblica dei Van Halen risale al 2007; tuttavia, nonostante il successo del tour, che ha visto sul palco la riapparizione dell’ex - frontman David Lee Roth e l’esordio del figlio di Eddie al basso, i conflitti interni hanno stroncato ancora una volta l’attività del gruppo.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
FRYDERYK CHOPIN
di Aurora Paladini
Nato nel 1810, Fryderyk Chopin è tra i maggiori protagonisti del panorama musicale romantico. Pianista e compositore di origini polacche, la sua ascesa alla gloria inizia da giovanissimo nella Parigi del XIX secolo. Grazie all’abbandono di ogni influenza scolastica e della tecnica contrappuntistica, Chopin rinnova profondamente le tecniche di composizione per pianoforte, introducendo larghi arpeggi, gradazioni cromatiche e alterazioni sottili. Le forme da lui preferite per le sue composizioni sono infatti, quelle che più consentono libertà di movimento e variazioni: preludi, notturni, scherzi, ballate, sono solo una parte di un repertorio musicale ricco di brani dal carattere sempre diverso e marcato. Basta ascoltare uno dei suoi brani per essere trasportati in un nuovo mondo di armonie, ricco di sfumature mai scontate che suscitano meraviglia ed emozione. Alcuni critici sostengono che Chopin abbia un ruolo chiave nella storia della musica: senza di lui, probabilmente non avremmo conosciuto Liszt, Debussy, Brahms, oppure non li avremmo conosciuti così come sono arrivati a noi. Dopo la sua morte, nel 1849, viene sepolto nel celebre cimitero parigino Père - Lachaise, dove tuttora turisti da tutto il mondo si recano a visitare la sua tomba. Tuttavia, pochi sanno che il suo cuore non è lì, ma è custodito a Varsavia, la sua terra natale, nella chiesa di Santa Croce.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
Nato nel 1810, Fryderyk Chopin è tra i maggiori protagonisti del panorama musicale romantico. Pianista e compositore di origini polacche, la sua ascesa alla gloria inizia da giovanissimo nella Parigi del XIX secolo. Grazie all’abbandono di ogni influenza scolastica e della tecnica contrappuntistica, Chopin rinnova profondamente le tecniche di composizione per pianoforte, introducendo larghi arpeggi, gradazioni cromatiche e alterazioni sottili. Le forme da lui preferite per le sue composizioni sono infatti, quelle che più consentono libertà di movimento e variazioni: preludi, notturni, scherzi, ballate, sono solo una parte di un repertorio musicale ricco di brani dal carattere sempre diverso e marcato. Basta ascoltare uno dei suoi brani per essere trasportati in un nuovo mondo di armonie, ricco di sfumature mai scontate che suscitano meraviglia ed emozione. Alcuni critici sostengono che Chopin abbia un ruolo chiave nella storia della musica: senza di lui, probabilmente non avremmo conosciuto Liszt, Debussy, Brahms, oppure non li avremmo conosciuti così come sono arrivati a noi. Dopo la sua morte, nel 1849, viene sepolto nel celebre cimitero parigino Père - Lachaise, dove tuttora turisti da tutto il mondo si recano a visitare la sua tomba. Tuttavia, pochi sanno che il suo cuore non è lì, ma è custodito a Varsavia, la sua terra natale, nella chiesa di Santa Croce.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
MASSIMO DONNO
di Alessio Peluso
Un po’ di anni or sono, la forte passione per la musica d’autore di Fabrizio De Andrè ci spinse a partecipare a un evento che attirò la nostra attenzione. In un piccolo locale, tra le viuzze storiche di Lecce, Massimo Donno avrebbe tenuto un concerto interpretando Fabrizio De Andrè. Lo spazio era assai ridotto, tavolini già prenotati sia al piano inferiore che sul soppalco. Ovviamente la brama di ascoltare la musica del Faber prese il sopravvento, facendoci posizionare tra il bancone pieno di salumi e carni e il piccolo posto riservato all’artista. Bastarono poche canzoni per riscaldare i nostri animi e nel giro di pochi minuti diventammo il “coro” di Massimo Donno; una serata memorabile tra buon cibo, musica di qualità e smisurata partecipazione da parte dei presenti. Conoscemmo un’artista a tutti gli effetti dal quale acquistai il suo album appena uscito “Amore e marchette” nel 2013; spiccano tante collaborazioni importanti come Francesco Del Prete ed Alessia Tondo. È un album che riceve numerosi attestati dalla critica, con il singolo “Amore e Marchette” che resta per tre settimane nella classifica “Indie Music Like” ed è trasmesso da 200 emittenti tra Italia, Germania e Argentina. Il 2013 – 2014 si rivela un anno importante: inizia un tour in giro per l’Italia aprendo concerti di artisti già affermati quali Daniele Silvestri e Fabio Concato. Nell’agosto 2014 inizia la collaborazione con l’organettista - compositore pistoiese Riccardo Tesi. Diversi live nell’estate porteranno i due ad iniziare una collaborazione anche in studio. Il Maestro Tesi sarà il produttore artistico - arrangiatore dell’album “Partenze”, uscito ad Aprile 2015. Segue all’uscita del disco una serie di concerti di presentazione dell’album, tra cui una tappa in Grecia nel prestigioso “International Festival Andros”, tenutosi sull’omonima isola delle Cicladi, insieme alla cantante - compositrice greco - brasiliana Katerina Polemi. A settembre 2015 i giurati del Premio Tenco inseriscono “Partenze” nella rosa dei votabili, come miglior album dell'anno. Il disco, quindi, risulta tra i 50 migliori album di musica italiana pubblicati nel 2015 in Italia. Ultimo lavoro in ordine di tempo “Viva il re” nel 2017.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Un po’ di anni or sono, la forte passione per la musica d’autore di Fabrizio De Andrè ci spinse a partecipare a un evento che attirò la nostra attenzione. In un piccolo locale, tra le viuzze storiche di Lecce, Massimo Donno avrebbe tenuto un concerto interpretando Fabrizio De Andrè. Lo spazio era assai ridotto, tavolini già prenotati sia al piano inferiore che sul soppalco. Ovviamente la brama di ascoltare la musica del Faber prese il sopravvento, facendoci posizionare tra il bancone pieno di salumi e carni e il piccolo posto riservato all’artista. Bastarono poche canzoni per riscaldare i nostri animi e nel giro di pochi minuti diventammo il “coro” di Massimo Donno; una serata memorabile tra buon cibo, musica di qualità e smisurata partecipazione da parte dei presenti. Conoscemmo un’artista a tutti gli effetti dal quale acquistai il suo album appena uscito “Amore e marchette” nel 2013; spiccano tante collaborazioni importanti come Francesco Del Prete ed Alessia Tondo. È un album che riceve numerosi attestati dalla critica, con il singolo “Amore e Marchette” che resta per tre settimane nella classifica “Indie Music Like” ed è trasmesso da 200 emittenti tra Italia, Germania e Argentina. Il 2013 – 2014 si rivela un anno importante: inizia un tour in giro per l’Italia aprendo concerti di artisti già affermati quali Daniele Silvestri e Fabio Concato. Nell’agosto 2014 inizia la collaborazione con l’organettista - compositore pistoiese Riccardo Tesi. Diversi live nell’estate porteranno i due ad iniziare una collaborazione anche in studio. Il Maestro Tesi sarà il produttore artistico - arrangiatore dell’album “Partenze”, uscito ad Aprile 2015. Segue all’uscita del disco una serie di concerti di presentazione dell’album, tra cui una tappa in Grecia nel prestigioso “International Festival Andros”, tenutosi sull’omonima isola delle Cicladi, insieme alla cantante - compositrice greco - brasiliana Katerina Polemi. A settembre 2015 i giurati del Premio Tenco inseriscono “Partenze” nella rosa dei votabili, come miglior album dell'anno. Il disco, quindi, risulta tra i 50 migliori album di musica italiana pubblicati nel 2015 in Italia. Ultimo lavoro in ordine di tempo “Viva il re” nel 2017.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
"NAPULE E" PINO DANIELE
di Aurora Paladini
Una vita incentrata sulla sperimentazione musicale. Pino Daniele, nato a Napoli il 19 marzo 1955, ha portato il “sound napoletano” in Italia e nel mondo con delle produzioni musicali ricercate e di alto livello che lo hanno consacrato alla storia della musica. A partire dagli anni ’70 inizia a fondere tra loro diversi suoni e diversi generi, principalmente rock, blues e jazz per creare qualcosa di nuovo. Nel 1977 esordisce col suo primo disco, prodotto da EMI, “Terra mia”, contenitore di alcuni dei suoi brani più conosciuti, tra cui “Na tazzurella 'e cafè” e “Napule è”. Inizialmente, l’uso del dialetto rappresenta un ostacolo al suo successo; poi, iniziando ad essere sempre più conosciuto a livello nazionale, usa sempre più frequentemente l’italiano. Da quel momento, diversi periodi musicali segnano il suo percorso: prima la collaborazione con artisti di fama internazionale, come Alphonso Johnson e Wayne Shorter, e la contaminazione con melodie europee; successivamente, una serie di produzioni dallo stile sempre diverso e innovativo, fino ad arrivare ai due album “Non calpestare i fiori nel deserto” (1995) e “Dimmi cosa succede sulla terra” (1997) in cui abbandona il dialetto - che, comunque, tornerà ancora ad usare - e collabora con grandi artisti italiani come Giorgia, Irene Grandi e Jovanotti. Nel 1983 fonda la sua etichetta discografica, gli Studi di registrazione Bagaria e nel 1988 la produzione dell’album “Schizzechea with Love” lo porta a conquistare il prestigioso Premio Tenco. Ci lascia improvvisamente nel 2015, lasciandosi dietro un patrimonio musicale unico che lo rende immortale.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
Una vita incentrata sulla sperimentazione musicale. Pino Daniele, nato a Napoli il 19 marzo 1955, ha portato il “sound napoletano” in Italia e nel mondo con delle produzioni musicali ricercate e di alto livello che lo hanno consacrato alla storia della musica. A partire dagli anni ’70 inizia a fondere tra loro diversi suoni e diversi generi, principalmente rock, blues e jazz per creare qualcosa di nuovo. Nel 1977 esordisce col suo primo disco, prodotto da EMI, “Terra mia”, contenitore di alcuni dei suoi brani più conosciuti, tra cui “Na tazzurella 'e cafè” e “Napule è”. Inizialmente, l’uso del dialetto rappresenta un ostacolo al suo successo; poi, iniziando ad essere sempre più conosciuto a livello nazionale, usa sempre più frequentemente l’italiano. Da quel momento, diversi periodi musicali segnano il suo percorso: prima la collaborazione con artisti di fama internazionale, come Alphonso Johnson e Wayne Shorter, e la contaminazione con melodie europee; successivamente, una serie di produzioni dallo stile sempre diverso e innovativo, fino ad arrivare ai due album “Non calpestare i fiori nel deserto” (1995) e “Dimmi cosa succede sulla terra” (1997) in cui abbandona il dialetto - che, comunque, tornerà ancora ad usare - e collabora con grandi artisti italiani come Giorgia, Irene Grandi e Jovanotti. Nel 1983 fonda la sua etichetta discografica, gli Studi di registrazione Bagaria e nel 1988 la produzione dell’album “Schizzechea with Love” lo porta a conquistare il prestigioso Premio Tenco. Ci lascia improvvisamente nel 2015, lasciandosi dietro un patrimonio musicale unico che lo rende immortale.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
IL CANTAUTORE LUIGI MARIANO
di Paolo Galignano
Nell’appuntamento mensile con gli artisti salentini, stavolta conosceremo meglio un cantautore di Galatone, Luigi Mariano. La sua famiglia gli infuse l’amore per la musica e per la scrittura, infatti papà Salvatore aveva la passione per la lirica e gli fece conoscere Verdi, Puccini, Morricone e altri; mamma Giuliana lo avvicinò al mondo dei cantautori e della poesia, ma fu suo zio Vittorio a fargli avere i primi rudimenti musicali e strumentali e a spingerlo in quel suo particolare percorso creativo, che lo portò, tra le altre cose, a un lungo lavoro di adattamento in italiano delle canzoni di Bruce Springsteen (ne scaturì anche un disco sul finire degli anni ’90). Ma fu quando si trasferì a Roma che la creatività di Luigi Mariano maturò e si arricchì anche la sua esperienza live, con il primo concerto da cantautore nel 1998. A Roma ci furono anche alcune conoscenze e amicizie importanti che lo aiutarono nella sua crescita artistica; tra gli altri annovero quella col cantante Simone Cristicchi nel 2003. Dopo due album “amatoriali”, nel 1998 e nel 2002, Mariano fa il grande salto nel 2010 (a circa 36 anni), con l’uscita del suo primo vero album, autoprodotto: “Asincrono”. Il long play, arrangiato da Alberto Lombardi, ricevette molte critiche positive, tra le quali quelle di Fiorello, Simone Cristicchi, Neri Marcorè, Gianni Morandi e del giornalista Andrea Scanzi. Il suo primo lavoro ricevette anche varie targhe, tra le quali il “Premio Daolio”, il “Premio Bindi” e il “Premio Lunezia”. Spicca all’interno “Edoardo”, un dialogo intimo con il padre, ideale per conoscere al meglio la profondità artistica di Mariano. Il suo secondo lavoro esce nel 2016, col nome “Canzoni all’angolo”, sempre arrangiato da Alberto Lombardi e suonato da musicisti di altissimo livello, come il maestro Antonio Fresa, da Napoli. In questo suo secondo album ci sono duetti con i suoi amici Neri Marcorè, Simone Cristicchi e il suo conterraneo Mino De Santis.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
Nell’appuntamento mensile con gli artisti salentini, stavolta conosceremo meglio un cantautore di Galatone, Luigi Mariano. La sua famiglia gli infuse l’amore per la musica e per la scrittura, infatti papà Salvatore aveva la passione per la lirica e gli fece conoscere Verdi, Puccini, Morricone e altri; mamma Giuliana lo avvicinò al mondo dei cantautori e della poesia, ma fu suo zio Vittorio a fargli avere i primi rudimenti musicali e strumentali e a spingerlo in quel suo particolare percorso creativo, che lo portò, tra le altre cose, a un lungo lavoro di adattamento in italiano delle canzoni di Bruce Springsteen (ne scaturì anche un disco sul finire degli anni ’90). Ma fu quando si trasferì a Roma che la creatività di Luigi Mariano maturò e si arricchì anche la sua esperienza live, con il primo concerto da cantautore nel 1998. A Roma ci furono anche alcune conoscenze e amicizie importanti che lo aiutarono nella sua crescita artistica; tra gli altri annovero quella col cantante Simone Cristicchi nel 2003. Dopo due album “amatoriali”, nel 1998 e nel 2002, Mariano fa il grande salto nel 2010 (a circa 36 anni), con l’uscita del suo primo vero album, autoprodotto: “Asincrono”. Il long play, arrangiato da Alberto Lombardi, ricevette molte critiche positive, tra le quali quelle di Fiorello, Simone Cristicchi, Neri Marcorè, Gianni Morandi e del giornalista Andrea Scanzi. Il suo primo lavoro ricevette anche varie targhe, tra le quali il “Premio Daolio”, il “Premio Bindi” e il “Premio Lunezia”. Spicca all’interno “Edoardo”, un dialogo intimo con il padre, ideale per conoscere al meglio la profondità artistica di Mariano. Il suo secondo lavoro esce nel 2016, col nome “Canzoni all’angolo”, sempre arrangiato da Alberto Lombardi e suonato da musicisti di altissimo livello, come il maestro Antonio Fresa, da Napoli. In questo suo secondo album ci sono duetti con i suoi amici Neri Marcorè, Simone Cristicchi e il suo conterraneo Mino De Santis.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
ALANIS MORRISSETTE
di Paolo Galignano
Il primo giugno del 1974, a Ottawa, nasceva Alanis Morissette, cantautrice, musicista e attrice canadese, naturalizzata statunitense. Un’Alanis ancora bambina iniziò a fare i suoi primi passi nel mondo della musica e della televisione, insieme al fratello gemello, Wade. I suoi primi due album, di genere dance/pop e datati 1991 e 1992, furono registrati e distribuiti soltanto per il mercato canadese. La svolta artistica avvenne qualche anno più tardi: nel 1993, una ancora giovanissima Alanis insegue i suoi sogni artistici, spostandosi dapprima da Ottawa a Toronto, sempre in Canada, per poi andare a vivere negli States, dapprima a Nashville e poi a Los Angeles, dove l’incontro con il produttore e compositore Glen Ballard farà nascere una coppia artistica davvero geniale. Da questa collaborazione creativa, vedrà la luce nel 1995, il suo album capolavoro, sia per successo commerciale (oltre 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo), sia per le critiche positive ricevute: “Jagged Little Pill”. Un disco composto di 13 brani, registrato di getto, praticamente di pari passo alla stesura dei testi e della musica, tanto forte era la sintonia e l’alchimia artistica tra Ballard e Morissette; un album nel quale, Alanis, su consiglio e sprono del suo produttore Ballard, espresse, senza alcun timore, una gamma completa delle sue emozioni, trasferendo nelle liriche molte esperienze vissute in prima persona, rendendo le sue canzoni fortemente autobiografiche. Si passa infatti dalla sua gioia giovanile di vita, in “You Learn”, alla rabbia e voglia di vendetta in “You Oughta Know”, ai primi amori in “Head Over Feet”. Questa propensione a raccontare la sua vita nelle canzoni l’ha contraddistinta per tutta la sua carriera. Nel suo nono album, “Such Pretty Forks in the Road”, in prossima uscita, vi è una dolorosa confessione dei suoi problemi con l’alcol, nel brano “Reasons I Drink”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
Il primo giugno del 1974, a Ottawa, nasceva Alanis Morissette, cantautrice, musicista e attrice canadese, naturalizzata statunitense. Un’Alanis ancora bambina iniziò a fare i suoi primi passi nel mondo della musica e della televisione, insieme al fratello gemello, Wade. I suoi primi due album, di genere dance/pop e datati 1991 e 1992, furono registrati e distribuiti soltanto per il mercato canadese. La svolta artistica avvenne qualche anno più tardi: nel 1993, una ancora giovanissima Alanis insegue i suoi sogni artistici, spostandosi dapprima da Ottawa a Toronto, sempre in Canada, per poi andare a vivere negli States, dapprima a Nashville e poi a Los Angeles, dove l’incontro con il produttore e compositore Glen Ballard farà nascere una coppia artistica davvero geniale. Da questa collaborazione creativa, vedrà la luce nel 1995, il suo album capolavoro, sia per successo commerciale (oltre 30 milioni di copie vendute in tutto il mondo), sia per le critiche positive ricevute: “Jagged Little Pill”. Un disco composto di 13 brani, registrato di getto, praticamente di pari passo alla stesura dei testi e della musica, tanto forte era la sintonia e l’alchimia artistica tra Ballard e Morissette; un album nel quale, Alanis, su consiglio e sprono del suo produttore Ballard, espresse, senza alcun timore, una gamma completa delle sue emozioni, trasferendo nelle liriche molte esperienze vissute in prima persona, rendendo le sue canzoni fortemente autobiografiche. Si passa infatti dalla sua gioia giovanile di vita, in “You Learn”, alla rabbia e voglia di vendetta in “You Oughta Know”, ai primi amori in “Head Over Feet”. Questa propensione a raccontare la sua vita nelle canzoni l’ha contraddistinta per tutta la sua carriera. Nel suo nono album, “Such Pretty Forks in the Road”, in prossima uscita, vi è una dolorosa confessione dei suoi problemi con l’alcol, nel brano “Reasons I Drink”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
MINO DE SANTIS:
FANTASIA E LIBERTA'
di Alessio Peluso
La fantasia è la figlia più amata dalla libertà. Non ci potrebbe essere altro modo per intraprendere una carriera artistica così unica, originale. E se poi tendono a paragonarti a De André, Brassens e ai grandi cantautori degli anni ’70, la domanda sorge spontanea: chi è costui? Parliamo di Mino De Santis, originario di Tuglie, che già da un decennio sorprende con la sua musica. Descrivere la propria realtà, il Salento, entrando nelle pieghe della tradizione è tutt’altro che semplice, farlo con canzoni che assumono i contorni di meravigliose poesie è un’arte invidiabile. Mino De Santis, autodidatta, scrive le sue prime canzoni già da giovane, anche se la popolarità arriverà molto dopo. Sicuramente uno dei suoi brani più apprezzati risulta “Arbulu te ulie” tratta dall’album “Scarcagnizzu”, dove l’albero d’ulivo diventa il protagonista assoluto di ricordi, racconti e testimonianze di storie che hanno attraversato i secoli. Una personificazione che mista all’arpeggio delicato della chitarra, culla dolcemente l’ascoltatore, portandolo in questo mondo così antico, ma ricco di fascino. Nel medesimo album spiccano “Lu cavaddhru malecarne” e “Lu cane”: entrambe in maniera diversa toccano il tema della libertà, così caro al cantautore salentino, che ancora una volta attraverso gli atteggiamenti degli animali, provoca metafore di vita quotidiana. Altre creazioni di rilevo le possiamo riscontrare anche nell’album “Petipitugna”, dove si fa richiamo ad un’antica filastrocca salentina. Si avvale per la produzione dell’album della chitarra di Marcello Zappatore, che spicca prorompente nel “Blues delle patate”, dove le situazioni lavorative si intrecciano con le consuete liti familiari; citazione immancabile all’interno del disco per “Lu fiju a Milanu”, una ballata romantica che riporta alla mente le storie di chi partiva verso Milano in cerca di lavoro, ma con un pezzo di cuore che restava legato alla propria terra; struggente anche “Ieu e lu mesciu” dal sapore autobiografico e nostalgico. E tanti altri capolavori potremmo citare, ma ci fermiamo qui. Il resto lo lasciamo alla curiosità e all’immaginazione di chi vorrà scoprire un Salento magico, sulle note di Mino De Santis.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
La fantasia è la figlia più amata dalla libertà. Non ci potrebbe essere altro modo per intraprendere una carriera artistica così unica, originale. E se poi tendono a paragonarti a De André, Brassens e ai grandi cantautori degli anni ’70, la domanda sorge spontanea: chi è costui? Parliamo di Mino De Santis, originario di Tuglie, che già da un decennio sorprende con la sua musica. Descrivere la propria realtà, il Salento, entrando nelle pieghe della tradizione è tutt’altro che semplice, farlo con canzoni che assumono i contorni di meravigliose poesie è un’arte invidiabile. Mino De Santis, autodidatta, scrive le sue prime canzoni già da giovane, anche se la popolarità arriverà molto dopo. Sicuramente uno dei suoi brani più apprezzati risulta “Arbulu te ulie” tratta dall’album “Scarcagnizzu”, dove l’albero d’ulivo diventa il protagonista assoluto di ricordi, racconti e testimonianze di storie che hanno attraversato i secoli. Una personificazione che mista all’arpeggio delicato della chitarra, culla dolcemente l’ascoltatore, portandolo in questo mondo così antico, ma ricco di fascino. Nel medesimo album spiccano “Lu cavaddhru malecarne” e “Lu cane”: entrambe in maniera diversa toccano il tema della libertà, così caro al cantautore salentino, che ancora una volta attraverso gli atteggiamenti degli animali, provoca metafore di vita quotidiana. Altre creazioni di rilevo le possiamo riscontrare anche nell’album “Petipitugna”, dove si fa richiamo ad un’antica filastrocca salentina. Si avvale per la produzione dell’album della chitarra di Marcello Zappatore, che spicca prorompente nel “Blues delle patate”, dove le situazioni lavorative si intrecciano con le consuete liti familiari; citazione immancabile all’interno del disco per “Lu fiju a Milanu”, una ballata romantica che riporta alla mente le storie di chi partiva verso Milano in cerca di lavoro, ma con un pezzo di cuore che restava legato alla propria terra; struggente anche “Ieu e lu mesciu” dal sapore autobiografico e nostalgico. E tanti altri capolavori potremmo citare, ma ci fermiamo qui. Il resto lo lasciamo alla curiosità e all’immaginazione di chi vorrà scoprire un Salento magico, sulle note di Mino De Santis.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
CATERINA CASELLI, IL "CASCHETTO BIONDO"
di Paolo Galignano
Il 10 aprile, Caterina Caselli, il “caschetto biondo” della musica leggera italiana, spegnerà 74 candeline. Una vita donata alla musica, vissuta dapprima davanti un microfono, appassionando milioni di italiani, e dopo, dietro una scrivania, come produttrice discografica di grandissimo livello, capace di scoprire tantissimi talenti. La sua carriera di cantante, dopo un Castrocaro nel 1963 e un Cantagiro l’anno successivo, spicca il volo con Sanremo nel 1966. In quell’edizione Adriano Celentano (in gara col Ragazzo della via Gluck) rifiutò una canzone che invece fece la fortuna di Caterina Caselli: “Nessuno mi può giudicare”; non vinse, ma conquistò il record di vendite di dischi in quella stagione. Era l’epoca dei film cosiddetti “musicarelli”, con protagonisti cantanti in auge; e Caterina Caselli fu protagonista in alcuni di questi, al fianco del grande Nino Taranto e Laura Efrikian (moglie di Gianni Morandi). Tra questi citiamo appunto “Nessuno mi può giudicare” nel 1966 e “Perdono”, nello stesso anno, ispirato alla hit omonima, vincitrice del Festivalbar di quell’anno. Nei due anni successivi, Caterina Caselli dette voce ad altri due grandi successi e brani storici della musica leggera italiana: “Sono bugiarda” (canzone poi coverizzata perfino negli U.S.A.) e “Insieme a te non ci sto più”, brano scritto dal grande Paolo Conte e molti anni dopo cantato anche dal maestro Franco Battiato. Dopo aver “appeso il microfono al muro”, negli anni ’70, nel 1982 la Caselli si rigenera nella veste di produttrice discografica di grande successo, entrando a far parte del management della Sugar Music. Con questa etichetta discografica scoprirà e darà notorietà a diversi grandi artisti: Giuni Russo, Andrea Bocelli, Elisa, Avion Travel, Malika Ayane, Raphael Gualazzi e i salentini Negramaro.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
Il 10 aprile, Caterina Caselli, il “caschetto biondo” della musica leggera italiana, spegnerà 74 candeline. Una vita donata alla musica, vissuta dapprima davanti un microfono, appassionando milioni di italiani, e dopo, dietro una scrivania, come produttrice discografica di grandissimo livello, capace di scoprire tantissimi talenti. La sua carriera di cantante, dopo un Castrocaro nel 1963 e un Cantagiro l’anno successivo, spicca il volo con Sanremo nel 1966. In quell’edizione Adriano Celentano (in gara col Ragazzo della via Gluck) rifiutò una canzone che invece fece la fortuna di Caterina Caselli: “Nessuno mi può giudicare”; non vinse, ma conquistò il record di vendite di dischi in quella stagione. Era l’epoca dei film cosiddetti “musicarelli”, con protagonisti cantanti in auge; e Caterina Caselli fu protagonista in alcuni di questi, al fianco del grande Nino Taranto e Laura Efrikian (moglie di Gianni Morandi). Tra questi citiamo appunto “Nessuno mi può giudicare” nel 1966 e “Perdono”, nello stesso anno, ispirato alla hit omonima, vincitrice del Festivalbar di quell’anno. Nei due anni successivi, Caterina Caselli dette voce ad altri due grandi successi e brani storici della musica leggera italiana: “Sono bugiarda” (canzone poi coverizzata perfino negli U.S.A.) e “Insieme a te non ci sto più”, brano scritto dal grande Paolo Conte e molti anni dopo cantato anche dal maestro Franco Battiato. Dopo aver “appeso il microfono al muro”, negli anni ’70, nel 1982 la Caselli si rigenera nella veste di produttrice discografica di grande successo, entrando a far parte del management della Sugar Music. Con questa etichetta discografica scoprirà e darà notorietà a diversi grandi artisti: Giuni Russo, Andrea Bocelli, Elisa, Avion Travel, Malika Ayane, Raphael Gualazzi e i salentini Negramaro.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
SIA KA
di Paolo Galignano
In un mite e soleggiato pomeriggio della prima domenica di febbraio, nel piazzale dove, al calar del Sole, l’accensione della focara avrebbe “illuminato” la serata, Porto Cesareo assistette all’esibizione, coinvolgente e calorosa, dei Sia Ka, band salentina di musica popolare, alla loro terza uscita live. Il mare e la grande isola facevano da suggestiva scenografia naturale, mentre le note travolgenti della band e la bellissima voce di Manuela riscaldavano i presenti, divertiti nel ballare e cantare sotto al palco. I Sia Ka si son formati nell’estate 2019, grazie all’incontro di vari musicisti sul sito Villaggio Musicale; ne fanno parte: Mimmo Alfeo (fisarmonica) e Paolo Vergara (mandolino e percussioni), entrambi di San Pancrazio; Angelo Presta (chitarra e voce) da San Donaci; Cristian Schido (percussioni) di Leverano; Enrico Veneruso (chitarra e flauti) proveniente dalla “mia” Napoli; e la cesarina Manuela Calcagnile alla voce. Coloro che hanno dato il fatidico “la” alla nascita della band sono stati Mimmo e Paolo (anche direttore artistico della band); Manuela, invece è entrata a far parte della grande famiglia dei Sia Ka a fine settembre, quando superò brillantemente un provino per diventare la voce della band. Manuela ha avuto la passione per il canto sin da quando era una bambina, ma per anni è rimasta un’autodidatta; molto importante per lei furono gli anni nel coro parrocchiale, sotto la guida di Anna Peluso e Vittorio Polimeno. Ma da circa due anni ha deciso di perfezionare la sua voce, partecipando a diversi corsi, con vari vocal coach, tra i quali citerò Loretta Martinez (proveniente da Amici); poi uno stage a Racale, sotto la guida di Michele Cortese. Attualmente i Sia Ka sono al lavoro, in studio, per la realizzazione di brani inediti da far confluire nel loro repertorio di “classici”, oltre a tante altre idee in cantiere.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
In un mite e soleggiato pomeriggio della prima domenica di febbraio, nel piazzale dove, al calar del Sole, l’accensione della focara avrebbe “illuminato” la serata, Porto Cesareo assistette all’esibizione, coinvolgente e calorosa, dei Sia Ka, band salentina di musica popolare, alla loro terza uscita live. Il mare e la grande isola facevano da suggestiva scenografia naturale, mentre le note travolgenti della band e la bellissima voce di Manuela riscaldavano i presenti, divertiti nel ballare e cantare sotto al palco. I Sia Ka si son formati nell’estate 2019, grazie all’incontro di vari musicisti sul sito Villaggio Musicale; ne fanno parte: Mimmo Alfeo (fisarmonica) e Paolo Vergara (mandolino e percussioni), entrambi di San Pancrazio; Angelo Presta (chitarra e voce) da San Donaci; Cristian Schido (percussioni) di Leverano; Enrico Veneruso (chitarra e flauti) proveniente dalla “mia” Napoli; e la cesarina Manuela Calcagnile alla voce. Coloro che hanno dato il fatidico “la” alla nascita della band sono stati Mimmo e Paolo (anche direttore artistico della band); Manuela, invece è entrata a far parte della grande famiglia dei Sia Ka a fine settembre, quando superò brillantemente un provino per diventare la voce della band. Manuela ha avuto la passione per il canto sin da quando era una bambina, ma per anni è rimasta un’autodidatta; molto importante per lei furono gli anni nel coro parrocchiale, sotto la guida di Anna Peluso e Vittorio Polimeno. Ma da circa due anni ha deciso di perfezionare la sua voce, partecipando a diversi corsi, con vari vocal coach, tra i quali citerò Loretta Martinez (proveniente da Amici); poi uno stage a Racale, sotto la guida di Michele Cortese. Attualmente i Sia Ka sono al lavoro, in studio, per la realizzazione di brani inediti da far confluire nel loro repertorio di “classici”, oltre a tante altre idee in cantiere.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
PETER GABRIEL
di Paolo Galignano
Il 13 febbraio, il poliedrico artista Peter Gabriel spegnerà 70 candeline. La vita artistica di Peter Gabriel, cantante, flautista, percussionista, compositore e produttore discografico, nato nel 1950 a Chobham, a 15 km da Londra, non può certamente essere riassunta in poche righe; quindi approfitterò di questo spazio per parlare soprattutto della sua carriera nella prog/rock band Genesis, e dell’importanza che ha avuto in quegli anni, al fianco di Phil Collins & company. Premesse le indubbie qualità canore di Gabriel, il quale (per il suo cantato) si ispira ad artisti quali Otis Redding, Nina Simone, Cat Stevens e Gary Brooker dei Procol Harum, il valore aggiunto che Peter Gabriel dette ai Genesis fu la sua grande capacità di “dominare” il palcoscenico, e le sue doti istrioniche nel cantare; tutto ciò grazie all'esuberante presenza scenica, al trucco e ai costumi usati da Gabriel e alle sue parti recitate che introducono ogni brano musicale nelle esibizioni dal vivo. Il suono originale e suggestivo delle canzoni dei Genesis, quindi, conquistavano maggiore bellezza, grazie alle capacità recitative e canore di Peter Gabriel, che le rendeva uniche e irripetibili. La personalità esuberante di Gabriel e la sua grandissima vena creativa lo portò man mano a una minore collaborazione (soprattutto per la stesura dei testi) con gli altri componenti della band, che mal vivevano di esser messi da parte nella realizzazione delle liriche delle nuove canzoni. Il definitivo punto di rottura arriva in seguito alla travagliata gravidanza e nascita della prima figlia di Gabriel, Anna. Quando egli decide di stare al fianco della figlia malata invece di registrare e andare in tour, il risentimento del resto del gruppo porta Gabriel al definitivo abbandono; addio dai Genesis, che aprì le porte a una lunga carriera solista, con grandi successi e attestazioni di stima, sia dal pubblico che dalla critica.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
Il 13 febbraio, il poliedrico artista Peter Gabriel spegnerà 70 candeline. La vita artistica di Peter Gabriel, cantante, flautista, percussionista, compositore e produttore discografico, nato nel 1950 a Chobham, a 15 km da Londra, non può certamente essere riassunta in poche righe; quindi approfitterò di questo spazio per parlare soprattutto della sua carriera nella prog/rock band Genesis, e dell’importanza che ha avuto in quegli anni, al fianco di Phil Collins & company. Premesse le indubbie qualità canore di Gabriel, il quale (per il suo cantato) si ispira ad artisti quali Otis Redding, Nina Simone, Cat Stevens e Gary Brooker dei Procol Harum, il valore aggiunto che Peter Gabriel dette ai Genesis fu la sua grande capacità di “dominare” il palcoscenico, e le sue doti istrioniche nel cantare; tutto ciò grazie all'esuberante presenza scenica, al trucco e ai costumi usati da Gabriel e alle sue parti recitate che introducono ogni brano musicale nelle esibizioni dal vivo. Il suono originale e suggestivo delle canzoni dei Genesis, quindi, conquistavano maggiore bellezza, grazie alle capacità recitative e canore di Peter Gabriel, che le rendeva uniche e irripetibili. La personalità esuberante di Gabriel e la sua grandissima vena creativa lo portò man mano a una minore collaborazione (soprattutto per la stesura dei testi) con gli altri componenti della band, che mal vivevano di esser messi da parte nella realizzazione delle liriche delle nuove canzoni. Il definitivo punto di rottura arriva in seguito alla travagliata gravidanza e nascita della prima figlia di Gabriel, Anna. Quando egli decide di stare al fianco della figlia malata invece di registrare e andare in tour, il risentimento del resto del gruppo porta Gabriel al definitivo abbandono; addio dai Genesis, che aprì le porte a una lunga carriera solista, con grandi successi e attestazioni di stima, sia dal pubblico che dalla critica.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
ALLA SCOPERTA DI ERIKA K
di Paolo Galignano
Il Focus Musicale di “Ecclesia Cesarina” si occupa, nei mesi dispari, di artisti emergenti del panorama musicale salentino. Stavolta parleremo della vita artistica di Erika Martina, in arte Erika K. In una calda giornata di inizio estate del 1993 (2 luglio) nacque Erika Martina, a Copertino, la cittadina che ha già visto nascere altri artisti, diventati poi famosissimi, quali ad esempio, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. La famiglia di Erika K è, del resto, una famiglia di cantanti: infatti suo cugino Dionigi D’Ostuni è tenore/corista presso la storica Fenice di Venezia; e Riccardo D’Ostuni (fratello di Dionigi) e anch’egli tenore, insieme a Erika e altri talentuosi elementi, fa parte dei Kalophonix (gruppo vocale polifonico), che vanta collaborazioni con Apres La Classe, Zero Assoluto, Negramaro e la mitica Caterina Caselli. Prima di parlare della sua promettente carriera di cantautrice, mi preme ricordare, brevemente, gli studi che ha fatto e continua a fare la giovane Erika; studia canto da più di dieci anni: dal canto lirico (contralto) con la maestra Simona Gubello, al canto pop di A. Augusti, il suo padre artistico già dai tempi dell’associazione culturale “Gruppo in…canto”, in quel di Copertino; il maestro Augusti, inoltre, la preparò al test di ammissione del conservatorio, dove tuttora studia canto jazz, da 5 anni. Da marzo 2019, su Youtube è reperibile il suo primo singolo, “Polvere”, che vede Mad Dopa alla produzione e supervisione del brano e l’amichevole partecipazione di Nando Popu dei Sud Sound System. Erika K è autrice dei suoi testi, che scrive, corregge e rielabora, “romanticamente” con carta e penna, come i padri del cantautorato italiano. Una piovosa notte a Magliano, sorseggiando birra, lei e il giovanissimo Samuele P., seppero sposare benissimo alcuni giri di chitarra suonati da Samuele con un testo scritto da Erika, 5 anni fa.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
Il Focus Musicale di “Ecclesia Cesarina” si occupa, nei mesi dispari, di artisti emergenti del panorama musicale salentino. Stavolta parleremo della vita artistica di Erika Martina, in arte Erika K. In una calda giornata di inizio estate del 1993 (2 luglio) nacque Erika Martina, a Copertino, la cittadina che ha già visto nascere altri artisti, diventati poi famosissimi, quali ad esempio, Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. La famiglia di Erika K è, del resto, una famiglia di cantanti: infatti suo cugino Dionigi D’Ostuni è tenore/corista presso la storica Fenice di Venezia; e Riccardo D’Ostuni (fratello di Dionigi) e anch’egli tenore, insieme a Erika e altri talentuosi elementi, fa parte dei Kalophonix (gruppo vocale polifonico), che vanta collaborazioni con Apres La Classe, Zero Assoluto, Negramaro e la mitica Caterina Caselli. Prima di parlare della sua promettente carriera di cantautrice, mi preme ricordare, brevemente, gli studi che ha fatto e continua a fare la giovane Erika; studia canto da più di dieci anni: dal canto lirico (contralto) con la maestra Simona Gubello, al canto pop di A. Augusti, il suo padre artistico già dai tempi dell’associazione culturale “Gruppo in…canto”, in quel di Copertino; il maestro Augusti, inoltre, la preparò al test di ammissione del conservatorio, dove tuttora studia canto jazz, da 5 anni. Da marzo 2019, su Youtube è reperibile il suo primo singolo, “Polvere”, che vede Mad Dopa alla produzione e supervisione del brano e l’amichevole partecipazione di Nando Popu dei Sud Sound System. Erika K è autrice dei suoi testi, che scrive, corregge e rielabora, “romanticamente” con carta e penna, come i padri del cantautorato italiano. Una piovosa notte a Magliano, sorseggiando birra, lei e il giovanissimo Samuele P., seppero sposare benissimo alcuni giri di chitarra suonati da Samuele con un testo scritto da Erika, 5 anni fa.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
ICONA DELLA MUSICA LEGGERA:
GIANNI MORANDI
di Paolo Galignano
Cari lettori, l’undici di questo mese un’icona della musica leggera italiana spegnerà 75 candeline. Si tratta del cittadino più noto dell’emiliana Monghidoro: Gianni Morandi. Gianluigi Morandi, per tutti Gianni, nacque nel 1944 vicino Bologna, a Monghidoro. Nel privato, è stato sposato due volte; la prima moglie fu Laura Ephrikian, che gli ha donato tre figli: la sfortunata Serena, vissuta solo poche ore, Marianna, sposata col cantante Biagio Antonacci e dal quale ha avuto due figli, e Marco, padre di tre figli; e in seconde nozze con Anna Dan, con la quale ha avuto l’ultimogenito, Pietro. Gianni ha anche recitato in diversi film chiamati (negli anni ’60) musicarelli, recitati da diversi cantanti famosi di quegli anni, e infarciti dei vari successi musicali del cantante/attore protagonista del film. Ma la sua vita artistica è prevalentemente musicale e canora, con i suoi numerosissimi successi, contenuti in ben 35 album di inediti, pubblicati in studio. Impossibile elencarne alcuni, senza rischiare di dimenticarne altri altrettanto famosi. Possiamo citare, tra gli altri: “In ginocchio da te”, “Non son degno di te”, “Scende la pioggia”, “Fatti mandare dalla mamma”, “C’era un ragazzo che come me …”, “Un mondo d’amore”, “Andava a cento all’ora” e infine “Si può dare di più”, cantata insieme a Umberto Tozzi e Enrico Ruggeri, con la quale vinse il Festival di San Remo nel 1987. Oltre i suoi grandi trionfi musicali e cinematografici, Gianni Morandi è diventato a tal punto un’icona dello show-business italiano che fa notizia in qualsiasi modo si muova, anche quando “sponsorizza” facce nuove come il cantante Fabio Rovazzi.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
Cari lettori, l’undici di questo mese un’icona della musica leggera italiana spegnerà 75 candeline. Si tratta del cittadino più noto dell’emiliana Monghidoro: Gianni Morandi. Gianluigi Morandi, per tutti Gianni, nacque nel 1944 vicino Bologna, a Monghidoro. Nel privato, è stato sposato due volte; la prima moglie fu Laura Ephrikian, che gli ha donato tre figli: la sfortunata Serena, vissuta solo poche ore, Marianna, sposata col cantante Biagio Antonacci e dal quale ha avuto due figli, e Marco, padre di tre figli; e in seconde nozze con Anna Dan, con la quale ha avuto l’ultimogenito, Pietro. Gianni ha anche recitato in diversi film chiamati (negli anni ’60) musicarelli, recitati da diversi cantanti famosi di quegli anni, e infarciti dei vari successi musicali del cantante/attore protagonista del film. Ma la sua vita artistica è prevalentemente musicale e canora, con i suoi numerosissimi successi, contenuti in ben 35 album di inediti, pubblicati in studio. Impossibile elencarne alcuni, senza rischiare di dimenticarne altri altrettanto famosi. Possiamo citare, tra gli altri: “In ginocchio da te”, “Non son degno di te”, “Scende la pioggia”, “Fatti mandare dalla mamma”, “C’era un ragazzo che come me …”, “Un mondo d’amore”, “Andava a cento all’ora” e infine “Si può dare di più”, cantata insieme a Umberto Tozzi e Enrico Ruggeri, con la quale vinse il Festival di San Remo nel 1987. Oltre i suoi grandi trionfi musicali e cinematografici, Gianni Morandi è diventato a tal punto un’icona dello show-business italiano che fa notizia in qualsiasi modo si muova, anche quando “sponsorizza” facce nuove come il cantante Fabio Rovazzi.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
NICETA PETRACHI:
"LA SIMPATICHINA"
di Paolo Galignano
Nel Salento la musica popolare che riecheggia in ogni festa e in ogni sagra, è la pizzica (o taranta). È conosciuta ormai in tutto il mondo, anche grazie al concertone estivo di Melpignano, meta di tantissimi turisti e appassionati di musica folk, che si scatenano in balli “tarantolati” sui ritmi ossessivi delle tammorre. Vi sono anche interpreti famosi e apprezzati dalla gente, che segue i propri beniamini dappertutto. Una delle maggiori interpreti della pizzica si è spenta, a 92 anni, questa estate: nota come “la Simpatichina”, Niceta Petrachi, ha lasciato questa vita proprio nel giorno del Concertone di Melpignano. Nata a Melendugno, Niceta, dopo aver trascorso la sua giovinezza in campagna, si trasferì a Lecce all’inizio degli anni ’70. Lì conobbe la scrittrice e docente universitaria Rina Durante, anche lei di Melendugno, con la quale divenne grande amica. Rina Durante la introdusse negli ambienti intellettuali, nei quali erano presenti anche il poeta salentino Vittorio Pagano e la cantautrice Giovanna Marini. La Simpatichina è diventata fonte di ispirazione per gran parte degli attuali protagonisti della scena musicale locale, che hanno avuto modo di conoscerla e frequentarla: da Alessia Tondo a Enza Pagliara, da Ninfa Giannuzzi ad Alessandra Caiulo, da Daniele Durante a Luigi Chiriatti. La gente che ha amato la sua voce e le sue canzoni può continuare ad ascoltarla: tramite “Musiche e canti popolari del Salento” del 1977, dove è presente con i brani “La cerva” e “Pizzicarella”; oppure nel più recente “Malachianta” del 2013, dove, con Luigi Chiriatti, esegue tutti i dodici brani dell’album.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2019
Nel Salento la musica popolare che riecheggia in ogni festa e in ogni sagra, è la pizzica (o taranta). È conosciuta ormai in tutto il mondo, anche grazie al concertone estivo di Melpignano, meta di tantissimi turisti e appassionati di musica folk, che si scatenano in balli “tarantolati” sui ritmi ossessivi delle tammorre. Vi sono anche interpreti famosi e apprezzati dalla gente, che segue i propri beniamini dappertutto. Una delle maggiori interpreti della pizzica si è spenta, a 92 anni, questa estate: nota come “la Simpatichina”, Niceta Petrachi, ha lasciato questa vita proprio nel giorno del Concertone di Melpignano. Nata a Melendugno, Niceta, dopo aver trascorso la sua giovinezza in campagna, si trasferì a Lecce all’inizio degli anni ’70. Lì conobbe la scrittrice e docente universitaria Rina Durante, anche lei di Melendugno, con la quale divenne grande amica. Rina Durante la introdusse negli ambienti intellettuali, nei quali erano presenti anche il poeta salentino Vittorio Pagano e la cantautrice Giovanna Marini. La Simpatichina è diventata fonte di ispirazione per gran parte degli attuali protagonisti della scena musicale locale, che hanno avuto modo di conoscerla e frequentarla: da Alessia Tondo a Enza Pagliara, da Ninfa Giannuzzi ad Alessandra Caiulo, da Daniele Durante a Luigi Chiriatti. La gente che ha amato la sua voce e le sue canzoni può continuare ad ascoltarla: tramite “Musiche e canti popolari del Salento” del 1977, dove è presente con i brani “La cerva” e “Pizzicarella”; oppure nel più recente “Malachianta” del 2013, dove, con Luigi Chiriatti, esegue tutti i dodici brani dell’album.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2019
"IMPRESSIONI - MOOG" DI SETTEMBRE
di Paolo Galignano
Questo mese nel “focus musicale”, non parlerò della carriera o della discografia di qualche artista, ma parlerò di un brano che ha fatto la storia del progressive - rock italiano e della band PFM, autrice di quel capolavoro di musica e parole che si intitola “Impressioni di settembre”, pubblicato nell’ottobre 1971. Il singolo, che vedeva “La carrozza di Hans” nel lato A e “Impressioni di settembre” nel lato B, precedeva l’uscita del primo album della Premiata Forneria Marconi, composta da Franz Di Cioccio, Franco Mussida e Mauro Pagani, pubblicato nel gennaio 1972, col nome “Storia di un minuto”. La musica del brano fu composta da Franco Mussida, chitarrista della band, e le parole furono scritte, a quattro mani, da Mauro Pagani, violinista e “mente” della band, e da quel genio della musica italiana che risponde al nome di Mogol. La vera genialata della canzone, però, va individuata nell’utilizzo del moog, strumento simbolo del genere progressive - rock. Prende il nome dal suo inventore, l’ingegnere statunitense Robert Moog, che creò questo sistema di sintetizzatori basati su tastiera, chiamato “moog”, che trovò larghissimo uso, soprattutto nel prog-rock degli anni ’70. I ragazzi della PFM incontrarono, quasi per caso, alla Mostra dello strumento del 1971, il signor Monzino, che aveva con sé un prototipo di Moog; il secondo, perché fino a quel momento il moog lo possedeva solo Keith Emerson, che lo aveva ricevuto dal signor Moog in persona. Era impossibile per loro poterlo acquistare, dati i costi elevatissimi, ma riuscirono a farselo dare in prestito, e fu la fortuna del brano e della carriera della PFM. Il testo della canzone esprime la speranza, tipica della generazione “figli dei fiori” e viene ben espressa nei versi finali che recitano: “… e intanto il Sole tra la nebbia filtra già; il giorno, come sempre, sarà”.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2019
Questo mese nel “focus musicale”, non parlerò della carriera o della discografia di qualche artista, ma parlerò di un brano che ha fatto la storia del progressive - rock italiano e della band PFM, autrice di quel capolavoro di musica e parole che si intitola “Impressioni di settembre”, pubblicato nell’ottobre 1971. Il singolo, che vedeva “La carrozza di Hans” nel lato A e “Impressioni di settembre” nel lato B, precedeva l’uscita del primo album della Premiata Forneria Marconi, composta da Franz Di Cioccio, Franco Mussida e Mauro Pagani, pubblicato nel gennaio 1972, col nome “Storia di un minuto”. La musica del brano fu composta da Franco Mussida, chitarrista della band, e le parole furono scritte, a quattro mani, da Mauro Pagani, violinista e “mente” della band, e da quel genio della musica italiana che risponde al nome di Mogol. La vera genialata della canzone, però, va individuata nell’utilizzo del moog, strumento simbolo del genere progressive - rock. Prende il nome dal suo inventore, l’ingegnere statunitense Robert Moog, che creò questo sistema di sintetizzatori basati su tastiera, chiamato “moog”, che trovò larghissimo uso, soprattutto nel prog-rock degli anni ’70. I ragazzi della PFM incontrarono, quasi per caso, alla Mostra dello strumento del 1971, il signor Monzino, che aveva con sé un prototipo di Moog; il secondo, perché fino a quel momento il moog lo possedeva solo Keith Emerson, che lo aveva ricevuto dal signor Moog in persona. Era impossibile per loro poterlo acquistare, dati i costi elevatissimi, ma riuscirono a farselo dare in prestito, e fu la fortuna del brano e della carriera della PFM. Il testo della canzone esprime la speranza, tipica della generazione “figli dei fiori” e viene ben espressa nei versi finali che recitano: “… e intanto il Sole tra la nebbia filtra già; il giorno, come sempre, sarà”.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2019
L'ARPA SALENTINA DI
ANGELA COSI
di Paolo Galignano
Questo mese conosceremo un’artista salentina, che dedica la sua vita artistica a uno strumento molto suggestivo, ma poco conosciuto e raramente ascoltato nella musica di tutti i giorni: l’arpa. Angela Cosi è infatti un’arpista che ha fatto di questo antico strumento il mezzo per esprimere la sua musica; una musica che spazia dalla classica al jazz, dal rock al pop. Si diploma al Conservatorio Tito Schipa di Lecce, nel 2004 e consegue la laurea di II Livello in Discipline Musicali al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli nel 2008, con 110 e lode. L’anno successivo consegue l’esame di stato per abilitarsi all’insegnamento delle discipline musicali nelle scuole statali di secondo grado. Attualmente è specializzanda in “musica da camera” al Conservatorio Verdi di Milano. Vanta molteplici collaborazioni con artisti di fama internazionale, e con istituzioni orchestrali, come l’Orchestra della Magna Grecia di Taranto. Tra le sue collaborazioni citiamo: quella al disco jazz Legend di Raffaele Casarano, che vanta la presenza del grande trombettista Paolo Fresu; quella al disco del salentino Mino De Santis, nel 2015; quella con gli Après la Classe. Vanta anche collaborazioni con artisti, quali Andrea Bocelli e l’attore Giorgio Panariello. È membro del Sesto Armonico, diretto dal maestro Peppe Vessicchio e partecipa a produzioni musicali di Endemol e Rai. Infine, dulcis in fundo, è d’obbligo ricordare l’imminente uscita del suo primo disco da solista, contenente 10 brani inediti, composti ed eseguiti da lei: NOSTOS.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
Questo mese conosceremo un’artista salentina, che dedica la sua vita artistica a uno strumento molto suggestivo, ma poco conosciuto e raramente ascoltato nella musica di tutti i giorni: l’arpa. Angela Cosi è infatti un’arpista che ha fatto di questo antico strumento il mezzo per esprimere la sua musica; una musica che spazia dalla classica al jazz, dal rock al pop. Si diploma al Conservatorio Tito Schipa di Lecce, nel 2004 e consegue la laurea di II Livello in Discipline Musicali al Conservatorio “Nino Rota” di Monopoli nel 2008, con 110 e lode. L’anno successivo consegue l’esame di stato per abilitarsi all’insegnamento delle discipline musicali nelle scuole statali di secondo grado. Attualmente è specializzanda in “musica da camera” al Conservatorio Verdi di Milano. Vanta molteplici collaborazioni con artisti di fama internazionale, e con istituzioni orchestrali, come l’Orchestra della Magna Grecia di Taranto. Tra le sue collaborazioni citiamo: quella al disco jazz Legend di Raffaele Casarano, che vanta la presenza del grande trombettista Paolo Fresu; quella al disco del salentino Mino De Santis, nel 2015; quella con gli Après la Classe. Vanta anche collaborazioni con artisti, quali Andrea Bocelli e l’attore Giorgio Panariello. È membro del Sesto Armonico, diretto dal maestro Peppe Vessicchio e partecipa a produzioni musicali di Endemol e Rai. Infine, dulcis in fundo, è d’obbligo ricordare l’imminente uscita del suo primo disco da solista, contenente 10 brani inediti, composti ed eseguiti da lei: NOSTOS.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
CHESTER BENNINGTON:
DAI LINKIN PARK AL SUICIDIO
di Paolo Galignano
Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, diceva che la morte è una livella che azzera le differenze economiche e sociali che esistono in vita; ciononostante, la morte, soprattutto se improvvisa e/o suicida, di una amata rockstar lascia un vuoto particolare, cristallizzando nel tempo la sua musica e la sua arte. Anche nel caso di Chester Bennington, vocalist e frontman dei californiani Linkin Park, l’effetto della sua morte ha avuto una risonanza mondiale e ha lasciato un vuoto nel cuore di milioni di fan, sparsi in ogni angolo della Terra. Chester ha posto fine alla sua vita all’età di 41 anni, il 20 maggio 2017. L’infanzia e l’adolescenza di Chester furono molto travagliate, per il difficile divorzio dei suoi genitori (lui scelse, a 11 anni, di vivere col padre), per i continui spostamenti di città in città, per l’uso e abuso di vari tipi di droghe; ma la sua è anche stata una vita da rockstar, con due matrimoni e 6 figli, di cui uno adottato (il fratellastro del suo primogenito); una vita, quindi, spericolata, per dirla “alla Vasco”. Il suicidio è sempre una scelta personale e sofferta, ma, in questo caso, appare anche come l’ultimo gesto disperato di un uomo, Chester, sconvolto e affranto dalla morte suicida di un suo amico, il cantante Chris Cornell. Il 18 maggio, giorno del suicidio di Chris, vocalist dei Soundgarden, i Linkin Park avrebbero dovuto registrare una performance dal vivo, del singolo Heavy. Dopo la notizia della morte di Chris però, i piani furono stravolti, e all’ultimo minuto i Linkin Park decisero di esibirsi, con grande commozione e sofferenza con One More Light. E due mesi dopo, il 20 maggio, giorno del suicidio di Chester, sarebbe stato il 53° compleanno di Chris Cornell.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, diceva che la morte è una livella che azzera le differenze economiche e sociali che esistono in vita; ciononostante, la morte, soprattutto se improvvisa e/o suicida, di una amata rockstar lascia un vuoto particolare, cristallizzando nel tempo la sua musica e la sua arte. Anche nel caso di Chester Bennington, vocalist e frontman dei californiani Linkin Park, l’effetto della sua morte ha avuto una risonanza mondiale e ha lasciato un vuoto nel cuore di milioni di fan, sparsi in ogni angolo della Terra. Chester ha posto fine alla sua vita all’età di 41 anni, il 20 maggio 2017. L’infanzia e l’adolescenza di Chester furono molto travagliate, per il difficile divorzio dei suoi genitori (lui scelse, a 11 anni, di vivere col padre), per i continui spostamenti di città in città, per l’uso e abuso di vari tipi di droghe; ma la sua è anche stata una vita da rockstar, con due matrimoni e 6 figli, di cui uno adottato (il fratellastro del suo primogenito); una vita, quindi, spericolata, per dirla “alla Vasco”. Il suicidio è sempre una scelta personale e sofferta, ma, in questo caso, appare anche come l’ultimo gesto disperato di un uomo, Chester, sconvolto e affranto dalla morte suicida di un suo amico, il cantante Chris Cornell. Il 18 maggio, giorno del suicidio di Chris, vocalist dei Soundgarden, i Linkin Park avrebbero dovuto registrare una performance dal vivo, del singolo Heavy. Dopo la notizia della morte di Chris però, i piani furono stravolti, e all’ultimo minuto i Linkin Park decisero di esibirsi, con grande commozione e sofferenza con One More Light. E due mesi dopo, il 20 maggio, giorno del suicidio di Chester, sarebbe stato il 53° compleanno di Chris Cornell.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
EVO: IN USCITA "PRIMO PASSO"
di Paolo Galignano
Una nuova band salentina, prossima all’uscita del loro primo album, sono gli Evò; la band è composta da Francesco Arnesano (voce e violino), di Porto Cesareo, da Giammarco Razzano (batteria), da Francesco Gialluisi (tamburello e percussioni), da Gianluca Martina (basso) e da Matteo Costantini (chitarra). Il loro primo album, intitolato “Evò”, è stato registrato nei prestigiosi studi di Auditoria Records, a Fino Mornasco (Co), dove son passati tra gli altri, Ligabue, Arisa, Ermal Meta e Nek; in attesa dell’uscita dell’album, è possibile ascoltare, su Youtube, il loro primo singolo “Primo passo”, che già rende bene l’idea del particolare stile musicale di questo quintetto salentino. Definire lo stile musicale degli Evò non è semplice, perché è frutto di una attenta e sapiente contaminazione di vari linguaggi e generi musicali. Nelle loro canzoni si può ascoltare una miscela dei ritmi ipnotici della pizzica salentina, uniti a vari generi musicali, diversissimi tra loro, quali lo ska, l’irish - folk, il reggae e il rock. Questa folle miscela di stili e sonorità conferisce alla loro musica un’esplosione di ritmo e melodia; e ogni loro stage live è un’esperienza unica di sound e divertimento. Il nome della band proviene dal griko e significa Io, come sostenuto più volte dai componenti del gruppo; tale concetto rimanda alla concezione che “quando si suona bisogna diventare un unico corpo, un’unica mente, un’unica anima ed un unico strumento al servizio della musica”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019
Una nuova band salentina, prossima all’uscita del loro primo album, sono gli Evò; la band è composta da Francesco Arnesano (voce e violino), di Porto Cesareo, da Giammarco Razzano (batteria), da Francesco Gialluisi (tamburello e percussioni), da Gianluca Martina (basso) e da Matteo Costantini (chitarra). Il loro primo album, intitolato “Evò”, è stato registrato nei prestigiosi studi di Auditoria Records, a Fino Mornasco (Co), dove son passati tra gli altri, Ligabue, Arisa, Ermal Meta e Nek; in attesa dell’uscita dell’album, è possibile ascoltare, su Youtube, il loro primo singolo “Primo passo”, che già rende bene l’idea del particolare stile musicale di questo quintetto salentino. Definire lo stile musicale degli Evò non è semplice, perché è frutto di una attenta e sapiente contaminazione di vari linguaggi e generi musicali. Nelle loro canzoni si può ascoltare una miscela dei ritmi ipnotici della pizzica salentina, uniti a vari generi musicali, diversissimi tra loro, quali lo ska, l’irish - folk, il reggae e il rock. Questa folle miscela di stili e sonorità conferisce alla loro musica un’esplosione di ritmo e melodia; e ogni loro stage live è un’esperienza unica di sound e divertimento. Il nome della band proviene dal griko e significa Io, come sostenuto più volte dai componenti del gruppo; tale concetto rimanda alla concezione che “quando si suona bisogna diventare un unico corpo, un’unica mente, un’unica anima ed un unico strumento al servizio della musica”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019