NEWS E CURIOSITA è la finestra aperta su notizie di carattere storico-culturale, che abbracciano tematiche dell'attualità attraverso ricorrenze religiose, scoperte, archeologia, anniversari particolari di personaggi TV, radio, del mondo del cinema o della letteratura.
PALME CESARINE ANNI '70
di Salvatore Muci
Il 28 marzo 2021 ricorre la Domenica delle Palme, giorno in cui ha inizio la Settimana Santa. Nella cronologia della vita di Gesù, questa è forse una delle date che si avvicina di più alla verità storica. Tra le varie fissate dagli studiosi, si può indicare come una di quelle che raccoglie maggior consenso il 7 aprile: terza Pasqua della vita pubblica e morte di Gesù. Nella nostra Porto Cesareo, da tempo immemorabile, forse già alla fine dell’800’, era inclusa nei riti della Settimana Santa. In tal giorno era ancora presente in due punti diversi della località, Piazza Risorgimento e Via Vittorio Alfieri, la Quaremma, fantoccio somigliante alla befana, che si metteva appesa sul terrazzo. La mattina delle Palme sin dalle ore 8:00, la gente del paese, soprattutto operai e contadini, si recavano verso la chiesa con fasci e fascine di qualunque tipo di Palme, di una certa dimensione. Giungevano in genere dalle periferie e anche dalle più lontane masserie, a piedi, carichi di rami d’olivo che raccoglievano nelle loro campagne della “Riforma d’Arneo”; giunti nelle loro case le sistemavano per la processione. Insieme a loro arrivavano anche donne, persone e artigiani del luogo, con palme tinte d’oro, argento e tradizionali, che le ragazze e i ragazzi coglievano fuori, nei giorni precedenti la solennità. I più giovani le coloravano nelle case, per poi distribuirle con dei cestini la Domenica delle Palme nel centro di Porto Cesareo e nelle vicinanze della chiesa, ricavandone qualche generosa offerta. Entrati in chiesa, un po’ più piccola dell’attuale, seduti ed in piedi, suonato il campanello, usciva l’allora parroco Don Lorenzo per la celebrazione e ordinava a tutti l’alzata delle Palme, benedicendole, per poi invitare l’assemblea a uscire in processione in fila per due, percorrendo gran parte di Via Garibaldi, fino ad arrivare ad una vecchia fontana d’epoca fascista, a destra della strada. Dopo si ritornava in parrocchia, per riprendere la funzione religiosa, che durava sino a prima di mezzogiorno.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
Il 28 marzo 2021 ricorre la Domenica delle Palme, giorno in cui ha inizio la Settimana Santa. Nella cronologia della vita di Gesù, questa è forse una delle date che si avvicina di più alla verità storica. Tra le varie fissate dagli studiosi, si può indicare come una di quelle che raccoglie maggior consenso il 7 aprile: terza Pasqua della vita pubblica e morte di Gesù. Nella nostra Porto Cesareo, da tempo immemorabile, forse già alla fine dell’800’, era inclusa nei riti della Settimana Santa. In tal giorno era ancora presente in due punti diversi della località, Piazza Risorgimento e Via Vittorio Alfieri, la Quaremma, fantoccio somigliante alla befana, che si metteva appesa sul terrazzo. La mattina delle Palme sin dalle ore 8:00, la gente del paese, soprattutto operai e contadini, si recavano verso la chiesa con fasci e fascine di qualunque tipo di Palme, di una certa dimensione. Giungevano in genere dalle periferie e anche dalle più lontane masserie, a piedi, carichi di rami d’olivo che raccoglievano nelle loro campagne della “Riforma d’Arneo”; giunti nelle loro case le sistemavano per la processione. Insieme a loro arrivavano anche donne, persone e artigiani del luogo, con palme tinte d’oro, argento e tradizionali, che le ragazze e i ragazzi coglievano fuori, nei giorni precedenti la solennità. I più giovani le coloravano nelle case, per poi distribuirle con dei cestini la Domenica delle Palme nel centro di Porto Cesareo e nelle vicinanze della chiesa, ricavandone qualche generosa offerta. Entrati in chiesa, un po’ più piccola dell’attuale, seduti ed in piedi, suonato il campanello, usciva l’allora parroco Don Lorenzo per la celebrazione e ordinava a tutti l’alzata delle Palme, benedicendole, per poi invitare l’assemblea a uscire in processione in fila per due, percorrendo gran parte di Via Garibaldi, fino ad arrivare ad una vecchia fontana d’epoca fascista, a destra della strada. Dopo si ritornava in parrocchia, per riprendere la funzione religiosa, che durava sino a prima di mezzogiorno.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
VITTORIA PASCA:
CESARINA CURVY
di Alessio Peluso
In un mondo in cui abbondano gli stereotipi fisici perfetti, dove vanno di moda le immagini perfette, riflesse nello specchio e postate su Instagram, dove la pubblicità propone sempre modelle snelle e curatissime, dove le trasmissioni televisive non possono fare a meno di una presenza femminile, spesso esposta e a un passo dalla volgarità, è possibile scegliere una strada alternativa? Sì, a patto di avere il coraggio e la convinzione di credere in un progetto alternativo e con un messaggio ben chiaro: la bellezza del genere femminile, va oltre gli stereotipi pre – confezionati. Ne è consapevole Piero Beghi, noto fotografo bresciano, che anche quest’anno ha voluto riproporre la II Edizione di “Sensuality Curvy – Calendario 2021”. E la risposta delle partecipanti, con una taglia che doveva essere superiore alla 46, è stata notevole. Tante le richieste da tutta Italia, per poi giungere ad una serrata e difficile selezione delle ragazze, che con una lingerie elegante hanno posato sul calendario, disponibile ed acquistabile al momento per ragioni di sicurezza, solo on – line. Significative le parole in sede di presentazione dello stesso Beghi:” Le donne formose hanno fascino e sensualità in gran quantità. Io voglio dimostrarlo grazie all’obiettivo della mia macchina fotografica e farlo sapere al maggior numero possibile di persone, a cominciare, naturalmente, dalle vere protagoniste di questo lavoro, le Curvy stesse”. E tra le prescelte, spicca il nome di Vittoria Pasca, cesarina d’adozione, in quanto trasferitasi da Brescia a Porto Cesareo, già da quattro anni: “Sono innamorata di questo posto e lavoro in un negozio di abbigliamento nel centro. Essere parte di questo progetto ha sicuramente aumentato la mia autostima e mi ha permesso di lasciare alle spalle i conflitti avuti con il mio corpo, a causa di qualche chilo di troppo”. Con il padre originario di San Pietro in Lama e la madre bresciana, Vittoria Pasca risulta l’unica modella Curvy qui al sud, pronta a testimoniare che la vera bellezza può fare a meno dei comuni stereotipi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
In un mondo in cui abbondano gli stereotipi fisici perfetti, dove vanno di moda le immagini perfette, riflesse nello specchio e postate su Instagram, dove la pubblicità propone sempre modelle snelle e curatissime, dove le trasmissioni televisive non possono fare a meno di una presenza femminile, spesso esposta e a un passo dalla volgarità, è possibile scegliere una strada alternativa? Sì, a patto di avere il coraggio e la convinzione di credere in un progetto alternativo e con un messaggio ben chiaro: la bellezza del genere femminile, va oltre gli stereotipi pre – confezionati. Ne è consapevole Piero Beghi, noto fotografo bresciano, che anche quest’anno ha voluto riproporre la II Edizione di “Sensuality Curvy – Calendario 2021”. E la risposta delle partecipanti, con una taglia che doveva essere superiore alla 46, è stata notevole. Tante le richieste da tutta Italia, per poi giungere ad una serrata e difficile selezione delle ragazze, che con una lingerie elegante hanno posato sul calendario, disponibile ed acquistabile al momento per ragioni di sicurezza, solo on – line. Significative le parole in sede di presentazione dello stesso Beghi:” Le donne formose hanno fascino e sensualità in gran quantità. Io voglio dimostrarlo grazie all’obiettivo della mia macchina fotografica e farlo sapere al maggior numero possibile di persone, a cominciare, naturalmente, dalle vere protagoniste di questo lavoro, le Curvy stesse”. E tra le prescelte, spicca il nome di Vittoria Pasca, cesarina d’adozione, in quanto trasferitasi da Brescia a Porto Cesareo, già da quattro anni: “Sono innamorata di questo posto e lavoro in un negozio di abbigliamento nel centro. Essere parte di questo progetto ha sicuramente aumentato la mia autostima e mi ha permesso di lasciare alle spalle i conflitti avuti con il mio corpo, a causa di qualche chilo di troppo”. Con il padre originario di San Pietro in Lama e la madre bresciana, Vittoria Pasca risulta l’unica modella Curvy qui al sud, pronta a testimoniare che la vera bellezza può fare a meno dei comuni stereotipi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
ARRIVA LA FIBRA!
di Massimo Peluso
Grazie alle autorizzazioni comunali, forestali e provinciali necessarie, Tim ha già da qualche mese iniziato i lavori di adeguamento della rete internet per passare alla più "veloce" rete in fibra "non pura", detta anche fibra misto rame o più tecnicamente Fttc (fibra to cabinet). Tutto ciò a spese della stessa Tim, come già fatto in altri comuni vicini al nostro, affinché venga eliminato il divario digitale. Andando sul sito di qualsiasi operatore, si può verificare se si è coperti dalla Fttc sino a 100 mb/s e, da nostre informazioni, molte vie del comune cesarino sono già abilitate ad attivare la fibra, lasciando il vecchio collegamento in ADSL, che tanto ha fatto penare in termini di prestazioni e stabilità del segnale. Ma perché la nostra fibra è " non pura"? Perché il vero collegamento in fibra "pura", super veloce sino ad 1 gigabit/s (Ftth o fibra to home) prevede che l’intera rete sia in fibra, partendo dalla centrale Telecom, sita alle spalle delle Scuole Medie, passando per il cabinet stradale (foto in allegato) e sin dentro casa. Quella che invece verrà attivata a Porto Cesareo, sarà in fibra dalla centrale Telecom sino al cabinet stradale, mentre il resto del collegamento sino alle abitazioni resterà in rame: ecco perché è una fibra mista. Ciò comporta velocità inferiori, più dispersione del segnale e sbalzi legati alle intemperie meteorologiche; inoltre più la propria abitazione è vicina al cabinet, maggiore sarà la velocità internet raggiungibile (min. 40 mb/s; max 100 mb/s), in quanto diminuisce la tratta in rame. Ricordiamo che con il passaggio alla tecnologia in fibra, il telefono per funzionare va collegato al modem, per cui nel caso sia spento o manchi la connessione, non potrà essere utilizzato. Tuttavia, se il vostro operatore è Tim, e sarete contattati per il passaggio, potrete rifiutare solo disdettando il vostro contatto telefonico. Ovviamente però, si fa un passo enorme in termini di velocità, che pone il nostro territorio al passo coi tempi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
Grazie alle autorizzazioni comunali, forestali e provinciali necessarie, Tim ha già da qualche mese iniziato i lavori di adeguamento della rete internet per passare alla più "veloce" rete in fibra "non pura", detta anche fibra misto rame o più tecnicamente Fttc (fibra to cabinet). Tutto ciò a spese della stessa Tim, come già fatto in altri comuni vicini al nostro, affinché venga eliminato il divario digitale. Andando sul sito di qualsiasi operatore, si può verificare se si è coperti dalla Fttc sino a 100 mb/s e, da nostre informazioni, molte vie del comune cesarino sono già abilitate ad attivare la fibra, lasciando il vecchio collegamento in ADSL, che tanto ha fatto penare in termini di prestazioni e stabilità del segnale. Ma perché la nostra fibra è " non pura"? Perché il vero collegamento in fibra "pura", super veloce sino ad 1 gigabit/s (Ftth o fibra to home) prevede che l’intera rete sia in fibra, partendo dalla centrale Telecom, sita alle spalle delle Scuole Medie, passando per il cabinet stradale (foto in allegato) e sin dentro casa. Quella che invece verrà attivata a Porto Cesareo, sarà in fibra dalla centrale Telecom sino al cabinet stradale, mentre il resto del collegamento sino alle abitazioni resterà in rame: ecco perché è una fibra mista. Ciò comporta velocità inferiori, più dispersione del segnale e sbalzi legati alle intemperie meteorologiche; inoltre più la propria abitazione è vicina al cabinet, maggiore sarà la velocità internet raggiungibile (min. 40 mb/s; max 100 mb/s), in quanto diminuisce la tratta in rame. Ricordiamo che con il passaggio alla tecnologia in fibra, il telefono per funzionare va collegato al modem, per cui nel caso sia spento o manchi la connessione, non potrà essere utilizzato. Tuttavia, se il vostro operatore è Tim, e sarete contattati per il passaggio, potrete rifiutare solo disdettando il vostro contatto telefonico. Ovviamente però, si fa un passo enorme in termini di velocità, che pone il nostro territorio al passo coi tempi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
LU TITORU DE
CADDHIPULI
di Annairis Rizzello
Conoscerete sicuramente Pulcinella e Arlecchino, vero? Meno conosciuti, ma facenti parte della cultura carnevalesca gallipolina sono ‘La Caremma’ e ‘Lu Titoru’. Chi è “Lu Titoru”? Di lui sappiamo pochissimo, quasi nulla. Qualcuno dice che era un militare, rifacendosi probabilmente alla tradizione di San Teodoro, che era un soldato romano martirizzato e venerato, a partire dal IV secolo, in Medio Oriente. Ma in realtà l’unico dato certo della maschera -simbolo della città bella, Gallipoli, è che si tratta sicuramente di un personaggio del popolo simile a Pulcinella e Arlecchino, celebri maschere che fanno parte della Commedia dell’arte. Ma “Lu Titoru”, a differenza loro, non ha un’identità precisa, né una storia, né un passato, e neppure un costume che lo faccia riconoscere come ad esempio Pulcinella con il volto bianco e nero e camice bianco. Di lui c’è solo la salma (un pupo di cartapesta come tanti) distesa su un carro fastoso, accompagnato da quattro uomini travestiti da anziane donne, con il volto infarinato e annerito. Sappiamo solo che è morto a seguito di un’indigestione di “purpette” (forse una gli è andata di traverso) e ora lo vediamo su un carro funebre con quattro ‘chiangi muerti’ ai lati che fanno diventare il tutto una pantomima farsesca e grottesca, alla quale si aggiunge il trasporto funebre, con il fantoccio che alla fine viene bruciato, con l’obiettivo di purificare le influenze malefiche e rinnovare la natura. Durante il trasporto funebre il feretro veniva accompagnato dalla moglie del Carnevale: la Quaresima, ovvero la “Caremma” gallipolina, in questo caso madre de “Lu Titoru”, e da maschere col volto bianco e nero, che cantano in coro il pianto funebre, ovvero le ‘chiangi muerti’ gallipoline. Chi è, dunque, “Lu Titoru”? È una maschera classica per eccellenza del carnevale moderno, ovvero la personificazione del Carnevale stesso nel suo ultimo drammatico, splendido e bizzarro momento di ritualità.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
Conoscerete sicuramente Pulcinella e Arlecchino, vero? Meno conosciuti, ma facenti parte della cultura carnevalesca gallipolina sono ‘La Caremma’ e ‘Lu Titoru’. Chi è “Lu Titoru”? Di lui sappiamo pochissimo, quasi nulla. Qualcuno dice che era un militare, rifacendosi probabilmente alla tradizione di San Teodoro, che era un soldato romano martirizzato e venerato, a partire dal IV secolo, in Medio Oriente. Ma in realtà l’unico dato certo della maschera -simbolo della città bella, Gallipoli, è che si tratta sicuramente di un personaggio del popolo simile a Pulcinella e Arlecchino, celebri maschere che fanno parte della Commedia dell’arte. Ma “Lu Titoru”, a differenza loro, non ha un’identità precisa, né una storia, né un passato, e neppure un costume che lo faccia riconoscere come ad esempio Pulcinella con il volto bianco e nero e camice bianco. Di lui c’è solo la salma (un pupo di cartapesta come tanti) distesa su un carro fastoso, accompagnato da quattro uomini travestiti da anziane donne, con il volto infarinato e annerito. Sappiamo solo che è morto a seguito di un’indigestione di “purpette” (forse una gli è andata di traverso) e ora lo vediamo su un carro funebre con quattro ‘chiangi muerti’ ai lati che fanno diventare il tutto una pantomima farsesca e grottesca, alla quale si aggiunge il trasporto funebre, con il fantoccio che alla fine viene bruciato, con l’obiettivo di purificare le influenze malefiche e rinnovare la natura. Durante il trasporto funebre il feretro veniva accompagnato dalla moglie del Carnevale: la Quaresima, ovvero la “Caremma” gallipolina, in questo caso madre de “Lu Titoru”, e da maschere col volto bianco e nero, che cantano in coro il pianto funebre, ovvero le ‘chiangi muerti’ gallipoline. Chi è, dunque, “Lu Titoru”? È una maschera classica per eccellenza del carnevale moderno, ovvero la personificazione del Carnevale stesso nel suo ultimo drammatico, splendido e bizzarro momento di ritualità.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
CARNEVALE CESARINO
CINQUANT'ANNI FA
di Salvatore Muci
Nell’allora frazione neretina, dagli anni del dopoguerra ai primi ’70, i periodi che seguivano le feste natalizie, a quello che precedeva la Quaresima, che va dal 17 gennaio, festa di San Antonio Abate sino al giorno precedente il mercoledì delle Ceneri, continuamente in paese si svolgevano festini e feste carnevalesche, anche se dopo c’era un prolungamento, il sabato e la domenica della “Pentolaccia”, (la famosa pignata). Sin dal primo giorno si vedevano per le strade, ragazze e ragazzi vestiti con abiti che un tempo usavano i loro nonni e genitori, con il volto coperto da pittoresche maschere che compravano nelle mercerie, negozietti di quel tempo, che esistevano nelle viuzze del centro storico, della “Korea” o della “Cina”, zone periferiche di Torre Cesarea. Ogni giovedì, sabato e domenica, nelle tante case si svolgevano i festini: i più si recavano sino a quelle abitazioni, vestiti in maschera e non. Si ballava, si scherzava e si schernivano tra loro, si gustava la cucina delle signore di quel tempo presenti alla cerimonia, adatta al periodo del Carnevale. Si cucinava molta carne, la verdura di campagna come si usava farla nelle loro case. Naturalmente c’erano i dolci del Carnevale e la frutta dei loro giardini. Tante volte, in un angolo del paese si riunivano in tanti, donne e maschi, circa una trentina, accompagnati con strumenti musicali: la fisarmonica in primis, organetti oppure chitarre, e di sera in corteo fino alle masserie dell’Arneo, Colmonese, Belvedere, Trappeto, Corti Rossi, arrivando persino a Colarizzo. E là si incontravano e restavano con le persone che vivevano da quelle parti, divertendosi da morire, non dimenticando mai quelle serate memorabili. E in ultimo, il giorno di martedì grasso, per le stradine di una volta, molte ancora non asfaltate, un carretto, forse di quelli tirati da cavalli e asini dei contadini presenti nel territorio tanti anni fa. Era colmo di persone, uomini e donne, con vesti bizzarre sopra e mascherati, impossibile riconoscerli. Si sentivano inconfondibili, tanti stornelli, recite di scherni e sfottò. Dopo è impossibile non ricordare taluni personaggi che erano presenti su quei carri o intorno, che facevano ridere a crepapelle, in quei giorni, l’attenta folla di Porto Cesareo: Rocco Parente, persona molto cordiale con la gente, il buon Giuseppe Salamac, famoso come “Mesciu Pippi firraru” e il bravo Mimmi Russo, interpreti della Porto Cesareo di un tempo piena di bontà e solidarietà.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
Nell’allora frazione neretina, dagli anni del dopoguerra ai primi ’70, i periodi che seguivano le feste natalizie, a quello che precedeva la Quaresima, che va dal 17 gennaio, festa di San Antonio Abate sino al giorno precedente il mercoledì delle Ceneri, continuamente in paese si svolgevano festini e feste carnevalesche, anche se dopo c’era un prolungamento, il sabato e la domenica della “Pentolaccia”, (la famosa pignata). Sin dal primo giorno si vedevano per le strade, ragazze e ragazzi vestiti con abiti che un tempo usavano i loro nonni e genitori, con il volto coperto da pittoresche maschere che compravano nelle mercerie, negozietti di quel tempo, che esistevano nelle viuzze del centro storico, della “Korea” o della “Cina”, zone periferiche di Torre Cesarea. Ogni giovedì, sabato e domenica, nelle tante case si svolgevano i festini: i più si recavano sino a quelle abitazioni, vestiti in maschera e non. Si ballava, si scherzava e si schernivano tra loro, si gustava la cucina delle signore di quel tempo presenti alla cerimonia, adatta al periodo del Carnevale. Si cucinava molta carne, la verdura di campagna come si usava farla nelle loro case. Naturalmente c’erano i dolci del Carnevale e la frutta dei loro giardini. Tante volte, in un angolo del paese si riunivano in tanti, donne e maschi, circa una trentina, accompagnati con strumenti musicali: la fisarmonica in primis, organetti oppure chitarre, e di sera in corteo fino alle masserie dell’Arneo, Colmonese, Belvedere, Trappeto, Corti Rossi, arrivando persino a Colarizzo. E là si incontravano e restavano con le persone che vivevano da quelle parti, divertendosi da morire, non dimenticando mai quelle serate memorabili. E in ultimo, il giorno di martedì grasso, per le stradine di una volta, molte ancora non asfaltate, un carretto, forse di quelli tirati da cavalli e asini dei contadini presenti nel territorio tanti anni fa. Era colmo di persone, uomini e donne, con vesti bizzarre sopra e mascherati, impossibile riconoscerli. Si sentivano inconfondibili, tanti stornelli, recite di scherni e sfottò. Dopo è impossibile non ricordare taluni personaggi che erano presenti su quei carri o intorno, che facevano ridere a crepapelle, in quei giorni, l’attenta folla di Porto Cesareo: Rocco Parente, persona molto cordiale con la gente, il buon Giuseppe Salamac, famoso come “Mesciu Pippi firraru” e il bravo Mimmi Russo, interpreti della Porto Cesareo di un tempo piena di bontà e solidarietà.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
GRAZIE TETTA MASSA,
PONTE PER LA SCUOLA
di Dario Dell’Atti
"Io e tanti altri pescatori di Porto Cesareo, dobbiamo ringraziare la Tetta Massa se oggi abbiamo il ‘passo di mare’. Andava casa casa, a convincere i pescatori dell’importanza della scuola. Parlava con i genitori, perché i figli potessero andare a lezione e non solo a lavorare, perché con il diploma potevi avere l'autorizzazione alla pesca, che oggi è una cosa fondamentale". Queste le parole di Giovanni, uno dei tanti ragazzi di "ieri', che oggi rende omaggio ad Antonia Massa, morta all' età di 87 anni, storica bidella di Porto Cesareo attiva tra gli anni ‘60 e ‘80. Nacque a Leverano il 16 aprile del 1933 da una famiglia di contadini trasferitasi a Porto Cesareo nei primi anni 40. Antonietta sin da bambina dovette subito rimboccarsi le maniche, andare a scuola, lavorare in campagna con il padre e ancora ragazzina imparò l’uso dell’ago e filo. La realtà degli anni post guerra, nel sud Italia come nella piccola comunità di Porto Cesareo era per tutti caratterizzata da stenti, fatiche e fame. Le lunghe giornate iniziavano all’alba e finivano a tarda sera. All’età di 18 anni Antonietta si sposò, ma la vita gioca brutti scherzi, e si complica quando solo dopo 8 anni di matrimonio, il marito Ottavio muore per incidente stradale. Con cinque figli da sfamare nella tragedia più nera, Antonietta rimase vedova, ma non si perse d'animo, lavorò come contadina e la notte come ricamatrice per i “commessi” (ditte che subappaltavano tessuti da ricamare). Negli anni ‘60 finalmente la svolta: Antonietta fu chiamata a lavorare per la scuola elementare e media, inizialmente per pochi mesi, poi finalmente con contratto regolare. Colonna portante della scuola cesarina, da tutti ricordata per i suoi modi gentili, il sorriso e la parola buona che non lesinava mai. La vita di Antonietta ci dimostra che il duro lavoro, la determinazione e l’impegno vengono sempre ripagati. Così lo scorso 10 gennaio 2021 un altro pezzo della nostra comunità, nonché personaggio storico cesarino, ci saluta.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
"Io e tanti altri pescatori di Porto Cesareo, dobbiamo ringraziare la Tetta Massa se oggi abbiamo il ‘passo di mare’. Andava casa casa, a convincere i pescatori dell’importanza della scuola. Parlava con i genitori, perché i figli potessero andare a lezione e non solo a lavorare, perché con il diploma potevi avere l'autorizzazione alla pesca, che oggi è una cosa fondamentale". Queste le parole di Giovanni, uno dei tanti ragazzi di "ieri', che oggi rende omaggio ad Antonia Massa, morta all' età di 87 anni, storica bidella di Porto Cesareo attiva tra gli anni ‘60 e ‘80. Nacque a Leverano il 16 aprile del 1933 da una famiglia di contadini trasferitasi a Porto Cesareo nei primi anni 40. Antonietta sin da bambina dovette subito rimboccarsi le maniche, andare a scuola, lavorare in campagna con il padre e ancora ragazzina imparò l’uso dell’ago e filo. La realtà degli anni post guerra, nel sud Italia come nella piccola comunità di Porto Cesareo era per tutti caratterizzata da stenti, fatiche e fame. Le lunghe giornate iniziavano all’alba e finivano a tarda sera. All’età di 18 anni Antonietta si sposò, ma la vita gioca brutti scherzi, e si complica quando solo dopo 8 anni di matrimonio, il marito Ottavio muore per incidente stradale. Con cinque figli da sfamare nella tragedia più nera, Antonietta rimase vedova, ma non si perse d'animo, lavorò come contadina e la notte come ricamatrice per i “commessi” (ditte che subappaltavano tessuti da ricamare). Negli anni ‘60 finalmente la svolta: Antonietta fu chiamata a lavorare per la scuola elementare e media, inizialmente per pochi mesi, poi finalmente con contratto regolare. Colonna portante della scuola cesarina, da tutti ricordata per i suoi modi gentili, il sorriso e la parola buona che non lesinava mai. La vita di Antonietta ci dimostra che il duro lavoro, la determinazione e l’impegno vengono sempre ripagati. Così lo scorso 10 gennaio 2021 un altro pezzo della nostra comunità, nonché personaggio storico cesarino, ci saluta.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
PERCHE' SALENTO?
di Annairis Rizzello
Il famoso tacco d’Italia, ossia la regione Puglia, presenta al suo interno ulteriori divisioni territoriali che risalgono già ai tempi dei Greci e dei Romani. La regione è suddivisa in vare aree: a nord-ovest abbiamo il “Subappennino dauno” affiancato dal “Tavoliere delle Puglie” e a nord-est troviamo la zona del “Gargano”. Al centro si estende il vasto territorio della “Terra di Bari”, al di sotto del quale abbiamo a ovest “l’Arco ionico tarantino” e a est la “Valle d’Itria”. Tutta la restante parte a sud della penisola è denominata “Salento”. Cerchiamo di capire ora, cosa si intende con la parola Salento. Iniziamo col dire che esso, al contrario di quanto si crede, non è un’unica provincia pugliese, dato che comprende l’intera provincia di Lecce con i suoi 97 comuni, la provincia di Brindisi con 18 su 20 dei suoi comuni e la provincia di Taranto con 18 su 29 comuni. Il confine a sud del Salento è Leuca; il confine a nord, da sempre, è la linea che congiunge il Golfo di Taranto a Egnazia (Fasano), rappresentabile dalla linea Palagiano-Alberobello-Locorotondo-Egnazia; tutto ciò che sta sopra questa linea è perciò, in teoria, fuori dal Salento. È poi un errore socioculturale, oltreché antropologico pensare di voler tagliare ‘col coltello’ un’area specifica e i confini restano così solo mentali. Ciò che storicamente ha unito questi territori è la storia, la cultura e il posizionamento geografico. Questo territorio è stato trasformato poi, negli ultimi decenni, in ambito turistico, in una sorta di brand. In comune ha sapori, profumi e suoni che s’intersecano in tutto il Salento a partire dalle orecchiette, alle frise, ai taralli, alle fave con la cicoria, alle melanzane ripiene, ai lampascioni, tanto per citare solo i piatti più noti. E poi come non farsi travolgere dai ritmi della “Pizzica”, ballo comune per contesti d’uso dalla Valle d’Itria (confinante con il Salento) fino alla punta di Leuca, anche se da paese in paese può variare leggermente lo stile. Nell’immaginario collettivo però, ciò che più identifica il Salento è l’accoglienza e la calorosità dei suoi abitanti e anche il suo motto più famoso: “Lu Sule, lu Mare, lu Ientu: quistu è lu Salentu”.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
Il famoso tacco d’Italia, ossia la regione Puglia, presenta al suo interno ulteriori divisioni territoriali che risalgono già ai tempi dei Greci e dei Romani. La regione è suddivisa in vare aree: a nord-ovest abbiamo il “Subappennino dauno” affiancato dal “Tavoliere delle Puglie” e a nord-est troviamo la zona del “Gargano”. Al centro si estende il vasto territorio della “Terra di Bari”, al di sotto del quale abbiamo a ovest “l’Arco ionico tarantino” e a est la “Valle d’Itria”. Tutta la restante parte a sud della penisola è denominata “Salento”. Cerchiamo di capire ora, cosa si intende con la parola Salento. Iniziamo col dire che esso, al contrario di quanto si crede, non è un’unica provincia pugliese, dato che comprende l’intera provincia di Lecce con i suoi 97 comuni, la provincia di Brindisi con 18 su 20 dei suoi comuni e la provincia di Taranto con 18 su 29 comuni. Il confine a sud del Salento è Leuca; il confine a nord, da sempre, è la linea che congiunge il Golfo di Taranto a Egnazia (Fasano), rappresentabile dalla linea Palagiano-Alberobello-Locorotondo-Egnazia; tutto ciò che sta sopra questa linea è perciò, in teoria, fuori dal Salento. È poi un errore socioculturale, oltreché antropologico pensare di voler tagliare ‘col coltello’ un’area specifica e i confini restano così solo mentali. Ciò che storicamente ha unito questi territori è la storia, la cultura e il posizionamento geografico. Questo territorio è stato trasformato poi, negli ultimi decenni, in ambito turistico, in una sorta di brand. In comune ha sapori, profumi e suoni che s’intersecano in tutto il Salento a partire dalle orecchiette, alle frise, ai taralli, alle fave con la cicoria, alle melanzane ripiene, ai lampascioni, tanto per citare solo i piatti più noti. E poi come non farsi travolgere dai ritmi della “Pizzica”, ballo comune per contesti d’uso dalla Valle d’Itria (confinante con il Salento) fino alla punta di Leuca, anche se da paese in paese può variare leggermente lo stile. Nell’immaginario collettivo però, ciò che più identifica il Salento è l’accoglienza e la calorosità dei suoi abitanti e anche il suo motto più famoso: “Lu Sule, lu Mare, lu Ientu: quistu è lu Salentu”.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
MARTINA: DAL SOGNO
ALLA TRAGEDIA
di Alessio Peluso
Siamo a cavallo tra i postumi della Prima e l’orizzonte della Seconda Guerra Mondiale. L’umanità intera versa in grosse difficoltà, figuriamoci una realtà piccola come Porto Cesareo, dove le strade sono ancora dissestate, essere un bravo contadino o pescatore è uno dei pochi modi per sopravvivere e sfamare la famiglia, le case sono lontane anni luce da quelle che noi viviamo adesso, con la fioca luce di una candela a farla da padrona, servizi igienici spesso mancanti, il freddo ad avere la meglio nelle rigide sere d’inverno, gli spostamenti affidati a cavalli, asini o biciclette. È in questo contesto storico così complicato che il 2 gennaio 1933 nasce Carmelo (Uccio) Martina: è un bambino come tanti altri, con sogni da coltivare e realizzare, nonostante tutto. I genitori Cosimo Martina e Maria Apollonia Orlando lavorano duramente: da una parte il padre impegnato a curare le proprie terre in zona “Li Curti Russi” e “Il Poggio”, dall’altra una madre premurosa che deve accudire al meglio i propri figli. Ben presto Carmelo inizia a fare le proprie scelte e a capire dove indirizzare la propria vita; infatti, come confermato da Anna Varratta, sua fidanzata, il sogno di Carmelo era quello di intraprendere una carriera militare importante. La prima chiamata avviene per il servizio di leva obbligatorio in Marina della durata di due anni. È il preludio a quello che avverrà qualche anno dopo, precisamente il 25 gennaio 1956, quando è arruolato ufficialmente come Guardia della Polizia di Stato, Reparto Celere. Ha coronato il suo sogno e si trasferisce nella capitale, a Roma. La favola dura poco e il 31 ottobre dello stesso anno, accade l’irreparabile: Carmelo è nella camionetta con altri colleghi, al fine di intervenire e sedare una manifestazione, ma una pozzanghera d’acqua, fa perdere il controllo del mezzo all’autista; solo lo sfortunato giovane sbalza fuori dall’abitacolo, dopo il violento impatto contro un palo dell’illuminazione. È la fine. Carmelo lascia questo mondo, la sua famiglia e gli amici più cari a soli 23 anni. A darne il triste annuncio ai genitori Cosimo e Maria, ci pensa Gino Saracino, allora proprietario di una pescheria, che si trovava di fronte alla casa della famiglia Martina, ubicata all’interno dell’attuale Bar Mario. Ad assistere ai funerali di stato a Roma saranno il papà Cosimo e Giuseppe (Pippi) Martina, il fratello maggiore; anche Porto Cesareo onorerà Carmelo, con una celebrazione che coinvolse l’intero paese e di cui potrete trovare foto esclusive sul nostro sito. Struggente il ricordo di Fernando Martina, il fratello minore, che al tempo aveva solo 8 anni:” Ricordo relativamente poco di quel periodo, essendo ancora un bambino. Solo un particolare è rimasto impresso nella memoria: ogni volta che con mio padre si andava verso i terreni del Poggio, si passava inevitabilmente dal cimitero, e vi lascio immaginare le lacrime e lo strazio.”
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
Siamo a cavallo tra i postumi della Prima e l’orizzonte della Seconda Guerra Mondiale. L’umanità intera versa in grosse difficoltà, figuriamoci una realtà piccola come Porto Cesareo, dove le strade sono ancora dissestate, essere un bravo contadino o pescatore è uno dei pochi modi per sopravvivere e sfamare la famiglia, le case sono lontane anni luce da quelle che noi viviamo adesso, con la fioca luce di una candela a farla da padrona, servizi igienici spesso mancanti, il freddo ad avere la meglio nelle rigide sere d’inverno, gli spostamenti affidati a cavalli, asini o biciclette. È in questo contesto storico così complicato che il 2 gennaio 1933 nasce Carmelo (Uccio) Martina: è un bambino come tanti altri, con sogni da coltivare e realizzare, nonostante tutto. I genitori Cosimo Martina e Maria Apollonia Orlando lavorano duramente: da una parte il padre impegnato a curare le proprie terre in zona “Li Curti Russi” e “Il Poggio”, dall’altra una madre premurosa che deve accudire al meglio i propri figli. Ben presto Carmelo inizia a fare le proprie scelte e a capire dove indirizzare la propria vita; infatti, come confermato da Anna Varratta, sua fidanzata, il sogno di Carmelo era quello di intraprendere una carriera militare importante. La prima chiamata avviene per il servizio di leva obbligatorio in Marina della durata di due anni. È il preludio a quello che avverrà qualche anno dopo, precisamente il 25 gennaio 1956, quando è arruolato ufficialmente come Guardia della Polizia di Stato, Reparto Celere. Ha coronato il suo sogno e si trasferisce nella capitale, a Roma. La favola dura poco e il 31 ottobre dello stesso anno, accade l’irreparabile: Carmelo è nella camionetta con altri colleghi, al fine di intervenire e sedare una manifestazione, ma una pozzanghera d’acqua, fa perdere il controllo del mezzo all’autista; solo lo sfortunato giovane sbalza fuori dall’abitacolo, dopo il violento impatto contro un palo dell’illuminazione. È la fine. Carmelo lascia questo mondo, la sua famiglia e gli amici più cari a soli 23 anni. A darne il triste annuncio ai genitori Cosimo e Maria, ci pensa Gino Saracino, allora proprietario di una pescheria, che si trovava di fronte alla casa della famiglia Martina, ubicata all’interno dell’attuale Bar Mario. Ad assistere ai funerali di stato a Roma saranno il papà Cosimo e Giuseppe (Pippi) Martina, il fratello maggiore; anche Porto Cesareo onorerà Carmelo, con una celebrazione che coinvolse l’intero paese e di cui potrete trovare foto esclusive sul nostro sito. Struggente il ricordo di Fernando Martina, il fratello minore, che al tempo aveva solo 8 anni:” Ricordo relativamente poco di quel periodo, essendo ancora un bambino. Solo un particolare è rimasto impresso nella memoria: ogni volta che con mio padre si andava verso i terreni del Poggio, si passava inevitabilmente dal cimitero, e vi lascio immaginare le lacrime e lo strazio.”
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
ALBERO DEL TEMPO
di Raffaele Colelli
Ricordo molto bene, come se fosse ieri, come se non fossero trascorsi tutti questi anni, eppure ne sono passati, pensate un po', più di cinquanta, da quando Italo, il figlio del mitico “Ngicco” il proprietario del bar con annessa rotonda della spiaggetta, piantò, alcuni metri sotto la sabbia, quell’albero allora alto appena un metro. Aveva pensato bene di posizionarlo a ridosso dalle nuove cabine di cemento, che nel frattempo avevano sostituito quelle in legno ormai vecchie e poco igieniche. Ho capito, poi col tempo, quanto la sua visione fu lungimirante perché le fronde del pino una volta diventato adulto, offrirono nel tempo beata frescura ai tanti bagnanti stagionali provenienti dai paesi limitrofi. Richiamo ancora alla mente quella splendida giornata, il sole mi picchiava dritto sulla testa mentre ancora quattordicenne osservavo con aria assai dubbiosa, in compagnia di amici coetanei, quell’uomo piegato a testa in giù intento a scavare una buca. Ero convinto, anzi, eravamo convinti, prendendolo anche un po' per matto, che quell’alberello si sarebbe seccato nell’arco di una decina di giorni, sicuri che nella sabbia non avrebbe avuto scampo. Invece mi sbagliavo, ci sbagliavamo: quell’albero di pino ci accompagnò per tantissimi anni, lui cresceva e noi crescevamo insieme a lui. Lui diventava forte, robusto e rigoglioso e noi diventavamo uomini, padri e poi nonni. Era il nostro “Albero del Tempo”. Pensare le tante volte che, ancora adolescenti, ci osservava giocare spensierati a biliardo balilla sulla rotonda del vecchio “Ngicco”, oppure consumare un fresco ghiacciolo all’amarena rubato al vecchio bancone frigo del bar per passarcelo poi frettolosamente tra di noi. O ancora stare ammucchiati intorno al jukebox dove con cinquanta lire sceglievi una canzone e con cento lire tre, noi optavamo per la terza; un calcio sul lato sinistro dell’apparecchio e il disco suonava ininterrottamente “Azzurro”, il famoso brano del “Molleggiato” Adriano Celentano. Ed ecco che improvvisamente, lo scorso 21 ottobre, senza preavviso l’albero di pino cade, molla la sua presa, abbandona la sua buca e stanco si sdraia sulla sabbia; insieme a lui porta via tutti i nostri ricordi, il nostro passato, il nostro tempo. Ma si sa la vita continua, la vita va avanti, il tempo non si può fermare, così un altro albero verrà piantato al posto del vecchio pino. Un'altra generazione verrà e crescerà insieme a lui per ridiventare l’albero del tempo.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
Ricordo molto bene, come se fosse ieri, come se non fossero trascorsi tutti questi anni, eppure ne sono passati, pensate un po', più di cinquanta, da quando Italo, il figlio del mitico “Ngicco” il proprietario del bar con annessa rotonda della spiaggetta, piantò, alcuni metri sotto la sabbia, quell’albero allora alto appena un metro. Aveva pensato bene di posizionarlo a ridosso dalle nuove cabine di cemento, che nel frattempo avevano sostituito quelle in legno ormai vecchie e poco igieniche. Ho capito, poi col tempo, quanto la sua visione fu lungimirante perché le fronde del pino una volta diventato adulto, offrirono nel tempo beata frescura ai tanti bagnanti stagionali provenienti dai paesi limitrofi. Richiamo ancora alla mente quella splendida giornata, il sole mi picchiava dritto sulla testa mentre ancora quattordicenne osservavo con aria assai dubbiosa, in compagnia di amici coetanei, quell’uomo piegato a testa in giù intento a scavare una buca. Ero convinto, anzi, eravamo convinti, prendendolo anche un po' per matto, che quell’alberello si sarebbe seccato nell’arco di una decina di giorni, sicuri che nella sabbia non avrebbe avuto scampo. Invece mi sbagliavo, ci sbagliavamo: quell’albero di pino ci accompagnò per tantissimi anni, lui cresceva e noi crescevamo insieme a lui. Lui diventava forte, robusto e rigoglioso e noi diventavamo uomini, padri e poi nonni. Era il nostro “Albero del Tempo”. Pensare le tante volte che, ancora adolescenti, ci osservava giocare spensierati a biliardo balilla sulla rotonda del vecchio “Ngicco”, oppure consumare un fresco ghiacciolo all’amarena rubato al vecchio bancone frigo del bar per passarcelo poi frettolosamente tra di noi. O ancora stare ammucchiati intorno al jukebox dove con cinquanta lire sceglievi una canzone e con cento lire tre, noi optavamo per la terza; un calcio sul lato sinistro dell’apparecchio e il disco suonava ininterrottamente “Azzurro”, il famoso brano del “Molleggiato” Adriano Celentano. Ed ecco che improvvisamente, lo scorso 21 ottobre, senza preavviso l’albero di pino cade, molla la sua presa, abbandona la sua buca e stanco si sdraia sulla sabbia; insieme a lui porta via tutti i nostri ricordi, il nostro passato, il nostro tempo. Ma si sa la vita continua, la vita va avanti, il tempo non si può fermare, così un altro albero verrà piantato al posto del vecchio pino. Un'altra generazione verrà e crescerà insieme a lui per ridiventare l’albero del tempo.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
GRAZIE PASANISI,
PENNA DOC CESARINA
di Alessio Peluso
Se ne è andato ad 86 anni lo scorso 13 novembre Luigi Pasanisi, meglio noto come Gigi, ricercatore, scrittore e poeta del panorama salentino. Nato a Porto Cesareo il 17 novembre 1933 ha vissuto la sua infanzia all’entrata del corso in Via Garibaldi, con i suoi genitori Angelo Pasanisi e Greco Nicoletta, convenuti alle nozze nel 1961. Seminarista in quel di Nardò in età adolescenziale, ha poi conseguito il diploma presso l’Istituto Magistrale “Pietro Siciliani” di Lecce, per poi intraprendere un percorso da insegnante. La passione per le arti letterarie inizia però dalla poesia dialettale ispirata alle tradizioni, alla cultura e al gergo marinaresco, della sua amata Porto Cesareo. È tra i primissimi ad intraprendere studi e ricerche di rilievo su Porto Cesareo ed è grazie a questo impegno costante che ritroviamo oggi tante opere dalle quali attingere informazioni preziose: da “Il gergo marinaro dei pescatori di Porto Cesareo” nel 1984 e 1988; “L’isola Grande o dei Conigli di Porto Cesareo” nel 1985; “Porto Cesareo in epoca romana. Portus Sasine o Senum” nel 1993; “Porto Cesareo. Dalle origini ai giorni nostri” nel 1997 e 2011. Un patrimonio che ha attinto nel corso del tempo dall’archivio parrocchiale dell’allora parroco Don Salvatore Nestola, dall’Archivio di Stato di Lecce e Napoli, dalla Biblioteca Provinciale di Lecce, dall’Archivio della Curia di Nardò. Iscritto alla società “Storia Patria per la Puglia” della sezione Novoli e Lecce, ha avuto al suo fianco figure importanti quali: i professori Mario Spedicato di Carmiano ed Alessandro La Porta, direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce; Dino Levante, studioso della storia patria di Lecce; l’architetto Mario Cozzato e Salvatore Muci, studioso e scrittore di origini cesarine che così lo ricorda: ”Ho avuto la fortuna di conoscere Pasanisi intorno alla metà degli anni ’90, mentre stava ultimando il suo libro su Porto Cesareo, edito poi nel 1997. Ci incontravamo spesso, poiché entrambi consultavamo gli archivi di Stato, alla ricerca di preziose notizie. Nel febbraio 1999 andai per la prima volta nella sua casa a Novoli ed oltre a consultare i numerosi documenti notarili, notai come ogni stanza avesse le sembianze di una biblioteca vivente ricolma di libri e foto. Oltre che un valido studioso, perdo un amico con il quale vi è sempre stata stima reciproca. Ora, volato in cielo potrà riabbracciare il padre Angelo, scomparso durante la Seconda Guerra Mondiale in Etiopia e mai ritrovato, nonostante le numerose ricerche”.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
Se ne è andato ad 86 anni lo scorso 13 novembre Luigi Pasanisi, meglio noto come Gigi, ricercatore, scrittore e poeta del panorama salentino. Nato a Porto Cesareo il 17 novembre 1933 ha vissuto la sua infanzia all’entrata del corso in Via Garibaldi, con i suoi genitori Angelo Pasanisi e Greco Nicoletta, convenuti alle nozze nel 1961. Seminarista in quel di Nardò in età adolescenziale, ha poi conseguito il diploma presso l’Istituto Magistrale “Pietro Siciliani” di Lecce, per poi intraprendere un percorso da insegnante. La passione per le arti letterarie inizia però dalla poesia dialettale ispirata alle tradizioni, alla cultura e al gergo marinaresco, della sua amata Porto Cesareo. È tra i primissimi ad intraprendere studi e ricerche di rilievo su Porto Cesareo ed è grazie a questo impegno costante che ritroviamo oggi tante opere dalle quali attingere informazioni preziose: da “Il gergo marinaro dei pescatori di Porto Cesareo” nel 1984 e 1988; “L’isola Grande o dei Conigli di Porto Cesareo” nel 1985; “Porto Cesareo in epoca romana. Portus Sasine o Senum” nel 1993; “Porto Cesareo. Dalle origini ai giorni nostri” nel 1997 e 2011. Un patrimonio che ha attinto nel corso del tempo dall’archivio parrocchiale dell’allora parroco Don Salvatore Nestola, dall’Archivio di Stato di Lecce e Napoli, dalla Biblioteca Provinciale di Lecce, dall’Archivio della Curia di Nardò. Iscritto alla società “Storia Patria per la Puglia” della sezione Novoli e Lecce, ha avuto al suo fianco figure importanti quali: i professori Mario Spedicato di Carmiano ed Alessandro La Porta, direttore della Biblioteca Provinciale di Lecce; Dino Levante, studioso della storia patria di Lecce; l’architetto Mario Cozzato e Salvatore Muci, studioso e scrittore di origini cesarine che così lo ricorda: ”Ho avuto la fortuna di conoscere Pasanisi intorno alla metà degli anni ’90, mentre stava ultimando il suo libro su Porto Cesareo, edito poi nel 1997. Ci incontravamo spesso, poiché entrambi consultavamo gli archivi di Stato, alla ricerca di preziose notizie. Nel febbraio 1999 andai per la prima volta nella sua casa a Novoli ed oltre a consultare i numerosi documenti notarili, notai come ogni stanza avesse le sembianze di una biblioteca vivente ricolma di libri e foto. Oltre che un valido studioso, perdo un amico con il quale vi è sempre stata stima reciproca. Ora, volato in cielo potrà riabbracciare il padre Angelo, scomparso durante la Seconda Guerra Mondiale in Etiopia e mai ritrovato, nonostante le numerose ricerche”.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
NOTTE DI TEMPESTA:
13 NOVEMBRE 2019
di Annairis Rizzello
In serata una pioggia leggera che con il passare del tempo diventava sempre più violenta. Il vento soffiava forte e la pioggia era incessante che quasi non si distingueva dalle onde alte all’interno del porto. Per i proprietari delle imbarcazioni non c'era più tempo da perdere, bisognava andare a controllare. Le strade principali completamente allagate, diventavano torrenti per via della pendenza. Il tempo scorreva e le condizioni meteo non miglioravano, le raffiche diventavano sempre più forti tanto da far staccare un modo dalla darsena con tutte le imbarcazioni che vi erano attraccate. Da lì, il vento imponente in direzione nord, portava con sé tutte le barche che trovava lungo il tragitto. Nel cuore della notte si avvicinava sempre più alla zona del luna park dove avrebbe potuto travolgere numerose barche attraccate a riva. Per fortuna non fu così. Si fermò poco prima, mentre il vento soffiava sempre meno e le onde si abbassavano. Nel frattempo però, le barche di piccole dimensioni quasi volavano sulle altre sino ad adagiarsi sulla banchina. I danni furono innumerevoli e sui visi dei presenti si leggeva impotenza e disperazione. Era l’alba del 13 novembre 2019. Con le prime luci del sole risaltava ancor più evidente la devastazione. Il porto non era più lo stesso. Era il momento di mettere ordine, tutti aiutavano tutti per salvare il salvabile e iniziavano così i lavori di rimozione delle imbarcazioni o di ciò che ne rimaneva. Porto Cesareo si dimostrava così, ancora una volta solidale, nonostante la tempesta.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
In serata una pioggia leggera che con il passare del tempo diventava sempre più violenta. Il vento soffiava forte e la pioggia era incessante che quasi non si distingueva dalle onde alte all’interno del porto. Per i proprietari delle imbarcazioni non c'era più tempo da perdere, bisognava andare a controllare. Le strade principali completamente allagate, diventavano torrenti per via della pendenza. Il tempo scorreva e le condizioni meteo non miglioravano, le raffiche diventavano sempre più forti tanto da far staccare un modo dalla darsena con tutte le imbarcazioni che vi erano attraccate. Da lì, il vento imponente in direzione nord, portava con sé tutte le barche che trovava lungo il tragitto. Nel cuore della notte si avvicinava sempre più alla zona del luna park dove avrebbe potuto travolgere numerose barche attraccate a riva. Per fortuna non fu così. Si fermò poco prima, mentre il vento soffiava sempre meno e le onde si abbassavano. Nel frattempo però, le barche di piccole dimensioni quasi volavano sulle altre sino ad adagiarsi sulla banchina. I danni furono innumerevoli e sui visi dei presenti si leggeva impotenza e disperazione. Era l’alba del 13 novembre 2019. Con le prime luci del sole risaltava ancor più evidente la devastazione. Il porto non era più lo stesso. Era il momento di mettere ordine, tutti aiutavano tutti per salvare il salvabile e iniziavano così i lavori di rimozione delle imbarcazioni o di ciò che ne rimaneva. Porto Cesareo si dimostrava così, ancora una volta solidale, nonostante la tempesta.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
ADDIO GINO COLELLI,
L'UOMO DEL DIO THOTH
di Raffaele Colelli
“Mi chiamo Gino Colelli, sono nato a Porto Cesareo, ho settantanove anni e faccio da più di sessant’anni il pescatore. Ero piccolino quando un bel giorno mio padre mi disse: - Vieni Gino che dobbiamo fare due ricci, e con noi c’era anche mio zio Chicco. Così ci siamo recati vicino all’isolotto delle Marve e mentre mio padre era intento a fare dei ricci e a scrutare il fondale con lo specchio - che altro non era che un secchio di rame con un fondo di vetro -, vide confusamente una cosa nera. - Qui vedo un pupazzo -, ci disse, e sempre con la testa nello specchio continuò: - Non so che cosa sia, sembra un pupazzo, un pupazzo tutto scuro -. Allora con una “vrancioddra”, una lunga asta con la punta a uncino che si usa per prendere i ricci, lo tirò su e lo pose sulla barca: era pesante, massiccia e molto, molto scura. Dopo tanto tempo, mesi forse, ci ricompensarono con cinquecento lire, anche se ora sembrano una miseria, in quel tempo erano molti soldi, credo qualche milione di adesso”. Questa è l’intervista che quindici anni fa il pescatore Gino Colelli rilasciò al suo amico giornalista Enzo Del Vecchio con la partecipazione di Legambiente e Rai Tre. Era l’ottobre del 1932, quando i tre pescatori Raffaele, Chicco e il piccolo Gino Colelli furono inconsapevolmente gli artefici di un ritrovamento archeologico di notevole importanza: il cosiddetto “Pupazzu Scuru”, ossia la statua del Dio Thoth.
Quel tesoro raro e prezioso arrivato da un mondo sconosciuto e lontano, dalla testa di scimmia, cambiò radicalmente il resto della sua vita. Quella statuetta nera di compatto basalto dell’antico Egitto dedicato al Dio Thoth, divinità lunare della scienza e del tempo della scrittura e del sapere, lo fece diventare quasi un mito, certamente immortale. Gino, divenuto adulto, divulgò la sua storia, fatta ormai leggenda, tra la gente, sui palchi e nelle piazze, tramandandola alle nuove generazioni tra i banchi di scuola dei bambini della scuola elementare. Quando a fine intervista il giornalista Enzo Del Vecchio gli chiese se avesse una particolare richiesta, Gino rispose con le testuali parole: “Io ho avuto sempre il desiderio, pure adesso, di rivedere la statuetta per ricordare la mia infanzia e quel momento in cui l’abbiamo tirata su dal mare”. Così dopo settantatré anni e grazie alla sensibilità del giornalista, che nel frattempo dopo tante interviste si era molto legato a quel pescatore, riuscì a far incontrare nuovamente Gino Colelli con la statuetta del Dio Thoth conservata nel museo archeologico di Taranto. Emozionato fino alle lacrime, se la strinse forte al petto, come quando ancora bambino la portò tra le sue piccole braccia per nasconderla nell’armadio a muro della sua casa, tra le prediche disperate di mamma Emma. Gino Colelli ci ha lasciato alla veneranda età di novantaquattro anni: si è spento lentamente e senza rumore nel suo letto, morto semplicemente di vecchiaia. Dieci minuti prima del suo ultimo respiro, qualcuno molto a lui vicino scrisse: “Su dai papà sganciati, non avere paura, allarga le ali e vola, vola alto, altissimo. Non voltarti indietro, ma guarda dritto in avanti verso quel piccolo puntino di luce. Sai, sei stato in fin dei conti un buon padre, timido, ma buono. Sai papà credo che lì dove andrai sarai ancora il più bello con i tuoi occhi celeste cielo e i capelli biondo castano. Sì papà, anche lì sarai fico, ma non montarti la testa e ogni tanto dai uno sguardo giù, noi saremo con il naso in su per salutarti. Dai papà sganciati, non avere paura, andrà tutto bene vedrai”. Anche il suo amico giornalista gli ha voluto dedicare un ultimo pensiero sulla Gazzetta del Mezzogiorno con il titolo di testa “Morto il “papà” del Dio Thoth”.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
“Mi chiamo Gino Colelli, sono nato a Porto Cesareo, ho settantanove anni e faccio da più di sessant’anni il pescatore. Ero piccolino quando un bel giorno mio padre mi disse: - Vieni Gino che dobbiamo fare due ricci, e con noi c’era anche mio zio Chicco. Così ci siamo recati vicino all’isolotto delle Marve e mentre mio padre era intento a fare dei ricci e a scrutare il fondale con lo specchio - che altro non era che un secchio di rame con un fondo di vetro -, vide confusamente una cosa nera. - Qui vedo un pupazzo -, ci disse, e sempre con la testa nello specchio continuò: - Non so che cosa sia, sembra un pupazzo, un pupazzo tutto scuro -. Allora con una “vrancioddra”, una lunga asta con la punta a uncino che si usa per prendere i ricci, lo tirò su e lo pose sulla barca: era pesante, massiccia e molto, molto scura. Dopo tanto tempo, mesi forse, ci ricompensarono con cinquecento lire, anche se ora sembrano una miseria, in quel tempo erano molti soldi, credo qualche milione di adesso”. Questa è l’intervista che quindici anni fa il pescatore Gino Colelli rilasciò al suo amico giornalista Enzo Del Vecchio con la partecipazione di Legambiente e Rai Tre. Era l’ottobre del 1932, quando i tre pescatori Raffaele, Chicco e il piccolo Gino Colelli furono inconsapevolmente gli artefici di un ritrovamento archeologico di notevole importanza: il cosiddetto “Pupazzu Scuru”, ossia la statua del Dio Thoth.
Quel tesoro raro e prezioso arrivato da un mondo sconosciuto e lontano, dalla testa di scimmia, cambiò radicalmente il resto della sua vita. Quella statuetta nera di compatto basalto dell’antico Egitto dedicato al Dio Thoth, divinità lunare della scienza e del tempo della scrittura e del sapere, lo fece diventare quasi un mito, certamente immortale. Gino, divenuto adulto, divulgò la sua storia, fatta ormai leggenda, tra la gente, sui palchi e nelle piazze, tramandandola alle nuove generazioni tra i banchi di scuola dei bambini della scuola elementare. Quando a fine intervista il giornalista Enzo Del Vecchio gli chiese se avesse una particolare richiesta, Gino rispose con le testuali parole: “Io ho avuto sempre il desiderio, pure adesso, di rivedere la statuetta per ricordare la mia infanzia e quel momento in cui l’abbiamo tirata su dal mare”. Così dopo settantatré anni e grazie alla sensibilità del giornalista, che nel frattempo dopo tante interviste si era molto legato a quel pescatore, riuscì a far incontrare nuovamente Gino Colelli con la statuetta del Dio Thoth conservata nel museo archeologico di Taranto. Emozionato fino alle lacrime, se la strinse forte al petto, come quando ancora bambino la portò tra le sue piccole braccia per nasconderla nell’armadio a muro della sua casa, tra le prediche disperate di mamma Emma. Gino Colelli ci ha lasciato alla veneranda età di novantaquattro anni: si è spento lentamente e senza rumore nel suo letto, morto semplicemente di vecchiaia. Dieci minuti prima del suo ultimo respiro, qualcuno molto a lui vicino scrisse: “Su dai papà sganciati, non avere paura, allarga le ali e vola, vola alto, altissimo. Non voltarti indietro, ma guarda dritto in avanti verso quel piccolo puntino di luce. Sai, sei stato in fin dei conti un buon padre, timido, ma buono. Sai papà credo che lì dove andrai sarai ancora il più bello con i tuoi occhi celeste cielo e i capelli biondo castano. Sì papà, anche lì sarai fico, ma non montarti la testa e ogni tanto dai uno sguardo giù, noi saremo con il naso in su per salutarti. Dai papà sganciati, non avere paura, andrà tutto bene vedrai”. Anche il suo amico giornalista gli ha voluto dedicare un ultimo pensiero sulla Gazzetta del Mezzogiorno con il titolo di testa “Morto il “papà” del Dio Thoth”.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
NUBIFRAGIO DEL '57 NEL SALENTO
di Dario Dell’Atti
L'ottobre del 1957 per gli abitanti della terra del Salento sembrava essere iniziato come tutti gli altri anni. L'estate era finita da poco, i costumi da bagno dei bambini avevano lasciato il posto al grembiule della scuola. Gli adulti sempre affaccendati nei campi mondavano le vigne dopo la vendemmia, si guardavano la terra per il granturco. La prima settimana del primo mese autunnale volgeva al termine. Le famiglie aspettavano il vestito elegante per la messa della domenica, il giro in piazza, il caffè del corso, la grande abbuffata delle 13. Il cielo quel primo sabato del 1957 dopo aver regalato mesi e mesi d'azzurro e sole, iniziò a rimbombare e a vestirsi di grigio. La pioggia iniziò a cadere lenta sulla terra rossa, il tintinnio dell'acqua sulle foglie invadeva inesorabilmente i campi, l'aria cupa escluse la luce lunare. Basolato e muri bianchi luccicavano all'aumentare della pioggia, le statue dei santi sulle facciate delle chiese piangevano. Il cielo aprì i rubinetti quasi a riscattare quel regalo d'afa fatto durante l’estate. Piovve per 17 ore consecutive: quasi 300 millimetri d'acqua scrosciarono nelle strade del Salento. Le poche macchine galleggiavano per le vie, i raccolti da buttare, danni per milioni di lire. Le terre comprese fra Otranto, Maglie, Taurisano, Ruffano, Presicce, Leuca furono messe in ginocchio dall'alluvione del 1957. Quel terribile weekend ha segnato inesorabilmente la vita di tutti i cittadini del Salento che dovettero rimboccarsi le maniche e ricostruire tutto quello che "l'uragano del 57" aveva portato via.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
L'ottobre del 1957 per gli abitanti della terra del Salento sembrava essere iniziato come tutti gli altri anni. L'estate era finita da poco, i costumi da bagno dei bambini avevano lasciato il posto al grembiule della scuola. Gli adulti sempre affaccendati nei campi mondavano le vigne dopo la vendemmia, si guardavano la terra per il granturco. La prima settimana del primo mese autunnale volgeva al termine. Le famiglie aspettavano il vestito elegante per la messa della domenica, il giro in piazza, il caffè del corso, la grande abbuffata delle 13. Il cielo quel primo sabato del 1957 dopo aver regalato mesi e mesi d'azzurro e sole, iniziò a rimbombare e a vestirsi di grigio. La pioggia iniziò a cadere lenta sulla terra rossa, il tintinnio dell'acqua sulle foglie invadeva inesorabilmente i campi, l'aria cupa escluse la luce lunare. Basolato e muri bianchi luccicavano all'aumentare della pioggia, le statue dei santi sulle facciate delle chiese piangevano. Il cielo aprì i rubinetti quasi a riscattare quel regalo d'afa fatto durante l’estate. Piovve per 17 ore consecutive: quasi 300 millimetri d'acqua scrosciarono nelle strade del Salento. Le poche macchine galleggiavano per le vie, i raccolti da buttare, danni per milioni di lire. Le terre comprese fra Otranto, Maglie, Taurisano, Ruffano, Presicce, Leuca furono messe in ginocchio dall'alluvione del 1957. Quel terribile weekend ha segnato inesorabilmente la vita di tutti i cittadini del Salento che dovettero rimboccarsi le maniche e ricostruire tutto quello che "l'uragano del 57" aveva portato via.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
COME ERAVAMO...
di Cosimo Baldi e Oronzo Greco
Nel pomeriggio tentiamo di andare sulla seconda e terza isola (isola della Testa), i cui fondali sono ricchi di “cuecciuli”, comuni frutti di mare. Per arrivarci, però, siamo obbligati a passare da “Lo Scoglio”, isola privata collegata alla terraferma da un piccolo ponte in legno e sorvegliata, giorno e notte, da un vecchio guardiano (lu Agostinu) il quale si avvale della collaborazione di un terribile cane lupo nero per impedire agli estranei di utilizzare Lo Scoglio come isola di transito. Anche alle due di pomeriggio, quando la pennichella del vecchio è più profonda, il tentativo quasi sempre fallisce. I ricordi diventano sempre più nitidi e mi rivedo nelle albe primaverili, quando si verifica il classico fenomeno della biancata, con l’aria immobile, il mare piatto e privo di increspature, gli scogli che emergono dal mare: sono le classiche giornate di secca, bassa marea, ideali per catturare, prima di andare alla scuola elementare, con un filo di giunco, con all’estremità un’esca di pesce come “li corse”, dei granchi pregiati. Le lego in serie con uno spago formando una “nserta” che porto a scuola per donarla al professore il quale mi nomina, ovviamente, capoclasse; oppure vado verso “lu casottu” (zona Rendez-vous) per scavare nel fango pietroso a mani nude o con un cucchiaio metallico per far emergere “li ramache” (vongole), anche queste graditissime al professore, che naturalmente continua a nominarmi capoclasse. In autunno, in inverno e in primavera uscendo da scuola torno a casa, mangio velocemente e ancora più velocemente faccio i compiti. Esco da casa, con l’obbligo di rientrare prima che faccia buio, e vado a giocare in mezzo alla strada con gli amici. Gioco a “furmeddhre” (bottoni), il cui valore è determinato dalla dimensione e quasi sempre “scuttu” (perdo tutto). Non sono rare le volte.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Nel pomeriggio tentiamo di andare sulla seconda e terza isola (isola della Testa), i cui fondali sono ricchi di “cuecciuli”, comuni frutti di mare. Per arrivarci, però, siamo obbligati a passare da “Lo Scoglio”, isola privata collegata alla terraferma da un piccolo ponte in legno e sorvegliata, giorno e notte, da un vecchio guardiano (lu Agostinu) il quale si avvale della collaborazione di un terribile cane lupo nero per impedire agli estranei di utilizzare Lo Scoglio come isola di transito. Anche alle due di pomeriggio, quando la pennichella del vecchio è più profonda, il tentativo quasi sempre fallisce. I ricordi diventano sempre più nitidi e mi rivedo nelle albe primaverili, quando si verifica il classico fenomeno della biancata, con l’aria immobile, il mare piatto e privo di increspature, gli scogli che emergono dal mare: sono le classiche giornate di secca, bassa marea, ideali per catturare, prima di andare alla scuola elementare, con un filo di giunco, con all’estremità un’esca di pesce come “li corse”, dei granchi pregiati. Le lego in serie con uno spago formando una “nserta” che porto a scuola per donarla al professore il quale mi nomina, ovviamente, capoclasse; oppure vado verso “lu casottu” (zona Rendez-vous) per scavare nel fango pietroso a mani nude o con un cucchiaio metallico per far emergere “li ramache” (vongole), anche queste graditissime al professore, che naturalmente continua a nominarmi capoclasse. In autunno, in inverno e in primavera uscendo da scuola torno a casa, mangio velocemente e ancora più velocemente faccio i compiti. Esco da casa, con l’obbligo di rientrare prima che faccia buio, e vado a giocare in mezzo alla strada con gli amici. Gioco a “furmeddhre” (bottoni), il cui valore è determinato dalla dimensione e quasi sempre “scuttu” (perdo tutto). Non sono rare le volte.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
IL RITO DELLA "TENTA":
CHI LO RICORDA?
di Dario Dell’Atti
L'antica tecnica marinara di cui parleremo oggi è quella della cottura delle reti nella "tenta". Pentolone di rame con capacità di 50 litri, diametro interno di 500 mm e altezza 400 mm. La tenta era necessaria per cuocere le reti. Proprio così, le reti dei pescatori prima di essere utilizzate per la pesca, dovevano essere imbevute e cotte con lo "Zappino", un estratto rossiccio della corteccia dei pini. La procedura era necessaria per proteggere le maglie di cotone dall'usura del mare. Le reti cotte prendevano il classico colore dello Zappino, ovvero il rosso. Dopo, venivano fatte scolare e messe ad asciugare per strada. Successivamente poste in depositi, riposavano il tempo necessario prima del quotidiano utilizzo. Sono immagini e momenti che ora sembrano sempre più lontani: i figli i e i padri si ritrovavano vicino i cosiddetti “locali della tenta”, nel piccolo giardino a disposizione e in alcune occasioni sull’uscio di casa. L’odore che ne scaturiva era particolare e inconfondibile. La nostra redazione da sempre attenta a spulciare nelle piccole – grandi tradizioni del passato, ha voluto ricordare questo particolare rito, patrimonio culturale cesarino da custodire gelosamente; è stato possibile farlo, grazie alla preziosa testimonianza di Angelo Greco, noto pescatore del posto. Il suo prezioso racconto è il modo più efficace per ricordare, anche perché come diceva Aldous Huxley, scrittore britannico del ‘900:” La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata.”
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
L'antica tecnica marinara di cui parleremo oggi è quella della cottura delle reti nella "tenta". Pentolone di rame con capacità di 50 litri, diametro interno di 500 mm e altezza 400 mm. La tenta era necessaria per cuocere le reti. Proprio così, le reti dei pescatori prima di essere utilizzate per la pesca, dovevano essere imbevute e cotte con lo "Zappino", un estratto rossiccio della corteccia dei pini. La procedura era necessaria per proteggere le maglie di cotone dall'usura del mare. Le reti cotte prendevano il classico colore dello Zappino, ovvero il rosso. Dopo, venivano fatte scolare e messe ad asciugare per strada. Successivamente poste in depositi, riposavano il tempo necessario prima del quotidiano utilizzo. Sono immagini e momenti che ora sembrano sempre più lontani: i figli i e i padri si ritrovavano vicino i cosiddetti “locali della tenta”, nel piccolo giardino a disposizione e in alcune occasioni sull’uscio di casa. L’odore che ne scaturiva era particolare e inconfondibile. La nostra redazione da sempre attenta a spulciare nelle piccole – grandi tradizioni del passato, ha voluto ricordare questo particolare rito, patrimonio culturale cesarino da custodire gelosamente; è stato possibile farlo, grazie alla preziosa testimonianza di Angelo Greco, noto pescatore del posto. Il suo prezioso racconto è il modo più efficace per ricordare, anche perché come diceva Aldous Huxley, scrittore britannico del ‘900:” La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata.”
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
LA MAGIA DELLA MOKA
di Annairis Rizzello
Nessuna cucina è completa senza la Moka da 2, 4 o 6 tazze. L’ origine del nome della caffettiera è da collegarsi al nome della città di Mokha (in Yemen) che è una delle prime e più importanti zone di produzione del caffè, in particolare della qualità arabica. La moka è una caffettiera ideata da Alfonso Bialetti nel 1933. Secondo la versione più popolare della storia, il signor Bialetti ebbe l’idea per la creazione della moka intorno agli anni ’20, osservando alcune lavandaie che facevano il bucato in una vasca con al centro un tubo dal quale fuoriuscivano acqua calda e sapone che si distribuivano sui panni. Fu proprio questa procedura di bollitura e distribuzione dell’acqua che diede l’idea che diventerà poi la base del progetto. Si tratta di un prodotto di disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo; il suo progetto ha subito negli anni solo lievi modifiche nella forma che rimane però quella “standard”, cioè ottagonale e di alluminio. Rappresenta uno dei più importanti elementi distintivi del prodotto ed oggi la Moka è riconosciuta in tutto il mondo come icona del Made in Italy. La diffusione del caffè inizialmente provocò delle problematiche di carattere religioso, in quanto era considerato dai sacerdoti la “bevanda del diavolo” per via dei suoi effetti energetici ed eccitanti. Proprio per questo motivo fu proposto di bandire il caffè come bevanda, facendo pressione a Papa Clemente VIII affinché ne vietasse l’uso a tutti. Il papa tuttavia, prima di attuare ufficialmente questa decisione, decise di provare di persona il caffè e ne rimase talmente colpito che decise di ribattezzare il caffè come “bevanda cristiana”. Fu così che in Italia il caffè divenne ben presto un dono da offrire per accogliere un ospite o come dono d’amore o di amicizia.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Nessuna cucina è completa senza la Moka da 2, 4 o 6 tazze. L’ origine del nome della caffettiera è da collegarsi al nome della città di Mokha (in Yemen) che è una delle prime e più importanti zone di produzione del caffè, in particolare della qualità arabica. La moka è una caffettiera ideata da Alfonso Bialetti nel 1933. Secondo la versione più popolare della storia, il signor Bialetti ebbe l’idea per la creazione della moka intorno agli anni ’20, osservando alcune lavandaie che facevano il bucato in una vasca con al centro un tubo dal quale fuoriuscivano acqua calda e sapone che si distribuivano sui panni. Fu proprio questa procedura di bollitura e distribuzione dell’acqua che diede l’idea che diventerà poi la base del progetto. Si tratta di un prodotto di disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo; il suo progetto ha subito negli anni solo lievi modifiche nella forma che rimane però quella “standard”, cioè ottagonale e di alluminio. Rappresenta uno dei più importanti elementi distintivi del prodotto ed oggi la Moka è riconosciuta in tutto il mondo come icona del Made in Italy. La diffusione del caffè inizialmente provocò delle problematiche di carattere religioso, in quanto era considerato dai sacerdoti la “bevanda del diavolo” per via dei suoi effetti energetici ed eccitanti. Proprio per questo motivo fu proposto di bandire il caffè come bevanda, facendo pressione a Papa Clemente VIII affinché ne vietasse l’uso a tutti. Il papa tuttavia, prima di attuare ufficialmente questa decisione, decise di provare di persona il caffè e ne rimase talmente colpito che decise di ribattezzare il caffè come “bevanda cristiana”. Fu così che in Italia il caffè divenne ben presto un dono da offrire per accogliere un ospite o come dono d’amore o di amicizia.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
ARRESTO CARDIACO:
COME INTERVENIRE?
di Vittorio Falli
Controllate l’assenza del polso carotideo per almeno 10 secondi. Per individuarlo ponete l’indice e il medio sul pomo d’Adamo dell’infortunato (che ha il capo esteso), quindi fate scivolare lateralmente i polpastrelli delle due dita esercitando una leggera pressione sul collo fino a percepire la pulsazione dell’arteria carotide. Se con questa manovra non si avvertono pulsazioni per almeno 10 secondi, siete con ogni probabilità di fronte a un arresto cardiaco. Con l’infortunato disteso su un piano rigido, ponete i palmi delle mani sovrapposti sulla parte inferiore dello sterno. Affinché la manovra sia efficace occorre che la persona sia adagiata su un piano rigido, come il pavimento o un tavolo. Se il soggetto si trova a letto, non perdete tempo cercando di spostarlo, ma prima di procedere al massaggio inserite un supporto rigido, come un vassoio, tra il materasso e le spalle. Le vostre braccia devono essere tese, i gomiti bloccati e le dita sollevate; in questo modo premete ritmicamente sullo sterno spostando in avanti il peso del corpo: ripetete 60 volte al minuto se è presente un soccorritore oppure 80 volte al minuto se i soccorritori sono due. Non staccate mai le mani dallo sterno, nemmeno nell’intervallo tra due compressioni successive. La pressione esercitata sullo sterno deve provocare uno spostamento verso la colonna vertebrale di 4-5 cm e deve durare circa 1/2 secondo (come l’intervallo). Durante il massaggio cardiaco il cuore si trova compresso tra due strutture rigide, la colonna vertebrale e lo sterno; in questo modo il sangue in esso contenuto viene spinto nelle arterie (è quanto accade anche nella contrazione sistolica). Nel momento in cui si interrompe la compressione sternale si verifica un’espansione elastica del torace e del cuore, con l’effetto di richiamare il sangue dai vasi venosi al cuore, come nella normale diastole.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
Controllate l’assenza del polso carotideo per almeno 10 secondi. Per individuarlo ponete l’indice e il medio sul pomo d’Adamo dell’infortunato (che ha il capo esteso), quindi fate scivolare lateralmente i polpastrelli delle due dita esercitando una leggera pressione sul collo fino a percepire la pulsazione dell’arteria carotide. Se con questa manovra non si avvertono pulsazioni per almeno 10 secondi, siete con ogni probabilità di fronte a un arresto cardiaco. Con l’infortunato disteso su un piano rigido, ponete i palmi delle mani sovrapposti sulla parte inferiore dello sterno. Affinché la manovra sia efficace occorre che la persona sia adagiata su un piano rigido, come il pavimento o un tavolo. Se il soggetto si trova a letto, non perdete tempo cercando di spostarlo, ma prima di procedere al massaggio inserite un supporto rigido, come un vassoio, tra il materasso e le spalle. Le vostre braccia devono essere tese, i gomiti bloccati e le dita sollevate; in questo modo premete ritmicamente sullo sterno spostando in avanti il peso del corpo: ripetete 60 volte al minuto se è presente un soccorritore oppure 80 volte al minuto se i soccorritori sono due. Non staccate mai le mani dallo sterno, nemmeno nell’intervallo tra due compressioni successive. La pressione esercitata sullo sterno deve provocare uno spostamento verso la colonna vertebrale di 4-5 cm e deve durare circa 1/2 secondo (come l’intervallo). Durante il massaggio cardiaco il cuore si trova compresso tra due strutture rigide, la colonna vertebrale e lo sterno; in questo modo il sangue in esso contenuto viene spinto nelle arterie (è quanto accade anche nella contrazione sistolica). Nel momento in cui si interrompe la compressione sternale si verifica un’espansione elastica del torace e del cuore, con l’effetto di richiamare il sangue dai vasi venosi al cuore, come nella normale diastole.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
COME ERAVAMO...
di Cosimo Baldi e Oronzo Greco
La foto in bianco e nero, scattata da Massimiliano Rizzello a metà degli anni ’60, ritrae dodici tra adolescenti e quasi maggiorenni in pantaloncini di vari colori. Indossano una maglietta a strisce verticali nere e azzurre. Sei in piedi, cinque flessi sulle ginocchia e uno disteso per terra, in presa, su un ruvido pallone di cuoio a tinta unita. Alcuni calzano scarpe da calciatore, altri esibiscono le scarpe di tutti i giorni. Deduco che questi ragazzi hanno racimolato soldi sufficienti per comprare solo le magliette; i pantaloncini e le scarpe sono personali. Tutti insieme formano una squadra di calcio alla quale ovviamente non può mancare l’accompagnatore (o l’intruso di turno), abbronzatissimo, in piedi, il primo a sinistra. Nel campo di calcio non si intravede traccia alcuna di erbetta, in compenso abbonda pietrame sparso, di vario tipo e dimensione. È una foto che appartiene al mio passato e che attiva in me una miriade di ricordi mai sopiti: frammenti di immagini dell’infanzia e dell’adolescenza si ricompongono, prendono corpo e incominciano a scorrere sempre più nitidi nella mia mente. Inizia un viaggio a ritroso nel tempo lungo 60 anni. Mi vedo tra tanti bambini, tutti miei amici, in ammollo a nuotare e a giocare per ore nel mare, nelle infuocate giornate d’estate, incuranti delle labbra ormai da tempo diventate violacee e delle dita raggrinzite, segno evidente di una prolungata permanenza in acqua. Solo le urla minacciose di mamma o di papà ci convincono ad uscire docilmente e immediatamente dall’acqua. Con i barattoli vuoti della conserva di pomodoro (buatte) andiamo a pesca di cuggiuni (pesciolini da frittura) e con il pociu (un ampio retino) peschiamo li caritule (piccolissimi gamberi trasparenti), ottime per una gustosa frittura. (segue seconda parte)
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
La foto in bianco e nero, scattata da Massimiliano Rizzello a metà degli anni ’60, ritrae dodici tra adolescenti e quasi maggiorenni in pantaloncini di vari colori. Indossano una maglietta a strisce verticali nere e azzurre. Sei in piedi, cinque flessi sulle ginocchia e uno disteso per terra, in presa, su un ruvido pallone di cuoio a tinta unita. Alcuni calzano scarpe da calciatore, altri esibiscono le scarpe di tutti i giorni. Deduco che questi ragazzi hanno racimolato soldi sufficienti per comprare solo le magliette; i pantaloncini e le scarpe sono personali. Tutti insieme formano una squadra di calcio alla quale ovviamente non può mancare l’accompagnatore (o l’intruso di turno), abbronzatissimo, in piedi, il primo a sinistra. Nel campo di calcio non si intravede traccia alcuna di erbetta, in compenso abbonda pietrame sparso, di vario tipo e dimensione. È una foto che appartiene al mio passato e che attiva in me una miriade di ricordi mai sopiti: frammenti di immagini dell’infanzia e dell’adolescenza si ricompongono, prendono corpo e incominciano a scorrere sempre più nitidi nella mia mente. Inizia un viaggio a ritroso nel tempo lungo 60 anni. Mi vedo tra tanti bambini, tutti miei amici, in ammollo a nuotare e a giocare per ore nel mare, nelle infuocate giornate d’estate, incuranti delle labbra ormai da tempo diventate violacee e delle dita raggrinzite, segno evidente di una prolungata permanenza in acqua. Solo le urla minacciose di mamma o di papà ci convincono ad uscire docilmente e immediatamente dall’acqua. Con i barattoli vuoti della conserva di pomodoro (buatte) andiamo a pesca di cuggiuni (pesciolini da frittura) e con il pociu (un ampio retino) peschiamo li caritule (piccolissimi gamberi trasparenti), ottime per una gustosa frittura. (segue seconda parte)
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
SONY WALKMAN
di Giuseppe Gorbelli
Alla fine degli anni Settanta, un team di imprenditori, fisici e ingegneri giapponesi si riunisce per dare forma a un oggetto che modificherà per sempre il modo di ascoltare la musica. Così, il primo luglio del 1979 Sony porta sugli scaffali dei negozi un lettore di musicassette portatile con cuffie. Walkman in Giappone, Stowaway nel Regno Unito, Soundabout in America. Il TPS-L2, primo modello commercializzato, appare subito molto più di uno strumento di ascolto. Casual e di tendenza, dai colori blue jeans e metallizzato, il Walkman è un vero e proprio accessorio da indossare. L’immaterialità sonora trova corpo in questo oggetto, il cui cuore viene caricato dalle musicassette. I nastri, girando, vanno a irrorare i fili che conducono, come delle arterie, la musica all’orecchio. È un’esperienza immersiva che isola la persona dall’ambiente esterno, l’ascolto da condiviso diventa intimo. Il segreto del grande successo risiede non tanto nell’innovazione tecnologica, ma nella rivoluzione funzionale che questo strumento ha determinato: una chiusura netta con il passato e l’avanzare della musica da passeggio in solitaria. L’invenzione attribuita a Akio Morita, Masaru Ibuka e Kozo Ōsone si scontra con il caso legato ad Andreas Pavel, primo a brevettare un sistema stereo portatile, lo Stereobelt, che Pavel propose ad aziende come Philips e Yamaha. I colossi valutarono che indossare le cuffie in pubblico sarebbe stato ridicolo e inusuale per le persone e bocciarono il progetto. Sony fu poi costretta in giudizio a riconoscere a Pavel la paternità del Walkman, pagando diritti milionari all’uomo che aveva avuto per primo la felice intuizione. L’epoca del Walkman tramonta in maniera definitiva nel 2010, anno in cui Sony decide di metterlo fuori produzione.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
Alla fine degli anni Settanta, un team di imprenditori, fisici e ingegneri giapponesi si riunisce per dare forma a un oggetto che modificherà per sempre il modo di ascoltare la musica. Così, il primo luglio del 1979 Sony porta sugli scaffali dei negozi un lettore di musicassette portatile con cuffie. Walkman in Giappone, Stowaway nel Regno Unito, Soundabout in America. Il TPS-L2, primo modello commercializzato, appare subito molto più di uno strumento di ascolto. Casual e di tendenza, dai colori blue jeans e metallizzato, il Walkman è un vero e proprio accessorio da indossare. L’immaterialità sonora trova corpo in questo oggetto, il cui cuore viene caricato dalle musicassette. I nastri, girando, vanno a irrorare i fili che conducono, come delle arterie, la musica all’orecchio. È un’esperienza immersiva che isola la persona dall’ambiente esterno, l’ascolto da condiviso diventa intimo. Il segreto del grande successo risiede non tanto nell’innovazione tecnologica, ma nella rivoluzione funzionale che questo strumento ha determinato: una chiusura netta con il passato e l’avanzare della musica da passeggio in solitaria. L’invenzione attribuita a Akio Morita, Masaru Ibuka e Kozo Ōsone si scontra con il caso legato ad Andreas Pavel, primo a brevettare un sistema stereo portatile, lo Stereobelt, che Pavel propose ad aziende come Philips e Yamaha. I colossi valutarono che indossare le cuffie in pubblico sarebbe stato ridicolo e inusuale per le persone e bocciarono il progetto. Sony fu poi costretta in giudizio a riconoscere a Pavel la paternità del Walkman, pagando diritti milionari all’uomo che aveva avuto per primo la felice intuizione. L’epoca del Walkman tramonta in maniera definitiva nel 2010, anno in cui Sony decide di metterlo fuori produzione.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
CENTENARIA CESARINA
di Alessio Peluso
“Vorrei incontrarti fra cent'anni, tu pensa al mondo fra cent'anni, ritroverò i tuoi occhi neri, tra milioni di occhi neri, saran belli più di ieri…” È il sogno di tanti raggiungere la cifra perfetta, quota 100, un privilegio per pochi eletti. Un traguardo che Antonia Scarlino sogna di raggiungere dalla sua nascita, 21 maggio 1920 ad oggi. Originaria di Melissano, nel lontano 1950 si trasferisce nella nostra Porto Cesareo, per accompagnare il marito Ruggiero Pindinello nel suo percorso lavorativo. Insieme costruiranno una famiglia numerosa con ben 11 figli. Lei da donna matura, piena di vita e amorevole, se ne prenderà cura, ricoprendo egregiamente il suo ruolo da madre di famiglia. Ancora oggi dall’alto dei suoi 100 anni lo spirito è più che mai vivo, la memoria mai doma. Ed è grazie ad essa che Antonia ci narra uno degli avvenimenti che hanno segnato il suo secolo di vita: correva l’anno 1962 e dolori addominali lancinanti avevano minato le sue condizioni di salute. Ben presto trasferita a Roma per essere curata, le sarà diagnosticata una peritonite perforata, che i medici reputano da subito inguaribile. Fasciata con delle garze, trascorrerà in una stanza d’ospedale la notte tra il 24 e il 25 dicembre, giorno di Natale. Giunta l’alba, la sua compagna di reparto chiama i dottori, poiché Antonia non lancia più urla di dolore e presumibilmente dovrebbe essere morta. Invece no! All’arrivo dei medici lei si alza dal letto ed è miracolosamente guarita! Racconta di aver visto una coppia di medici, venuti nella notte con una coppetta in plastica e una penna con inchiostro e calamaio. I dottori esterrefatti dell’accaduto si rivolgono alla sede papale. Di lì a poco sarà lo stesso Papa Giovanni XXIII, il “Papa buono” ad andare a trovarla. Durante questo dialogo le saranno mostrate alcune foto religiose, dove riconoscerà i suoi guaritori misteriosi: i Santi Medici Cosma e Damiano. Da allora e per il resto della vita continui pellegrinaggi di devozione, che l’hanno portata il 21 maggio 2020 a compiere un secolo di vita. Tanti auguri!
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
“Vorrei incontrarti fra cent'anni, tu pensa al mondo fra cent'anni, ritroverò i tuoi occhi neri, tra milioni di occhi neri, saran belli più di ieri…” È il sogno di tanti raggiungere la cifra perfetta, quota 100, un privilegio per pochi eletti. Un traguardo che Antonia Scarlino sogna di raggiungere dalla sua nascita, 21 maggio 1920 ad oggi. Originaria di Melissano, nel lontano 1950 si trasferisce nella nostra Porto Cesareo, per accompagnare il marito Ruggiero Pindinello nel suo percorso lavorativo. Insieme costruiranno una famiglia numerosa con ben 11 figli. Lei da donna matura, piena di vita e amorevole, se ne prenderà cura, ricoprendo egregiamente il suo ruolo da madre di famiglia. Ancora oggi dall’alto dei suoi 100 anni lo spirito è più che mai vivo, la memoria mai doma. Ed è grazie ad essa che Antonia ci narra uno degli avvenimenti che hanno segnato il suo secolo di vita: correva l’anno 1962 e dolori addominali lancinanti avevano minato le sue condizioni di salute. Ben presto trasferita a Roma per essere curata, le sarà diagnosticata una peritonite perforata, che i medici reputano da subito inguaribile. Fasciata con delle garze, trascorrerà in una stanza d’ospedale la notte tra il 24 e il 25 dicembre, giorno di Natale. Giunta l’alba, la sua compagna di reparto chiama i dottori, poiché Antonia non lancia più urla di dolore e presumibilmente dovrebbe essere morta. Invece no! All’arrivo dei medici lei si alza dal letto ed è miracolosamente guarita! Racconta di aver visto una coppia di medici, venuti nella notte con una coppetta in plastica e una penna con inchiostro e calamaio. I dottori esterrefatti dell’accaduto si rivolgono alla sede papale. Di lì a poco sarà lo stesso Papa Giovanni XXIII, il “Papa buono” ad andare a trovarla. Durante questo dialogo le saranno mostrate alcune foto religiose, dove riconoscerà i suoi guaritori misteriosi: i Santi Medici Cosma e Damiano. Da allora e per il resto della vita continui pellegrinaggi di devozione, che l’hanno portata il 21 maggio 2020 a compiere un secolo di vita. Tanti auguri!
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
IL PESCATORE: 24 GIUGNO 2007
di Aurora Paladini
La nostra storia e la nostra identità sono il patrimonio più prezioso da tutelare. Nel terzo libro del trattato naturalistico di Plinio Il Vecchio, “Naturalis historia”, si attestano le prime tracce di Sasinae Portus (oggi Porto Cesareo), un piccolo borgo di pescatori e navigatori dediti alla pesca e al commercio. Nonostante lo sviluppo del turismo balneare a partire dal periodo fascista e il relativo boom registrato negli ultimi anni, la figura del pescatore ha sempre conservato il suo carattere storico-identitario e rappresentativo per Porto Cesareo. La scelta di onorare attraverso l’arte il valore degli uomini di mare e delle loro famiglie arriva nel 1999, quando l’artista vegliese Celestino De Gabriele viene incaricato, dall’allora sindaco Pasquale De Monte e dall’allora Assessore alla Pesca Giuseppe Fanizza, di realizzare la Statua del Pescatore. La meravigliosa scultura in bronzo viene collocata al centro del Piazzale Scalo D’Alaggio con lo sguardo rivolto verso il mare. Basta ammirarla da vicino per notare l’espressività sorprendente dell’opera di De Gabriele: la posizione dell’uomo trasmette il senso del sacrificio, della stanchezza e allo stesso tempo uno smisurato senso di dignità e resilienza. La totalità degli elementi che caratterizzano la statua dà vita, nella mente dell’osservatore, ad un dipinto dell’immagine del pescatore; guardandola attentamente si può persino immaginare l’uomo prendere vita e continuare la sua marcia silenziosa verso il mare, messa in pausa eternamente dall’abile scultore perché tutti, cesarini e turisti, potessero contemplarla. Il 24 giugno 2007 la statua viene intitolata ufficialmente, rendendo omaggio “alla memoria di coloro che operando in mare non tornarono” (estratto del testo sulla targa commemorativa). Con lo scorrere del tempo, i pescatori sono stati protagonisti di ondate di cambiamento e innovazione, grazie alla tecnologia, ma non solo. Infatti, le sfide della sostenibilità ambientale e del turismo ittico li vedono ancora una volta al centro delle dinamiche sociali ed economiche della nostra comunità.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
La nostra storia e la nostra identità sono il patrimonio più prezioso da tutelare. Nel terzo libro del trattato naturalistico di Plinio Il Vecchio, “Naturalis historia”, si attestano le prime tracce di Sasinae Portus (oggi Porto Cesareo), un piccolo borgo di pescatori e navigatori dediti alla pesca e al commercio. Nonostante lo sviluppo del turismo balneare a partire dal periodo fascista e il relativo boom registrato negli ultimi anni, la figura del pescatore ha sempre conservato il suo carattere storico-identitario e rappresentativo per Porto Cesareo. La scelta di onorare attraverso l’arte il valore degli uomini di mare e delle loro famiglie arriva nel 1999, quando l’artista vegliese Celestino De Gabriele viene incaricato, dall’allora sindaco Pasquale De Monte e dall’allora Assessore alla Pesca Giuseppe Fanizza, di realizzare la Statua del Pescatore. La meravigliosa scultura in bronzo viene collocata al centro del Piazzale Scalo D’Alaggio con lo sguardo rivolto verso il mare. Basta ammirarla da vicino per notare l’espressività sorprendente dell’opera di De Gabriele: la posizione dell’uomo trasmette il senso del sacrificio, della stanchezza e allo stesso tempo uno smisurato senso di dignità e resilienza. La totalità degli elementi che caratterizzano la statua dà vita, nella mente dell’osservatore, ad un dipinto dell’immagine del pescatore; guardandola attentamente si può persino immaginare l’uomo prendere vita e continuare la sua marcia silenziosa verso il mare, messa in pausa eternamente dall’abile scultore perché tutti, cesarini e turisti, potessero contemplarla. Il 24 giugno 2007 la statua viene intitolata ufficialmente, rendendo omaggio “alla memoria di coloro che operando in mare non tornarono” (estratto del testo sulla targa commemorativa). Con lo scorrere del tempo, i pescatori sono stati protagonisti di ondate di cambiamento e innovazione, grazie alla tecnologia, ma non solo. Infatti, le sfide della sostenibilità ambientale e del turismo ittico li vedono ancora una volta al centro delle dinamiche sociali ed economiche della nostra comunità.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
BLUE JEANS
di Aurora Paladini
Per conoscere le origini dei jeans bisogna fare un salto di due secoli nel passato e incontrare un uomo il cui nome è conosciuto in tutto il mondo: Levi Strauss. Dal punto di vista geografico, l’invenzione dei jeans si colloca sulla famosa west coast americana, a San Francisco. In realtà, però, la loro storia si spalma tra Europa e Stati Uniti D’America. Levi Strauss, naturalizzazione americana del tedesco Löb Strauß, abbandona la sua Germania a causa del trattamento economico discriminante nei confronti di chi, come lui, era ebreo. La sua destinazione, New York, dove i fratelli gestiscono un negozio di tessuti, si rivela un breve punto di passaggio: Strauss parte alle volte di San Francisco per aprire una nuova filiale dell’azienda di famiglia, cavalcando l’onda della corsa all’oro. È il 1853 e la prima intuizione dei pantaloni indistruttibili per lavoratori, ricavati da tendoni per carri, arriva durante il viaggio verso la California. Dopo aver sostituito quel tessuto con il denim francese, già usato per le divise dei marinai genovesi, un punto di svolta viene raggiunto quando Levi Strauss e Jacob Davis, un suo cliente sarto, ottengono il brevetto per l’inserimento di rivetti di rinforzo: ed ecco che il 20 maggio 1873 nascono ufficialmente i Blue Jeans (si pensa che Jeans sia il nome con cui al tempo venivano chiamati i genovesi), le prime tute da lavoro maschili. La versione femminile arriva nel 1934 con l’intento di stabilire un’uguaglianza tra uomini e donne in ambito lavorativo. Si tratta di una data sorprendente dal punto di vista storico, se si pensa che i primi movimenti per l’uguaglianza di genere nascono ufficialmente solo 30 anni dopo. E così mentre la Levi Strauss & Co. continuano a innovarsi, non è trascurabile il suo carattere filantropico: ancora oggi sostiene iniziative accademiche, istituti di accoglienza per anziani e orfani.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
Per conoscere le origini dei jeans bisogna fare un salto di due secoli nel passato e incontrare un uomo il cui nome è conosciuto in tutto il mondo: Levi Strauss. Dal punto di vista geografico, l’invenzione dei jeans si colloca sulla famosa west coast americana, a San Francisco. In realtà, però, la loro storia si spalma tra Europa e Stati Uniti D’America. Levi Strauss, naturalizzazione americana del tedesco Löb Strauß, abbandona la sua Germania a causa del trattamento economico discriminante nei confronti di chi, come lui, era ebreo. La sua destinazione, New York, dove i fratelli gestiscono un negozio di tessuti, si rivela un breve punto di passaggio: Strauss parte alle volte di San Francisco per aprire una nuova filiale dell’azienda di famiglia, cavalcando l’onda della corsa all’oro. È il 1853 e la prima intuizione dei pantaloni indistruttibili per lavoratori, ricavati da tendoni per carri, arriva durante il viaggio verso la California. Dopo aver sostituito quel tessuto con il denim francese, già usato per le divise dei marinai genovesi, un punto di svolta viene raggiunto quando Levi Strauss e Jacob Davis, un suo cliente sarto, ottengono il brevetto per l’inserimento di rivetti di rinforzo: ed ecco che il 20 maggio 1873 nascono ufficialmente i Blue Jeans (si pensa che Jeans sia il nome con cui al tempo venivano chiamati i genovesi), le prime tute da lavoro maschili. La versione femminile arriva nel 1934 con l’intento di stabilire un’uguaglianza tra uomini e donne in ambito lavorativo. Si tratta di una data sorprendente dal punto di vista storico, se si pensa che i primi movimenti per l’uguaglianza di genere nascono ufficialmente solo 30 anni dopo. E così mentre la Levi Strauss & Co. continuano a innovarsi, non è trascurabile il suo carattere filantropico: ancora oggi sostiene iniziative accademiche, istituti di accoglienza per anziani e orfani.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
FESTA DELLA MAMMA
di Annairis Rizzello
Per molti anni a partire dagli anni Cinquanta, l’8 maggio è stato il giorno in cui si festeggiava la Giornata Internazionale della Mamma ma, con gli anni, la festività ricade oggi nella seconda domenica di maggio. Quest’anno, il giorno in onore della figura della madre e della maternità sarà domenica 10 maggio. È curioso pensare quanto i neonati, così piccoli e innocenti riescano a captare sin da subito l’importanza della figura materna, tanto che la prima parola di molti di loro è proprio mamma. Questo fa riflettere su quel cordone ombelicale che una volta tagliato dopo il parto, non svanisce, ma diventa un legame invisibile, ma percettibile, che nessun evento per quanto catastrofico può sostituire. Non si può spiegare a parole cosa una madre rappresenti per ognuno di noi e tantomeno quanto sia profondo il dolore di coloro che non possono più godere di un consiglio, di un abbraccio e perché no, anche di un rimprovero materno. Come dice Jill Churchill: “Non è possibile essere una madre perfetta, ma ci sono milioni di modi per essere una buona madre” e ognuna di loro è unica, insostituibile e spesso anche insopportabile, ma la cosa certa è che ‘la mamma è sempre la mamma’.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
Per molti anni a partire dagli anni Cinquanta, l’8 maggio è stato il giorno in cui si festeggiava la Giornata Internazionale della Mamma ma, con gli anni, la festività ricade oggi nella seconda domenica di maggio. Quest’anno, il giorno in onore della figura della madre e della maternità sarà domenica 10 maggio. È curioso pensare quanto i neonati, così piccoli e innocenti riescano a captare sin da subito l’importanza della figura materna, tanto che la prima parola di molti di loro è proprio mamma. Questo fa riflettere su quel cordone ombelicale che una volta tagliato dopo il parto, non svanisce, ma diventa un legame invisibile, ma percettibile, che nessun evento per quanto catastrofico può sostituire. Non si può spiegare a parole cosa una madre rappresenti per ognuno di noi e tantomeno quanto sia profondo il dolore di coloro che non possono più godere di un consiglio, di un abbraccio e perché no, anche di un rimprovero materno. Come dice Jill Churchill: “Non è possibile essere una madre perfetta, ma ci sono milioni di modi per essere una buona madre” e ognuna di loro è unica, insostituibile e spesso anche insopportabile, ma la cosa certa è che ‘la mamma è sempre la mamma’.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
BIBLIOTECA ALBERTI:
UN ANNO DI NOI
di Paolo Galignano
Inizio questo articolo con una data: 24 aprile 2019. Una data storica per Porto Cesareo; quel giorno vide la luce un nuovo spazio culturale per il paese: la “Biblioteca Alberti”. Una data memorabile per questo nostro piccolo paese, dedito alla pesca e al turismo estivo, ma una data davvero importante soprattutto per quel gruppo di volontari che hanno realizzato il loro sogno: la nascita di una biblioteca, laica e apolitica, che rappresenta un ulteriore sito di aggregazione e scambio culturale per la comunità di Porto Cesareo. Questo "manipolo di eroi", del quale ne faccio orgogliosamente parte, è composto da volontari che, come novelli Peter Pan, hanno fatto diventare la loro "Isola che non c'è" una splendida e concreta realtà. Nell'austerità e nella tristezza collettiva di questi giorni drammatici per la nostra amata Italia, il 24 aprile 2020 la Biblioteca Alberti compirà un anno di vita; un compleanno che, probabilmente, non verrà festeggiato in modo ufficiale e aperto, ma che riempie di gioia e orgoglio i cuori di coloro che, con il loro tempo e le loro energie, hanno portato la Biblioteca Alberti al suo primo "giro intorno al Sole". L'entusiasmo fin qui evidente non deve, però, far supporre che la nascita e il primo anno di vita della biblioteca sia stata una dolce discesa senza problemi. Infatti i mesi precedenti all'inaugurazione e i suoi primi dodici mesi sono paragonabili piuttosto a una corsa a ostacoli. Le difficoltà logistiche e di uomini e mezzi non sono mancate. Soltanto l'impegno profuso dai suoi volontari, le varie competenze individuali e il forte desiderio di realizzare questo sogno, hanno reso possibile questa titanica impresa. In conclusione, non farò il lungo elenco dei volontari, presenti e passati, ma, a nome di tutta la Biblioteca, cito e ringrazio di cuore colui che è l'anima e la mente della biblioteca, colui che ha dato il "la" alla nascita di questo progetto, posando il primo "mattone"; a lui è intitolata e dedicata la Biblioteca Alberti: il grande e inimitabile Antonio Alberti.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
Inizio questo articolo con una data: 24 aprile 2019. Una data storica per Porto Cesareo; quel giorno vide la luce un nuovo spazio culturale per il paese: la “Biblioteca Alberti”. Una data memorabile per questo nostro piccolo paese, dedito alla pesca e al turismo estivo, ma una data davvero importante soprattutto per quel gruppo di volontari che hanno realizzato il loro sogno: la nascita di una biblioteca, laica e apolitica, che rappresenta un ulteriore sito di aggregazione e scambio culturale per la comunità di Porto Cesareo. Questo "manipolo di eroi", del quale ne faccio orgogliosamente parte, è composto da volontari che, come novelli Peter Pan, hanno fatto diventare la loro "Isola che non c'è" una splendida e concreta realtà. Nell'austerità e nella tristezza collettiva di questi giorni drammatici per la nostra amata Italia, il 24 aprile 2020 la Biblioteca Alberti compirà un anno di vita; un compleanno che, probabilmente, non verrà festeggiato in modo ufficiale e aperto, ma che riempie di gioia e orgoglio i cuori di coloro che, con il loro tempo e le loro energie, hanno portato la Biblioteca Alberti al suo primo "giro intorno al Sole". L'entusiasmo fin qui evidente non deve, però, far supporre che la nascita e il primo anno di vita della biblioteca sia stata una dolce discesa senza problemi. Infatti i mesi precedenti all'inaugurazione e i suoi primi dodici mesi sono paragonabili piuttosto a una corsa a ostacoli. Le difficoltà logistiche e di uomini e mezzi non sono mancate. Soltanto l'impegno profuso dai suoi volontari, le varie competenze individuali e il forte desiderio di realizzare questo sogno, hanno reso possibile questa titanica impresa. In conclusione, non farò il lungo elenco dei volontari, presenti e passati, ma, a nome di tutta la Biblioteca, cito e ringrazio di cuore colui che è l'anima e la mente della biblioteca, colui che ha dato il "la" alla nascita di questo progetto, posando il primo "mattone"; a lui è intitolata e dedicata la Biblioteca Alberti: il grande e inimitabile Antonio Alberti.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
IL PUNTO SUL ... CAMPOSCUOLA
di Annairis Rizzello
Anche quest’anno la struttura ricettiva “Oasi Tabor” situata a Nardò ha ospitato numerosi ragazzi dell’Azione Cattolica Ragazzi di Porto Cesareo, per il campo-scuola invernale svolto durante le vacanze di carnevale tra il 22 e il 26 febbraio. 53 il numero dei partecipanti, affiancati dal gruppo educatori. La fascia d’età tra i 9 e gli 11 anni ha incentrato il percorso sul film di “Harry Potter”, accostato a temi rilevanti: il Battesimo e l’essere chiamati per nome; l’individualità e la scoperta del proprio talento; le relazioni interpersonali (in special modo l’amicizia) legate ai concetti di inclusione e bullismo; “l’unione fa la forza” tramite giochi sulla fiducia e sul coraggio e in conclusione i concetti di oscurità e di essere luce, tramite i sacramenti della riconciliazione e della comunione, avvenuta durante la Messa conclusiva delle Ceneri. Contemporaneamente, i ragazzi 12-14 hanno trattato il tema “L’essenziale invisibile 2.0”, grazie all’ausilio del libro “Il Piccolo Principe”, ricollegato ai 10 comandamenti (rivisitati in chiave attuale tramite alcuni video) e a temi quali: l’amicizia e le relazioni, la responsabilità di scelta, la morte e il ricordo, tutto ciò per contestualizzare il concetto di essenziale che, come citato nel libro, è invisibile agli occhi. Molto interessante è il concetto di 2.0 perché per un ragazzo di quell’età è difficile staccarsi dal cellulare e gli educatori si sono ingegnati nella ricerca di attività alternative e innovative. Sin da subito è stato creato un gruppo WhatsApp con educatori e partecipanti, dove veniva condiviso il pdf dei capitoli del libro da leggere insieme, si effettuava la liturgia delle ore grazie all’applicazione ‘ePrex’ e si leggevano i passi della Bibbia, grazie all’app ‘la parola’. Altro compagno di viaggio è stato il quaderno di campo dove i ragazzi, dopo ogni attività o catechesi, avevano qualche minuto per ‘fare deserto’ (termine usato in Azione Cattolica per isolarsi, riflettere e scrivere le proprie emozioni). Oltre a temi e percorsi differenti, i ragazzi hanno avuto numerose opportunità di incontro durante la colazione, pranzo e cena, oltre ai momenti di preghiera. In seguito alla verifica post-campo gli educatori si ritengono soddisfatti delle reazioni ed emozioni suscitate nei ragazzi. Ora il gruppo 12-14 si è impegnato a recitare tutti i giorni alle ore 18:00 i vespri insieme, mentre il gruppo 9-11 si sente parte di una “big family”, nome che hanno dato al gruppo.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
Anche quest’anno la struttura ricettiva “Oasi Tabor” situata a Nardò ha ospitato numerosi ragazzi dell’Azione Cattolica Ragazzi di Porto Cesareo, per il campo-scuola invernale svolto durante le vacanze di carnevale tra il 22 e il 26 febbraio. 53 il numero dei partecipanti, affiancati dal gruppo educatori. La fascia d’età tra i 9 e gli 11 anni ha incentrato il percorso sul film di “Harry Potter”, accostato a temi rilevanti: il Battesimo e l’essere chiamati per nome; l’individualità e la scoperta del proprio talento; le relazioni interpersonali (in special modo l’amicizia) legate ai concetti di inclusione e bullismo; “l’unione fa la forza” tramite giochi sulla fiducia e sul coraggio e in conclusione i concetti di oscurità e di essere luce, tramite i sacramenti della riconciliazione e della comunione, avvenuta durante la Messa conclusiva delle Ceneri. Contemporaneamente, i ragazzi 12-14 hanno trattato il tema “L’essenziale invisibile 2.0”, grazie all’ausilio del libro “Il Piccolo Principe”, ricollegato ai 10 comandamenti (rivisitati in chiave attuale tramite alcuni video) e a temi quali: l’amicizia e le relazioni, la responsabilità di scelta, la morte e il ricordo, tutto ciò per contestualizzare il concetto di essenziale che, come citato nel libro, è invisibile agli occhi. Molto interessante è il concetto di 2.0 perché per un ragazzo di quell’età è difficile staccarsi dal cellulare e gli educatori si sono ingegnati nella ricerca di attività alternative e innovative. Sin da subito è stato creato un gruppo WhatsApp con educatori e partecipanti, dove veniva condiviso il pdf dei capitoli del libro da leggere insieme, si effettuava la liturgia delle ore grazie all’applicazione ‘ePrex’ e si leggevano i passi della Bibbia, grazie all’app ‘la parola’. Altro compagno di viaggio è stato il quaderno di campo dove i ragazzi, dopo ogni attività o catechesi, avevano qualche minuto per ‘fare deserto’ (termine usato in Azione Cattolica per isolarsi, riflettere e scrivere le proprie emozioni). Oltre a temi e percorsi differenti, i ragazzi hanno avuto numerose opportunità di incontro durante la colazione, pranzo e cena, oltre ai momenti di preghiera. In seguito alla verifica post-campo gli educatori si ritengono soddisfatti delle reazioni ed emozioni suscitate nei ragazzi. Ora il gruppo 12-14 si è impegnato a recitare tutti i giorni alle ore 18:00 i vespri insieme, mentre il gruppo 9-11 si sente parte di una “big family”, nome che hanno dato al gruppo.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
CORONA VIRUS
di Vittorio Falli
I coronavirus sono una famiglia di virus comuni, chiamati così per le punte sulla loro superficie che formano una specie di corona. Possono causare malattie che vanno dal comune raffreddore a sindromi respiratorie più gravi come la Mers. Quali sono i sintomi del nuovo virus? Soprattutto febbre e tosse, e in alcuni casi difficoltà respiratorie. I sintomi sembrano manifestarsi tra i due giorni e le due settimane dopo che la persona è stata esposta al virus. Attualmente non esiste un vaccino, ma gli scienziati hanno identificato il virus rapidamente e messo a punto un test diagnostico in meno di un mese. I progressi della tecnologia potrebbero consentire di testare un vaccino contro il 2019-nCoV entro tre mesi. Tuttavia passare dai test a una produzione di massa può richiedere anni. Il coronavirus di Wuhan è molto probabilmente trasmesso attraverso tosse e starnuti, come l’influenza. Ma non è escluso il contagio da persone infettate senza sintomi o durante il periodo d’incubazione. Finora 305 morti (tutte in Cina, tranne una registrata nelle Filippine di un uomo di Wuhan) sono state collegate al virus, il che suggerisce un tasso di mortalità intorno al 2 per cento. In realtà il tasso potrebbe essere inferiore, perché potrebbero esserci molte persone infettate dal virus che non hanno avuto sintomi abbastanza gravi per andare in ospedale e quindi non sono state conteggiate. In confronto, la normale influenza ha un tasso di mortalità dello 0,14 per cento (circa una persona su mille). Il tasso di mortalità della Sars è dell’11 per cento, quello della Mers è del 30 per cento. Ogni anno nel mondo la normale influenza stagionale colpisce milioni di persone. Fra i tre e i cinque milioni hanno complicazioni e tra le 250 mila e le 500 mila muoiono. Se non si è stati di recente in Cina o a contatto con qualcuno infettato dal virus non c’è motivo di allarme.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
I coronavirus sono una famiglia di virus comuni, chiamati così per le punte sulla loro superficie che formano una specie di corona. Possono causare malattie che vanno dal comune raffreddore a sindromi respiratorie più gravi come la Mers. Quali sono i sintomi del nuovo virus? Soprattutto febbre e tosse, e in alcuni casi difficoltà respiratorie. I sintomi sembrano manifestarsi tra i due giorni e le due settimane dopo che la persona è stata esposta al virus. Attualmente non esiste un vaccino, ma gli scienziati hanno identificato il virus rapidamente e messo a punto un test diagnostico in meno di un mese. I progressi della tecnologia potrebbero consentire di testare un vaccino contro il 2019-nCoV entro tre mesi. Tuttavia passare dai test a una produzione di massa può richiedere anni. Il coronavirus di Wuhan è molto probabilmente trasmesso attraverso tosse e starnuti, come l’influenza. Ma non è escluso il contagio da persone infettate senza sintomi o durante il periodo d’incubazione. Finora 305 morti (tutte in Cina, tranne una registrata nelle Filippine di un uomo di Wuhan) sono state collegate al virus, il che suggerisce un tasso di mortalità intorno al 2 per cento. In realtà il tasso potrebbe essere inferiore, perché potrebbero esserci molte persone infettate dal virus che non hanno avuto sintomi abbastanza gravi per andare in ospedale e quindi non sono state conteggiate. In confronto, la normale influenza ha un tasso di mortalità dello 0,14 per cento (circa una persona su mille). Il tasso di mortalità della Sars è dell’11 per cento, quello della Mers è del 30 per cento. Ogni anno nel mondo la normale influenza stagionale colpisce milioni di persone. Fra i tre e i cinque milioni hanno complicazioni e tra le 250 mila e le 500 mila muoiono. Se non si è stati di recente in Cina o a contatto con qualcuno infettato dal virus non c’è motivo di allarme.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA
di Vanessa Paladini
La Giornata Mondiale della Poesia, istituita per la prima volta nel 1999, dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco nel 1999, si celebra nel primo giorno di primavera ossia il 21 Marzo. La parola poesia deriva dal greco “ποίησις, poiesis” e significa creazione; il termine dunque non avrebbe bisogno di essere collocato in un giorno specifico dell’anno, ma è noto che il 21, a Primavera, nasce anche la poetessa Alda Merini, come Proserpina. Vale però la pena soffermarsi sul respiro universale di questa giornata. Un curioso aneddoto, narrato dallo scrittore Vassilis Vassilikòs, racconta, in un’intervista, come in alcuni Paesi (Francia, Italia, Grecia, Marocco, ecc.) fosse già consuetudine, prima del 1999, celebrare la Giornata della Poesia nell’equinozio di primavera. In America latina però, non era lo stesso perché - se a marzo si è abituati a pensare all’immagine di alberi che sfoggiano le prime gemme e foglie - questa data coincide con l’autunno e quindi alla caduta delle prime foglie. La lucida riflessione di Vassilikòs partì dalla malinconia e, in particolare, da una poesia dal titolo “Les feuilles mortes” di Jacques Prevert. Questo forse ricorda, agli artisti e a chi, della sensibilità fa arte, che senza la stagione bronzea, forse oscura, nell’anima non c’è rinascita. La Giornata Mondiale della Poesia riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della cultura al di là delle differenze linguistiche e geografiche.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
La Giornata Mondiale della Poesia, istituita per la prima volta nel 1999, dalla XXX Sessione della Conferenza Generale Unesco nel 1999, si celebra nel primo giorno di primavera ossia il 21 Marzo. La parola poesia deriva dal greco “ποίησις, poiesis” e significa creazione; il termine dunque non avrebbe bisogno di essere collocato in un giorno specifico dell’anno, ma è noto che il 21, a Primavera, nasce anche la poetessa Alda Merini, come Proserpina. Vale però la pena soffermarsi sul respiro universale di questa giornata. Un curioso aneddoto, narrato dallo scrittore Vassilis Vassilikòs, racconta, in un’intervista, come in alcuni Paesi (Francia, Italia, Grecia, Marocco, ecc.) fosse già consuetudine, prima del 1999, celebrare la Giornata della Poesia nell’equinozio di primavera. In America latina però, non era lo stesso perché - se a marzo si è abituati a pensare all’immagine di alberi che sfoggiano le prime gemme e foglie - questa data coincide con l’autunno e quindi alla caduta delle prime foglie. La lucida riflessione di Vassilikòs partì dalla malinconia e, in particolare, da una poesia dal titolo “Les feuilles mortes” di Jacques Prevert. Questo forse ricorda, agli artisti e a chi, della sensibilità fa arte, che senza la stagione bronzea, forse oscura, nell’anima non c’è rinascita. La Giornata Mondiale della Poesia riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della cultura al di là delle differenze linguistiche e geografiche.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
MARCIA DELLA PACE
di Annairis Rizzello
Lo scorso 31/01/2020 a Porto Cesareo in una splendida giornata di sole, adulti e ragazzi di tutte le età si sono radunati presso lo scalo d'alaggio per marciare insieme. Ma marciare per cosa? Marciare per la pace che sembra essere un qualcosa di normale e diffuso ovunque negli anni che corrono, quando in realtà non è affatto così. Mentre noi marciavamo uniti in una sola voce, in altre parti del mondo c'erano persone sovrastate da guerre civili, militari o economiche. La marcia della Pace, organizzata da Azione Cattolica ha coinvolto non solo la parrocchia, ma anche le autorità civili e le varie associazioni presenti sul territorio. Il tutto si è svolto in 3 momenti fondamentali. Il primo consisteva nel prendersi per mano e camminare insieme; il secondo, una volta giunti sul sagrato della chiesa, prevedeva giochi per i più piccoli, al fine di affrontare temi importanti quali: la famiglia e i suoi bisogni, con l'importanza di avere una casa in cui vivere; l'attenzione per gli anziani che hanno tanto da insegnarci, la cura dell'ambiente e del creato, l'integrazione, per far sentire a casa anche chi non lo è. Terzo momento, ma non per importanza, è stata la partecipazione alla Santa Messa, per raccogliersi e riflettere su ciò che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare quotidianamente per diffondere la pace. Anche perché come diceva Eleanor Roosevelt “Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci. E non basta crederci. Bisogna lavorarci sopra …”
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
Lo scorso 31/01/2020 a Porto Cesareo in una splendida giornata di sole, adulti e ragazzi di tutte le età si sono radunati presso lo scalo d'alaggio per marciare insieme. Ma marciare per cosa? Marciare per la pace che sembra essere un qualcosa di normale e diffuso ovunque negli anni che corrono, quando in realtà non è affatto così. Mentre noi marciavamo uniti in una sola voce, in altre parti del mondo c'erano persone sovrastate da guerre civili, militari o economiche. La marcia della Pace, organizzata da Azione Cattolica ha coinvolto non solo la parrocchia, ma anche le autorità civili e le varie associazioni presenti sul territorio. Il tutto si è svolto in 3 momenti fondamentali. Il primo consisteva nel prendersi per mano e camminare insieme; il secondo, una volta giunti sul sagrato della chiesa, prevedeva giochi per i più piccoli, al fine di affrontare temi importanti quali: la famiglia e i suoi bisogni, con l'importanza di avere una casa in cui vivere; l'attenzione per gli anziani che hanno tanto da insegnarci, la cura dell'ambiente e del creato, l'integrazione, per far sentire a casa anche chi non lo è. Terzo momento, ma non per importanza, è stata la partecipazione alla Santa Messa, per raccogliersi e riflettere su ciò che ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare quotidianamente per diffondere la pace. Anche perché come diceva Eleanor Roosevelt “Non è sufficiente parlare di pace. Bisogna crederci. E non basta crederci. Bisogna lavorarci sopra …”
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
TIPOLOGIE DI CANCRO
di Vittorio Falli
Non si può parlare di un'unica malattia chiamata cancro, ma di diversi tipi di malattie, che hanno cause diverse e distinte, che colpiscono organi e tessuti differenti, che richiedono quindi esami diagnostici e soluzioni terapeutiche particolari. Si può dire che ad un certo punto, una cellula dell'organismo "impazzisce", perde alcune proprietà, ne acquisisce altre, e comincia a moltiplicarsi al di fuori di ogni regola. All'interno di ogni cellula esistono in realtà dei "geni controllori" destinati a impedire che una cellula "sbagliata" possa sopravvivere dando magari origine a un tumore. Perché il processo tumorale si inneschi bisogna che anche questi geni di controllo siano fuori uso. A causa di questo "guasto" nel meccanismo che ne controlla la replicazione, le cellule si dividono quando non dovrebbero e generano un numero enorme di altre cellule con lo stesso difetto di regolazione. Sia le cellule di un tumore benigno sia quelle di un tumore maligno tendono a proliferare in maniera abnorme ma, e questa è la differenza fondamentale, solo le cellule di un tumore maligno - in seguito ad ulteriori modificazioni a carico dei geni - tendono a staccarsi, a invadere i tessuti vicini, a migrare dall'organo di appartenenza per andare a colonizzare altre zone dell'organismo. Il tumore benigno rimane dunque limitato all'organo in cui si è sviluppato, mentre il tumore maligno - nel corso di un processo che può avere una lunghezza estremamente variabile e che dura in genere anni - estende la malattia ad altri organi, fino a colpire e compromettere organi vitali quali il polmone, il fegato, il cervello. Questo processo prende il nome di metastatizzazione e le metastasi rappresentano la fase più avanzata della progressione tumorale, oltre che la causa reale dei decessi per cancro. Nella stragrande maggioranza dei tumori, invece, le alterazioni dei geni che sono responsabili della malattia sono determinate da cause ambientali. Sono provocate dall'esposizione prolungata ad agenti cancerogeni, di origine chimica, fisica o virale. Tuttavia il fumo di sigaretta, alcune sostanze sviluppate dalla combustione del petrolio o carbone, l'alcol, una dieta squilibrata, i raggi ultravioletti del sole, le sostanze chimiche a cui possono essere sottoposti i lavoratori in certi processi industriali o in agricoltura, possono sommarsi ad una "fragilità" genetica predeterminata e arrivare a provocare delle mutazioni che - alle stesse dosi e durate di esposizioni - non si riscontrano in altri individui. In alcuni casi poi, le mutazioni si generano per errori nel meccanismo di replicazione delle cellule, indipendentemente dall'ambiente esterno.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
Non si può parlare di un'unica malattia chiamata cancro, ma di diversi tipi di malattie, che hanno cause diverse e distinte, che colpiscono organi e tessuti differenti, che richiedono quindi esami diagnostici e soluzioni terapeutiche particolari. Si può dire che ad un certo punto, una cellula dell'organismo "impazzisce", perde alcune proprietà, ne acquisisce altre, e comincia a moltiplicarsi al di fuori di ogni regola. All'interno di ogni cellula esistono in realtà dei "geni controllori" destinati a impedire che una cellula "sbagliata" possa sopravvivere dando magari origine a un tumore. Perché il processo tumorale si inneschi bisogna che anche questi geni di controllo siano fuori uso. A causa di questo "guasto" nel meccanismo che ne controlla la replicazione, le cellule si dividono quando non dovrebbero e generano un numero enorme di altre cellule con lo stesso difetto di regolazione. Sia le cellule di un tumore benigno sia quelle di un tumore maligno tendono a proliferare in maniera abnorme ma, e questa è la differenza fondamentale, solo le cellule di un tumore maligno - in seguito ad ulteriori modificazioni a carico dei geni - tendono a staccarsi, a invadere i tessuti vicini, a migrare dall'organo di appartenenza per andare a colonizzare altre zone dell'organismo. Il tumore benigno rimane dunque limitato all'organo in cui si è sviluppato, mentre il tumore maligno - nel corso di un processo che può avere una lunghezza estremamente variabile e che dura in genere anni - estende la malattia ad altri organi, fino a colpire e compromettere organi vitali quali il polmone, il fegato, il cervello. Questo processo prende il nome di metastatizzazione e le metastasi rappresentano la fase più avanzata della progressione tumorale, oltre che la causa reale dei decessi per cancro. Nella stragrande maggioranza dei tumori, invece, le alterazioni dei geni che sono responsabili della malattia sono determinate da cause ambientali. Sono provocate dall'esposizione prolungata ad agenti cancerogeni, di origine chimica, fisica o virale. Tuttavia il fumo di sigaretta, alcune sostanze sviluppate dalla combustione del petrolio o carbone, l'alcol, una dieta squilibrata, i raggi ultravioletti del sole, le sostanze chimiche a cui possono essere sottoposti i lavoratori in certi processi industriali o in agricoltura, possono sommarsi ad una "fragilità" genetica predeterminata e arrivare a provocare delle mutazioni che - alle stesse dosi e durate di esposizioni - non si riscontrano in altri individui. In alcuni casi poi, le mutazioni si generano per errori nel meccanismo di replicazione delle cellule, indipendentemente dall'ambiente esterno.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
LU PAOLINU E LA QUAREMMA
di Dario Dell’Atti
Il carnevale bussa alle porte e già scorrono in mente i bei momenti di giovinezza, dove era quasi obbligo vestirsi in maschera e sfilare per le vie del paese. Se per il carnevale italiano la coppia più bella era e rimane quella di Arlecchino e Colombina, anche l’antica terra d’Otranto aveva la sua coppietta di innamorati:” Lu Paolinu” e “la Quaremma”. La storia di questi due personaggi è molto travagliata, la tradizione vuole che Lu Paolinu giovane benestante, sperperasse tutti i soldi, prima del padre e poi successivamente della moglie (la Quaremma) in vino, osterie, ma soprattutto in burle ben congegniate alla cittadinanza. Un giorno, di questi sbeffeggi furono stufi alcuni uomini del paese, che all’ennesima marachella, picchiarono il povero Paolino lasciandolo in fin di vita davanti casa. Morì nella notte di Martedì grasso, la povera Quaremma vestita di nero, dopo aver digiunato quaranta giorni, per il dolore decise di raggiungerlo. Da allora, in alcuni paesi del Salento si riproduce il corteo funebre “te lu Paulinu”, rappresentato da un pupazzo di paglia e cartapesta che alla fine del rito dopo la lettura del testamento viene bruciato. Nei quaranta giorni di Quaresima, è diffusa a Lecce e nei paesi della Grecia Salentina, l’usanza di esporre sul terrazzo o sul balcone un pupazzo raffigurante una vecchia, con in mano ago e filo. Anche la Quaremma secondo tradizione viene bruciata il giorno di Pasqua. Un rito di purificazione, che comunica l’inizio di una nuova vita e sottolinea ancora una volta l’influenza della Grecia nella nostra meravigliosa terra. La Quaremma, anziana e vestita di nero, rappresenta una delle tre Moire, dee, che secondo la mitologia greca tessevano il destino dell’uomo.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
Il carnevale bussa alle porte e già scorrono in mente i bei momenti di giovinezza, dove era quasi obbligo vestirsi in maschera e sfilare per le vie del paese. Se per il carnevale italiano la coppia più bella era e rimane quella di Arlecchino e Colombina, anche l’antica terra d’Otranto aveva la sua coppietta di innamorati:” Lu Paolinu” e “la Quaremma”. La storia di questi due personaggi è molto travagliata, la tradizione vuole che Lu Paolinu giovane benestante, sperperasse tutti i soldi, prima del padre e poi successivamente della moglie (la Quaremma) in vino, osterie, ma soprattutto in burle ben congegniate alla cittadinanza. Un giorno, di questi sbeffeggi furono stufi alcuni uomini del paese, che all’ennesima marachella, picchiarono il povero Paolino lasciandolo in fin di vita davanti casa. Morì nella notte di Martedì grasso, la povera Quaremma vestita di nero, dopo aver digiunato quaranta giorni, per il dolore decise di raggiungerlo. Da allora, in alcuni paesi del Salento si riproduce il corteo funebre “te lu Paulinu”, rappresentato da un pupazzo di paglia e cartapesta che alla fine del rito dopo la lettura del testamento viene bruciato. Nei quaranta giorni di Quaresima, è diffusa a Lecce e nei paesi della Grecia Salentina, l’usanza di esporre sul terrazzo o sul balcone un pupazzo raffigurante una vecchia, con in mano ago e filo. Anche la Quaremma secondo tradizione viene bruciata il giorno di Pasqua. Un rito di purificazione, che comunica l’inizio di una nuova vita e sottolinea ancora una volta l’influenza della Grecia nella nostra meravigliosa terra. La Quaremma, anziana e vestita di nero, rappresenta una delle tre Moire, dee, che secondo la mitologia greca tessevano il destino dell’uomo.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
PANCHINA ROSSA A
PORTO CESAREO
di Arianna Greco
È stata inaugurata sabato 30 novembre la panchina rossa posizionata sul piazzale della Pro Loco di Porto Cesareo e fortemente voluta da Arianna Greco, vicedirettore delle “Biblioteca Alberti” e già nominata "Cavaliere del Millennio per la Pace" dal Centro per la Pace di Assisi. Il progetto ha trovato pieno appoggio e sostegno da parte dell'amministrazione Comunale che, insieme all'artista, si è impegnata nella scelta di una panchina che fosse ben visibile per cittadini e turisti. Per schierarsi dalla parte delle donne, contro la violenza che ancora si perpetra in tante forme: fisica, verbale e psicologica. Insieme alla Biblioteca Comunale "Angelo Rizzello" è stato programmato sabato 30 Novembre alle ore 18.00 un evento di sensibilizzazione contro la violenza di genere. La serata si è aperta con la performance teatrale dell'attrice Roberta Natalini. Dopo i saluti istituzionali del sindaco Salvatore Albano, son intervenuti Giovanna Rosato, bibliotecaria e responsabile del Gruppo di lavoro AIB Biblioteche per Ragazzi e NPL ed Elisa Albano, psicologa che ha esposto i risultati raggiunti dal progetto "Come in una favola", in collaborazione con l'Istituto Comprensivo di Porto Cesareo e il Centro Antiviolenza di Lecce. Ha concluso il focus Arianna Greco, portavoce del progetto panchina rossa a Porto Cesareo. É seguita poi l’inaugurazione ufficiale e il taglio del nastro. "Per non dimenticare", dichiara l'artista, "per avere sempre davanti agli occhi quel rosso brillante che possa sempre ricordare che il problema esiste e va condannato e affrontato. Tutti potranno leggere le frasi che ho deciso di apporre sulla panchina, ogni giorno, per sempre. Perché si possa ricordare che il no alla violenza é sempre, e non solo il 25 novembre".
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
È stata inaugurata sabato 30 novembre la panchina rossa posizionata sul piazzale della Pro Loco di Porto Cesareo e fortemente voluta da Arianna Greco, vicedirettore delle “Biblioteca Alberti” e già nominata "Cavaliere del Millennio per la Pace" dal Centro per la Pace di Assisi. Il progetto ha trovato pieno appoggio e sostegno da parte dell'amministrazione Comunale che, insieme all'artista, si è impegnata nella scelta di una panchina che fosse ben visibile per cittadini e turisti. Per schierarsi dalla parte delle donne, contro la violenza che ancora si perpetra in tante forme: fisica, verbale e psicologica. Insieme alla Biblioteca Comunale "Angelo Rizzello" è stato programmato sabato 30 Novembre alle ore 18.00 un evento di sensibilizzazione contro la violenza di genere. La serata si è aperta con la performance teatrale dell'attrice Roberta Natalini. Dopo i saluti istituzionali del sindaco Salvatore Albano, son intervenuti Giovanna Rosato, bibliotecaria e responsabile del Gruppo di lavoro AIB Biblioteche per Ragazzi e NPL ed Elisa Albano, psicologa che ha esposto i risultati raggiunti dal progetto "Come in una favola", in collaborazione con l'Istituto Comprensivo di Porto Cesareo e il Centro Antiviolenza di Lecce. Ha concluso il focus Arianna Greco, portavoce del progetto panchina rossa a Porto Cesareo. É seguita poi l’inaugurazione ufficiale e il taglio del nastro. "Per non dimenticare", dichiara l'artista, "per avere sempre davanti agli occhi quel rosso brillante che possa sempre ricordare che il problema esiste e va condannato e affrontato. Tutti potranno leggere le frasi che ho deciso di apporre sulla panchina, ogni giorno, per sempre. Perché si possa ricordare che il no alla violenza é sempre, e non solo il 25 novembre".
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
IN GINOCCHIO, MA CON DIGNITA
di Alessio Peluso
Il giorno dopo la tempesta è il più triste. Tanti di noi hanno potuto realizzare che quello che è avvenuto è la cruda realtà. Passando nella zona dove si erano ammassate le barche procedono a ritmi serrati i lavori, per portare via le tante imbarcazioni danneggiate. Sono presenti tanti pescatori, cuori pulsanti della nostra comunità, che sono lì, pronti ad aiutarsi e a ricominciare da dove tutto per loro è sempre partito: il mare. Vi è la presenza degli operatori ecologici, pronti e determinati a ripulire la zona, l’impegno della protezione civile, dei vigili, ma soprattutto di un intero paese stretto nel dolore e motivato a ritornare alla normalità. Nei locali commerciali iniziano le ispezioni dei titolari e delle tante persone che vi lavorano, con l’obiettivo di reagire. Guardare il centro del nostro paese la sera del 13 novembre, è l’antitesi della stagione estiva, che sembra lontana anni luce. Notare le insegne spente, molte luci non funzionanti, le persone che mestamente vagano allibite di fronte a questo scenario, non può essere la nostra Porto Cesareo. Siamo in piena sintonia con le parole espresse dal nostro primo cittadino Salvatore Albano, che ha parlato di un paese “in ginocchio”, ma che aggiungiamo noi, con dignità dimostra in maniera forte la voglia di ripartire. Non sarà un percorso facile, i danni subiti sono enormi ed è stato già richiesto lo stato di calamità. Non meno grave la situazione a Torre Lapillo, nella bellissima Santa Caterina vicino Nardò, a Gallipoli e a Matera, capitale europea della cultura nel 2019. L’elenco sarebbe lunghissimo, ma una forza comune può aiutarci a ripartire: quella solidarietà, collaborazione, buona volontà e anche partecipazione emotiva, che ha contraddistinto il post-disastro. Ripartiamo da qui, dal nostro mare e dal nostro gioiello chiamato Salento, che ha bisogno di ognuno di noi.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
Il giorno dopo la tempesta è il più triste. Tanti di noi hanno potuto realizzare che quello che è avvenuto è la cruda realtà. Passando nella zona dove si erano ammassate le barche procedono a ritmi serrati i lavori, per portare via le tante imbarcazioni danneggiate. Sono presenti tanti pescatori, cuori pulsanti della nostra comunità, che sono lì, pronti ad aiutarsi e a ricominciare da dove tutto per loro è sempre partito: il mare. Vi è la presenza degli operatori ecologici, pronti e determinati a ripulire la zona, l’impegno della protezione civile, dei vigili, ma soprattutto di un intero paese stretto nel dolore e motivato a ritornare alla normalità. Nei locali commerciali iniziano le ispezioni dei titolari e delle tante persone che vi lavorano, con l’obiettivo di reagire. Guardare il centro del nostro paese la sera del 13 novembre, è l’antitesi della stagione estiva, che sembra lontana anni luce. Notare le insegne spente, molte luci non funzionanti, le persone che mestamente vagano allibite di fronte a questo scenario, non può essere la nostra Porto Cesareo. Siamo in piena sintonia con le parole espresse dal nostro primo cittadino Salvatore Albano, che ha parlato di un paese “in ginocchio”, ma che aggiungiamo noi, con dignità dimostra in maniera forte la voglia di ripartire. Non sarà un percorso facile, i danni subiti sono enormi ed è stato già richiesto lo stato di calamità. Non meno grave la situazione a Torre Lapillo, nella bellissima Santa Caterina vicino Nardò, a Gallipoli e a Matera, capitale europea della cultura nel 2019. L’elenco sarebbe lunghissimo, ma una forza comune può aiutarci a ripartire: quella solidarietà, collaborazione, buona volontà e anche partecipazione emotiva, che ha contraddistinto il post-disastro. Ripartiamo da qui, dal nostro mare e dal nostro gioiello chiamato Salento, che ha bisogno di ognuno di noi.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
APOCALISSE CESARINA
di Alessio Peluso
“È appena giunta la nota ufficiale da parte della Prefettura di allerta meteo arancione a partire dalle 20 di oggi e per le prossime 24h. Sono previsti per la notte tra l'11 ed il 12 novembre, vento e pioggia lungo le coste ioniche, in alcuni casi con carattere temporalesco con venti forti, anche di burrasca e mareggiate violente. Si raccomanda la massima prudenza. Ormeggiate bene le imbarcazioni, soprattutto se alla rada ed in caso di temporale uscite solo se necessario e tenete a casa i vostri ragazzi”. Sono queste le parole riportate dal nostro sindaco Salvatore Albano, per allertare la cittadinanza su quanto poteva accadere nella nostra zona. Purtroppo sono risultate profetiche. La cosiddetta allerta arancione si è abbattuta con una violenza impressionante sul nostro Salento. E se durante la notte a cavallo con i consueti festeggiamenti di San Martino, Porto Cesareo era stata risparmiata, 24 ore dopo si è manifestato l’imponderabile: già dalla sera del 12 novembre intorno alle 22,30 la pioggia, è stato il preavviso della notte più lunga, nella storia della nostra comunità; poco dopo le 23 la forza inarrestabile del vento iniziava a spazzare via qualsiasi cosa trovasse davanti, e anche dalle abitazioni più lontane dal mare, i tumulti di un vento anomalo non lasciavano presagire nulla di buono. L’irruenza del vento e della pioggia si intensificava ulteriormente durante la notte, lasciando senza fiato gruppetti di pescatori, che dalle loro macchine assistevano impotenti ad uno spettacolo mai registrato prima, come testimoniano i più longevi cesarini. Il pontile della darsena, situato a pochi passi dal centro, lungo circa 60 metri è stato scaraventato via dalla furia del mare e del vento, trascinando con sé le tante barche annesse. Un’ammucchiata enorme che è andata poi a travolgere altre imbarcazioni, alcune delle quali spinte da una forza inarrestabile, giunte addirittura nel parco giochi, vicino lo “Scalo d’Alaggio”. Buona parte del muretto, situato in “Piazza Nazario Sauro” è stato frantumato, mentre il ponte che collegava la nota “Isola Beach” è stato seriamente danneggiato. Danni ingenti per i numerosi locali commerciali, a partire dall’Isola Beach stessa, passando per i ristoranti “Aragosta da Co” e “Il Gambero”, senza tralasciare il resto delle strutture che hanno imbarcato acqua e visto sfumare davanti ai loro occhi, i sacrifici di una vita. Per giunta tanti alberi secolari messi k.o. in zona “Punta Grossa” e uno scenario generale indescrivibile, con strade piene di buche, alghe, sabbia, pezzi di legno, rami, pali della luce spezzati, detriti. Sì, abbiamo assistito purtroppo all’apocalisse cesarina.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
“È appena giunta la nota ufficiale da parte della Prefettura di allerta meteo arancione a partire dalle 20 di oggi e per le prossime 24h. Sono previsti per la notte tra l'11 ed il 12 novembre, vento e pioggia lungo le coste ioniche, in alcuni casi con carattere temporalesco con venti forti, anche di burrasca e mareggiate violente. Si raccomanda la massima prudenza. Ormeggiate bene le imbarcazioni, soprattutto se alla rada ed in caso di temporale uscite solo se necessario e tenete a casa i vostri ragazzi”. Sono queste le parole riportate dal nostro sindaco Salvatore Albano, per allertare la cittadinanza su quanto poteva accadere nella nostra zona. Purtroppo sono risultate profetiche. La cosiddetta allerta arancione si è abbattuta con una violenza impressionante sul nostro Salento. E se durante la notte a cavallo con i consueti festeggiamenti di San Martino, Porto Cesareo era stata risparmiata, 24 ore dopo si è manifestato l’imponderabile: già dalla sera del 12 novembre intorno alle 22,30 la pioggia, è stato il preavviso della notte più lunga, nella storia della nostra comunità; poco dopo le 23 la forza inarrestabile del vento iniziava a spazzare via qualsiasi cosa trovasse davanti, e anche dalle abitazioni più lontane dal mare, i tumulti di un vento anomalo non lasciavano presagire nulla di buono. L’irruenza del vento e della pioggia si intensificava ulteriormente durante la notte, lasciando senza fiato gruppetti di pescatori, che dalle loro macchine assistevano impotenti ad uno spettacolo mai registrato prima, come testimoniano i più longevi cesarini. Il pontile della darsena, situato a pochi passi dal centro, lungo circa 60 metri è stato scaraventato via dalla furia del mare e del vento, trascinando con sé le tante barche annesse. Un’ammucchiata enorme che è andata poi a travolgere altre imbarcazioni, alcune delle quali spinte da una forza inarrestabile, giunte addirittura nel parco giochi, vicino lo “Scalo d’Alaggio”. Buona parte del muretto, situato in “Piazza Nazario Sauro” è stato frantumato, mentre il ponte che collegava la nota “Isola Beach” è stato seriamente danneggiato. Danni ingenti per i numerosi locali commerciali, a partire dall’Isola Beach stessa, passando per i ristoranti “Aragosta da Co” e “Il Gambero”, senza tralasciare il resto delle strutture che hanno imbarcato acqua e visto sfumare davanti ai loro occhi, i sacrifici di una vita. Per giunta tanti alberi secolari messi k.o. in zona “Punta Grossa” e uno scenario generale indescrivibile, con strade piene di buche, alghe, sabbia, pezzi di legno, rami, pali della luce spezzati, detriti. Sì, abbiamo assistito purtroppo all’apocalisse cesarina.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2019
CUS LECCE: CAMPIONI D'ITALIA!
di Alessio Peluso
Finalmente! L’Università del Salento esulta per la medaglia d’oro, ottenuta dal CUS Lecce, ai campionati universitari, quest’anno di scena a l’Aquila. Un progetto ambizioso che lo scorso 24 maggio 2019, culmina con questa prestigiosa affermazione. Il tutto però, parte da lontano: è il 2009 quando il professore Stefano Adamo e Claudio Campilongo, decidono con tanto impegno di lanciarsi in questa avventura. Il sogno di qualificarsi per la fase finale che s’infrange per ben due volte nello spareggio play-off è solo una parentesi; da lì in poi la compagine calcistica del CUS Lecce, conquista addirittura in 5 occasioni la medaglia di bronzo. È l’obiettivo della vittoria finale, che invece sfugge continuamente. Per raggiungere l’ambito traguardo, ci si affida a due giovani studenti, col neo-patentino di allenatore, quali Paolo Verdesca e Vittorio Botrugno. La scelta si rivela azzeccata. Nello scontro per accedere alla Final Eight, il CUS Lecce perde 2 a 1 in casa del Cassino, per poi ribaltare le sorti della qualificazione, con un netto 3 a 0 al ritorno. A passaggio di turno acquisito, i ragazzi salentini partono per l’Aquila, dove nei quarti di finale impattano 2 a 2, contro il CUS Modena - Reggio Emilia, per poi averne ragione nella lotteria dei rigori. La semifinale con il CUS Brescia sembra un remake di Italia – Germania del 1982: i biancoazzurri avanti 3 a 1, subiscono la rimonta delle rondinelle; ai supplementari arriva l’allungo decisivo e il 4 a 3 definitivo. La finalissima è al cospetto dei grandi favoriti della vigilia e campioni in carica del CUS Parma: è 1 a 1, ma ancora una volta i calci di rigore portano bene ai salentini, che si laureano Campioni d’Italia per la prima volta nella loro storia. Grande soddisfazione nelle dichiarazioni di Daniele Lillo, il capitano, che si aggiudica anche il premio “Mimmo Renna”, come miglior giocatore della manifestazione: “Per me era l’ultima possibilità, dopo le cocenti delusioni degli ultimi anni. È una grande vittoria, che spero serva da stimolo agli altri studenti. Studio e Sport possono andare di pari passo! Ringrazio Stefano Adamo, Luigi Melica, Claudio Campilongo, Osvaldo Marulli e Francesco Rollo, per l’impegno profuso.”
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
Finalmente! L’Università del Salento esulta per la medaglia d’oro, ottenuta dal CUS Lecce, ai campionati universitari, quest’anno di scena a l’Aquila. Un progetto ambizioso che lo scorso 24 maggio 2019, culmina con questa prestigiosa affermazione. Il tutto però, parte da lontano: è il 2009 quando il professore Stefano Adamo e Claudio Campilongo, decidono con tanto impegno di lanciarsi in questa avventura. Il sogno di qualificarsi per la fase finale che s’infrange per ben due volte nello spareggio play-off è solo una parentesi; da lì in poi la compagine calcistica del CUS Lecce, conquista addirittura in 5 occasioni la medaglia di bronzo. È l’obiettivo della vittoria finale, che invece sfugge continuamente. Per raggiungere l’ambito traguardo, ci si affida a due giovani studenti, col neo-patentino di allenatore, quali Paolo Verdesca e Vittorio Botrugno. La scelta si rivela azzeccata. Nello scontro per accedere alla Final Eight, il CUS Lecce perde 2 a 1 in casa del Cassino, per poi ribaltare le sorti della qualificazione, con un netto 3 a 0 al ritorno. A passaggio di turno acquisito, i ragazzi salentini partono per l’Aquila, dove nei quarti di finale impattano 2 a 2, contro il CUS Modena - Reggio Emilia, per poi averne ragione nella lotteria dei rigori. La semifinale con il CUS Brescia sembra un remake di Italia – Germania del 1982: i biancoazzurri avanti 3 a 1, subiscono la rimonta delle rondinelle; ai supplementari arriva l’allungo decisivo e il 4 a 3 definitivo. La finalissima è al cospetto dei grandi favoriti della vigilia e campioni in carica del CUS Parma: è 1 a 1, ma ancora una volta i calci di rigore portano bene ai salentini, che si laureano Campioni d’Italia per la prima volta nella loro storia. Grande soddisfazione nelle dichiarazioni di Daniele Lillo, il capitano, che si aggiudica anche il premio “Mimmo Renna”, come miglior giocatore della manifestazione: “Per me era l’ultima possibilità, dopo le cocenti delusioni degli ultimi anni. È una grande vittoria, che spero serva da stimolo agli altri studenti. Studio e Sport possono andare di pari passo! Ringrazio Stefano Adamo, Luigi Melica, Claudio Campilongo, Osvaldo Marulli e Francesco Rollo, per l’impegno profuso.”
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
24 APRILE 2019: UN GIORNO SPECIALE
di Alessio Peluso
È il 24 aprile 2019. Dopo un’attesa spasmodica è il momento di partire e di lanciarsi in questa nuova avventura. Lo si fa alle 19 e 30 circa con il taglio del nastro per la “Biblioteca Alberti” del suo fondatore Antonio Alberti. Incomincia così una serata memorabile e piena di contenuti: si parte con l’intervento del nostro parroco Don Antonio Bottazzo, che mette in luce l’idea che la biblioteca sia un’ulteriore punto di forza ed aggregazione sociale e culturale per la nostra comunità; si procede con l’intervento di Cosimo Durante, presidente del Gal Terra d’Arneo e della dott.ssa Paola Cazzella, assessore alla cultura. Le note di “Sogna ragazzo sogna” di Roberto Vecchioni, interpretata dal presidente di Azione Cattolica Alessio Greco, danno il via ad un vero e proprio excursus nel tempo, curato dal direttore della biblioteca Alessio Peluso, per scoprire le radici di un progetto così ambizioso che ha coinvolto l’intera comunità cesarina. Particolarmente denso di emozione l’intervento dello scrittore e volontario della biblioteca Raffaele Colelli, il quale dichiara:” Sono veramente orgoglioso di far parte di questo gruppo di volontari, che mi ha dato la possibilità di entrare in relazione con questo gruppo volenteroso di giovani. Noi siamo qui sperando che la nostra iniziativa coinvolga altri volontari, poiché la biblioteca possa diventare luce di cultura e di sapienza. Il nostro punto di riferimento è principalmente la passione e il cuore!”
Tra i momenti più attesi ha spiccato la presentazione del libro di poesie “La danza di Psiche” di Vanessa Paladini: le note d’autore risuonate da “Il libraio di Selinunte” di Roberto Vecchioni, ha introdotto i versi de “Il libraio di Portus Sasinae”, con dedica speciale ad Antonio Alberti e presente in questo numero nel nostro “Angolo della Poesia”. Dulcis in fundo la mostra d’arte enoica di Arianna Greco con le sue opere, quali: un personalissimo autoritratto, l’omaggio a Raffaele Casarano, considerato tra i promotori della New Jazz Generation Italiana e “Without me”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019
È il 24 aprile 2019. Dopo un’attesa spasmodica è il momento di partire e di lanciarsi in questa nuova avventura. Lo si fa alle 19 e 30 circa con il taglio del nastro per la “Biblioteca Alberti” del suo fondatore Antonio Alberti. Incomincia così una serata memorabile e piena di contenuti: si parte con l’intervento del nostro parroco Don Antonio Bottazzo, che mette in luce l’idea che la biblioteca sia un’ulteriore punto di forza ed aggregazione sociale e culturale per la nostra comunità; si procede con l’intervento di Cosimo Durante, presidente del Gal Terra d’Arneo e della dott.ssa Paola Cazzella, assessore alla cultura. Le note di “Sogna ragazzo sogna” di Roberto Vecchioni, interpretata dal presidente di Azione Cattolica Alessio Greco, danno il via ad un vero e proprio excursus nel tempo, curato dal direttore della biblioteca Alessio Peluso, per scoprire le radici di un progetto così ambizioso che ha coinvolto l’intera comunità cesarina. Particolarmente denso di emozione l’intervento dello scrittore e volontario della biblioteca Raffaele Colelli, il quale dichiara:” Sono veramente orgoglioso di far parte di questo gruppo di volontari, che mi ha dato la possibilità di entrare in relazione con questo gruppo volenteroso di giovani. Noi siamo qui sperando che la nostra iniziativa coinvolga altri volontari, poiché la biblioteca possa diventare luce di cultura e di sapienza. Il nostro punto di riferimento è principalmente la passione e il cuore!”
Tra i momenti più attesi ha spiccato la presentazione del libro di poesie “La danza di Psiche” di Vanessa Paladini: le note d’autore risuonate da “Il libraio di Selinunte” di Roberto Vecchioni, ha introdotto i versi de “Il libraio di Portus Sasinae”, con dedica speciale ad Antonio Alberti e presente in questo numero nel nostro “Angolo della Poesia”. Dulcis in fundo la mostra d’arte enoica di Arianna Greco con le sue opere, quali: un personalissimo autoritratto, l’omaggio a Raffaele Casarano, considerato tra i promotori della New Jazz Generation Italiana e “Without me”.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019
SCHOLA CANTORUM CESARINA
di Vittorio Polimeno
Da un po' di tempo la nostra Comunità parrocchiale ha sentito l’esigenza di poter meglio esprimere la lode di Dio, attraverso il canto liturgico, avvalendosi di due cori con particolari caratteristiche legate soprattutto alle fasce di età dei partecipanti. Se da un lato questo è positivo dall’altro può generare confusione, in una sola parrocchia, due gruppi di animazione! E così al contrario di ciò che avviene di solito, il percorso a Porto Cesareo è stato inverso rispetto ad altre realtà. Si è andati verso l’unificazione, la comunione tra questi due gruppi; in un mondo che tende a dividersi, qui ci si unisce e si cresce insieme. Si è giunti alla conclusione che uno più uno non fa due, ma uno. Il Triduo Pasquale di quest’anno infatti ha sancito di fatto la strettissima collaborazione tra il coro dei ragazzi, battezzato “Coro della Misericordia”e il coro degli adulti, dando vita ad un’unica “Schola Cantorum” che avrà il nome della Parrocchia ovvero “Coro parrocchiale della Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso”. I due cori cercheranno di animare ogni messa domenicale, i ragazzi la mattina e gli adulti di sera, ma nelle solennità e nei momenti comunitari i due cori formeranno un unico grande coro parrocchiale. Le difficoltà non sono mancate, ma l’esperienza degli adulti e la dinamicità dei ragazzi si sono fuse per dare vita ad una comunione di intenti che è quella di servire l’altare del Signore attraverso il canto, insieme e con gioia. Auguri a questa splendida realtà!
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2019
Da un po' di tempo la nostra Comunità parrocchiale ha sentito l’esigenza di poter meglio esprimere la lode di Dio, attraverso il canto liturgico, avvalendosi di due cori con particolari caratteristiche legate soprattutto alle fasce di età dei partecipanti. Se da un lato questo è positivo dall’altro può generare confusione, in una sola parrocchia, due gruppi di animazione! E così al contrario di ciò che avviene di solito, il percorso a Porto Cesareo è stato inverso rispetto ad altre realtà. Si è andati verso l’unificazione, la comunione tra questi due gruppi; in un mondo che tende a dividersi, qui ci si unisce e si cresce insieme. Si è giunti alla conclusione che uno più uno non fa due, ma uno. Il Triduo Pasquale di quest’anno infatti ha sancito di fatto la strettissima collaborazione tra il coro dei ragazzi, battezzato “Coro della Misericordia”e il coro degli adulti, dando vita ad un’unica “Schola Cantorum” che avrà il nome della Parrocchia ovvero “Coro parrocchiale della Beata Vergine Maria del Perpetuo Soccorso”. I due cori cercheranno di animare ogni messa domenicale, i ragazzi la mattina e gli adulti di sera, ma nelle solennità e nei momenti comunitari i due cori formeranno un unico grande coro parrocchiale. Le difficoltà non sono mancate, ma l’esperienza degli adulti e la dinamicità dei ragazzi si sono fuse per dare vita ad una comunione di intenti che è quella di servire l’altare del Signore attraverso il canto, insieme e con gioia. Auguri a questa splendida realtà!
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2019
CAMPOSCUOLA "CESARINO"
di Iris Rizzello
Si è concluso con la messa delle ceneri del 6 marzo, il Camposcuola per le fasce d’età 9-11 e 12-14, organizzato da Azione Cattolica Ragazzi, presso l’Oasi Tabor di Nardò. Tra i 9 - 11 tema dominante il film "Inside Out", sulla base di 5 emozioni principali: gioia, rabbia, disgusto, paura e tristezza. L'intenzione degli educatori era suscitare tali emozioni nel cuore dei ragazzi, distratti dalla frenesia della vita moderna e da un particolare oggetto: il cellulare. Trattando un personaggio alla volta, ci si è legati a temi importanti quali la famiglia, la riconciliazione e l'eucarestia; i partecipanti alla fine del Campo hanno compreso che ogni emozione è importante singolarmente, ma che esse sono legate e fanno parte di noi, rendendoci ciò che siamo.
A pochi metri di distanza aveva luogo il Camposcuola 12 - 14, strutturato sul tema principale "Sette opere, un unico grande concerto", una vera full immersion nelle opere di misericordia corporale, coadiuvate da testimonianze dirette quali Vittorio Polimeno e Marika Strafella, responsabili del Gruppo Giovanissimi a Porto Cesareo ed Agostino Coroneo, nel raccontare la propria esperienza di vita, al servizio di chi ne ha bisogno. Il ritmo dei giorni è stato scandito dalla lettura del noto "Libro di Kim", scritto da Rudyard Kipling, autore britannico del '900. Soddisfazione ed orgoglio nelle parole rilasciate dal Presidente di Azione Cattolica Alessio Greco: "Mi ritengo soddisfatto del lavoro svolto, poiché le difficoltà di realizzazione iniziale sono state notevoli. Affidandoci a Dio, abbiamo offerto un'esperienza formativa utile, nonostante le poche risorse umane ed economiche. Ringrazio il nostro parroco Don Antonio Bottazzo, l'amministrazione comunale e gli educatori, per il prezioso contributo".
PUBBLICATO NELL'APRILE 2019
Si è concluso con la messa delle ceneri del 6 marzo, il Camposcuola per le fasce d’età 9-11 e 12-14, organizzato da Azione Cattolica Ragazzi, presso l’Oasi Tabor di Nardò. Tra i 9 - 11 tema dominante il film "Inside Out", sulla base di 5 emozioni principali: gioia, rabbia, disgusto, paura e tristezza. L'intenzione degli educatori era suscitare tali emozioni nel cuore dei ragazzi, distratti dalla frenesia della vita moderna e da un particolare oggetto: il cellulare. Trattando un personaggio alla volta, ci si è legati a temi importanti quali la famiglia, la riconciliazione e l'eucarestia; i partecipanti alla fine del Campo hanno compreso che ogni emozione è importante singolarmente, ma che esse sono legate e fanno parte di noi, rendendoci ciò che siamo.
A pochi metri di distanza aveva luogo il Camposcuola 12 - 14, strutturato sul tema principale "Sette opere, un unico grande concerto", una vera full immersion nelle opere di misericordia corporale, coadiuvate da testimonianze dirette quali Vittorio Polimeno e Marika Strafella, responsabili del Gruppo Giovanissimi a Porto Cesareo ed Agostino Coroneo, nel raccontare la propria esperienza di vita, al servizio di chi ne ha bisogno. Il ritmo dei giorni è stato scandito dalla lettura del noto "Libro di Kim", scritto da Rudyard Kipling, autore britannico del '900. Soddisfazione ed orgoglio nelle parole rilasciate dal Presidente di Azione Cattolica Alessio Greco: "Mi ritengo soddisfatto del lavoro svolto, poiché le difficoltà di realizzazione iniziale sono state notevoli. Affidandoci a Dio, abbiamo offerto un'esperienza formativa utile, nonostante le poche risorse umane ed economiche. Ringrazio il nostro parroco Don Antonio Bottazzo, l'amministrazione comunale e gli educatori, per il prezioso contributo".
PUBBLICATO NELL'APRILE 2019
AURORA: GIOVANE CESARINA A SANREMO
di Giampaolo Pellicani
“Se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno, ma sognare di più, sognare tutto il tempo …” Parole di Marcel Proust, noto letterato francese del ‘900. E allora perché non potrebbe sognare Aurora Panzanaro? Lei, di origine salentina e che vive nella nostra Porto Cesareo, è giunta al “Teatro Ariston” di Sanremo nella speranza e con il desiderio, di raggiungere il successo, di spiccare il volo, riempiendo stadi e palazzetti dello sport di tutta Italia, così come è accaduto ai Negramaro nel 2005. “Sanremo Young”, trasmesso lo scorso 15 febbraio su Rai Uno è stata la prima di cinque puntate, in cui musica e canzone, saranno l’argomento di battaglia per tanti giovani ragazzi, compresi tra i 14 e i 17 anni. L’obiettivo finale è quello di garantirsi un posto nel Sanremo Giovani 2020, vincendo la kermesse. Ad Aurora, che frequenta il Liceo Scientifico Sportivo “Calasso” di Lecce, appassionata di calcio e pallavolo, va il sostegno della redazione di ECCLESIA, che si unisce all’entusiasmo ed orgoglio della famiglia e della nostra comunità, nonostante l’eliminazione durante la prima serata. A seguire i passi della giovane promessa salentina, il vocal coach Tony Frassanito.
PUBBLICATO NEL MARZO 2019
“Se sognare un po’ è pericoloso, il rimedio non è sognare di meno, ma sognare di più, sognare tutto il tempo …” Parole di Marcel Proust, noto letterato francese del ‘900. E allora perché non potrebbe sognare Aurora Panzanaro? Lei, di origine salentina e che vive nella nostra Porto Cesareo, è giunta al “Teatro Ariston” di Sanremo nella speranza e con il desiderio, di raggiungere il successo, di spiccare il volo, riempiendo stadi e palazzetti dello sport di tutta Italia, così come è accaduto ai Negramaro nel 2005. “Sanremo Young”, trasmesso lo scorso 15 febbraio su Rai Uno è stata la prima di cinque puntate, in cui musica e canzone, saranno l’argomento di battaglia per tanti giovani ragazzi, compresi tra i 14 e i 17 anni. L’obiettivo finale è quello di garantirsi un posto nel Sanremo Giovani 2020, vincendo la kermesse. Ad Aurora, che frequenta il Liceo Scientifico Sportivo “Calasso” di Lecce, appassionata di calcio e pallavolo, va il sostegno della redazione di ECCLESIA, che si unisce all’entusiasmo ed orgoglio della famiglia e della nostra comunità, nonostante l’eliminazione durante la prima serata. A seguire i passi della giovane promessa salentina, il vocal coach Tony Frassanito.
PUBBLICATO NEL MARZO 2019
IN ONORE A LUIGI DE DONNO
di Francesco Schito
La città di Porto Cesareo si è raccolta sabato 29 settembre per intitolare una via a Luigi De Donno, il suo marinaio sommergibilista, scomparso durante la Seconda guerra mondiale, dopo l’affondamento del sommergibile Pier Capponi. Il gruppo dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.N.M.I.), aveva proposto ed ottenuto che una via comunale fosse dedicata al giovane marinaio cesarino. La cerimonia ha avuto inizio con una commemorazione presso il “Monumento ai Caduti” nella piazza Alcide De Gasperi, culminata con la deposizione di una corona di alloro, mentre le note struggenti e di conforto del “Silenzio d’Ordinanza”, suonate da un giovane trombettiere della Marina militare, invitavano al raccoglimento. Un lungo corteo ha raggiunto poco dopo con passo lento e silenzioso la via da intitolare, dove la targa dedicata a Luigi De Donno è stata scoperta dalla madrina Liliana De Donno, nipote dello sfortunato marinaio. Luigi De Donno, Gigi, nasce il 14 giugno 1919 ad Aradeo, un paese nella provincia di Lecce, ma la sua famiglia si trasferisce molto presto a Porto Cesareo, nelle cui acque il piccolo Gigi apprende il mestiere del pescatore. Il 6 luglio 1938, egli è arruolato con la leva del 1919 e giunge alle armi il 16 aprile 1939, classificato Marò S.M. Egli diviene Marinaio comune di I classe il 1° febbraio 1940 e il 1° maggio 1941 Sottonocchiere «alla memoria». Il suo foglio matricolare ci informa: scomparso il 12 aprile 1941 (invero il 31 marzo 1941, poiché il Pier Capponi è affondato in questa data) e dichiarato irreperibile il 13 luglio 1941. Per l’occasione è stato presentato il libro firmato da Enzo Poci: “Porto Cesareo saluta il suo marinaio Luigi De Donno.”
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018
La città di Porto Cesareo si è raccolta sabato 29 settembre per intitolare una via a Luigi De Donno, il suo marinaio sommergibilista, scomparso durante la Seconda guerra mondiale, dopo l’affondamento del sommergibile Pier Capponi. Il gruppo dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (A.N.M.I.), aveva proposto ed ottenuto che una via comunale fosse dedicata al giovane marinaio cesarino. La cerimonia ha avuto inizio con una commemorazione presso il “Monumento ai Caduti” nella piazza Alcide De Gasperi, culminata con la deposizione di una corona di alloro, mentre le note struggenti e di conforto del “Silenzio d’Ordinanza”, suonate da un giovane trombettiere della Marina militare, invitavano al raccoglimento. Un lungo corteo ha raggiunto poco dopo con passo lento e silenzioso la via da intitolare, dove la targa dedicata a Luigi De Donno è stata scoperta dalla madrina Liliana De Donno, nipote dello sfortunato marinaio. Luigi De Donno, Gigi, nasce il 14 giugno 1919 ad Aradeo, un paese nella provincia di Lecce, ma la sua famiglia si trasferisce molto presto a Porto Cesareo, nelle cui acque il piccolo Gigi apprende il mestiere del pescatore. Il 6 luglio 1938, egli è arruolato con la leva del 1919 e giunge alle armi il 16 aprile 1939, classificato Marò S.M. Egli diviene Marinaio comune di I classe il 1° febbraio 1940 e il 1° maggio 1941 Sottonocchiere «alla memoria». Il suo foglio matricolare ci informa: scomparso il 12 aprile 1941 (invero il 31 marzo 1941, poiché il Pier Capponi è affondato in questa data) e dichiarato irreperibile il 13 luglio 1941. Per l’occasione è stato presentato il libro firmato da Enzo Poci: “Porto Cesareo saluta il suo marinaio Luigi De Donno.”
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018