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RACCONTI POPOLARI è un modo divertente che ha ECCLESIA, di raccontare la nostra vita quotidiana nel Salento attraverso le tradizioni, credenze, usi e costumi tipici della nostra zona.
"Lo scemo del paese ai tempi del Coronavirus
Episodio 1
di Raffaele Colelli
Si chiamava Enrico, ma tutti lo chiamavano Bolla, lo scemo del paese più piccolo del mondo. Una casa vera e propria non l’aveva, le numerose fatiscenti cascine abbandonate nelle campagne di cardi spinosi erano il suo rifugio notturno. Non possedeva niente nemmeno una famiglia, nato deforme e per questo abbandonato davanti al portone di un orfanotrofio. Una gobba, come una bolla, a questa doveva il suo soprannome, le appesantiva la spalla destra incurvandolo in avanti, costringendolo, suo malgrado, a una camminata zoppa e malinconica. La sua unica ricchezza era una vecchia bicicletta mangiata dalla ruggine, il faretto vuoto privo di lampadina, la catena spesso andava fuori dalla rotella dentata, un solo parafango, quello posteriore. Le suole consumate delle scarpe sostituivano, quando si presentava la necessità, i freni mancanti, frizionandoli, con decisione, sul copertone della ruota anteriore. Assemblata con i numerosi pezzi di cianfrusaglie che i cento abitanti avevano riversato in una profonda cava di tufo ormai in disuso.
Veloci mulinavano le ruote della sua bicicletta sul largo e polveroso stradone che portava al centro del piccolo paese, nonostante tutto Bolla si sentiva parte integrante di quella comunità che troppo spesso e volentieri si prendeva gioco di lui. Ma era contento lo stesso, sapeva in fondo quanto tutti gli volessero bene, contento di portare un po' di allegria con il suo modo scanzonato da eterno bambino. Contento di interpretare, come in un copione di un film, la sua parte da scemo che nessuno voleva coprire e che gli aspettava, naturalmente, di diritto. Indaffarato sulla sua bici tra le viuzze del paese a portare delle commissioni oppure cantare a squarciagola canzoni su richiesta. Il meglio di sé lo dava quando, con impegno notevole, imitava la camminata e il verso della gallina prima di deporre l’uovo. Bar da Mario era il suo quartiere generale, chi aveva bisogno di lui per qualsiasi motivo sapeva dove cercarlo, o ad ascoltare le divertenti rime baciate di sua composizione.
Felice dava rinfresco alla sua ugola con del vino rosso offerto dai giocatori di briscola che a turno gli allungavano qualche bicchiere di troppo. A quel punto forzando i pedali della sgangherata bicicletta girovagava, tutta la notte, per le strette vie del paese, ed esaltato dall’alcol dava sfogo alla sua voce con un intruglio di melodie senza alcun senso, buscandosi sistematicamente l’immancabile secchiata di acqua gelata.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
Si chiamava Enrico, ma tutti lo chiamavano Bolla, lo scemo del paese più piccolo del mondo. Una casa vera e propria non l’aveva, le numerose fatiscenti cascine abbandonate nelle campagne di cardi spinosi erano il suo rifugio notturno. Non possedeva niente nemmeno una famiglia, nato deforme e per questo abbandonato davanti al portone di un orfanotrofio. Una gobba, come una bolla, a questa doveva il suo soprannome, le appesantiva la spalla destra incurvandolo in avanti, costringendolo, suo malgrado, a una camminata zoppa e malinconica. La sua unica ricchezza era una vecchia bicicletta mangiata dalla ruggine, il faretto vuoto privo di lampadina, la catena spesso andava fuori dalla rotella dentata, un solo parafango, quello posteriore. Le suole consumate delle scarpe sostituivano, quando si presentava la necessità, i freni mancanti, frizionandoli, con decisione, sul copertone della ruota anteriore. Assemblata con i numerosi pezzi di cianfrusaglie che i cento abitanti avevano riversato in una profonda cava di tufo ormai in disuso.
Veloci mulinavano le ruote della sua bicicletta sul largo e polveroso stradone che portava al centro del piccolo paese, nonostante tutto Bolla si sentiva parte integrante di quella comunità che troppo spesso e volentieri si prendeva gioco di lui. Ma era contento lo stesso, sapeva in fondo quanto tutti gli volessero bene, contento di portare un po' di allegria con il suo modo scanzonato da eterno bambino. Contento di interpretare, come in un copione di un film, la sua parte da scemo che nessuno voleva coprire e che gli aspettava, naturalmente, di diritto. Indaffarato sulla sua bici tra le viuzze del paese a portare delle commissioni oppure cantare a squarciagola canzoni su richiesta. Il meglio di sé lo dava quando, con impegno notevole, imitava la camminata e il verso della gallina prima di deporre l’uovo. Bar da Mario era il suo quartiere generale, chi aveva bisogno di lui per qualsiasi motivo sapeva dove cercarlo, o ad ascoltare le divertenti rime baciate di sua composizione.
Felice dava rinfresco alla sua ugola con del vino rosso offerto dai giocatori di briscola che a turno gli allungavano qualche bicchiere di troppo. A quel punto forzando i pedali della sgangherata bicicletta girovagava, tutta la notte, per le strette vie del paese, ed esaltato dall’alcol dava sfogo alla sua voce con un intruglio di melodie senza alcun senso, buscandosi sistematicamente l’immancabile secchiata di acqua gelata.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
Episodio 2
di Raffaele Colelli
Fonte principale della sua vena poetica altro non era che una bellissima fanciulla dai lunghi capelli dorati, occhi di stelle, viso angelico e pelle di luna. Divenne la musa ispiratrice per le sue innumerevoli composizioni nelle lunghe notti di veglia, illuminato dalla lieve luce di una candela. La prima volta che la vide fu lungo il marciapiede adiacente al bar da Mario: lui caricava il cestino del suo mezzo ferroso per una commessa, affidatagli da Mario il proprietario del bar, lei passava, in quel preciso momento, sottobraccio alla sua mamma. Ne restò letteralmente fulminato, un passo a vuoto e in un attimo rovinò letteralmente sulla bicicletta trascinandola con tutto il bagaglio sulla strada sterrata; la polvere ricoprì i dolcetti di mandorla fuoriusciti dalla confezione, rendendoli ormai inservibili. Una sonora risata, dei numerosi clienti ai tavolini che avevano assistito alla scena, si propagò sull’intero piazzale. Il povero Bolla, rosso per la vergogna, non sapeva se ridere o piangere, ma fu sufficiente uno sguardo distratto della ragazza a rincuorarlo. Di bocca in bocca, la notizia fece il giro del paese, tutti gli abitanti sapevano dell’accaduto e per questo era diventato l’argomento preferito, motivo di scherno da aggiungere agli altri già esistenti.
- Bolla, Bolla, ti piace Margherita vero? Mica sei poi così stupido, bravo, bravo Bolla! - Ecco seppe così, in quel modo, il nome della ragazza. Non se l’era mai chiesto, credeva fosse un essere soprannaturale, quasi divino e che avesse la sua casa al di là delle nuvole.
- Bolla, Bolla, perché non confezioni una bella rima baciata per la tua Margherita, portagliela questa notte quando nessuno ti vedrà e tutti dormono. La sua casa è a pochi passi dal municipio, vedrai, vedrai quanto sarà contenta e quanto piacere le farai... - Seppe così che la casa della ragazza non si trovava affatto oltre le nuvole, ma semplicemente poco lontano dal bar e chissà quante volte ci aveva passato davanti senza saperlo.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
Fonte principale della sua vena poetica altro non era che una bellissima fanciulla dai lunghi capelli dorati, occhi di stelle, viso angelico e pelle di luna. Divenne la musa ispiratrice per le sue innumerevoli composizioni nelle lunghe notti di veglia, illuminato dalla lieve luce di una candela. La prima volta che la vide fu lungo il marciapiede adiacente al bar da Mario: lui caricava il cestino del suo mezzo ferroso per una commessa, affidatagli da Mario il proprietario del bar, lei passava, in quel preciso momento, sottobraccio alla sua mamma. Ne restò letteralmente fulminato, un passo a vuoto e in un attimo rovinò letteralmente sulla bicicletta trascinandola con tutto il bagaglio sulla strada sterrata; la polvere ricoprì i dolcetti di mandorla fuoriusciti dalla confezione, rendendoli ormai inservibili. Una sonora risata, dei numerosi clienti ai tavolini che avevano assistito alla scena, si propagò sull’intero piazzale. Il povero Bolla, rosso per la vergogna, non sapeva se ridere o piangere, ma fu sufficiente uno sguardo distratto della ragazza a rincuorarlo. Di bocca in bocca, la notizia fece il giro del paese, tutti gli abitanti sapevano dell’accaduto e per questo era diventato l’argomento preferito, motivo di scherno da aggiungere agli altri già esistenti.
- Bolla, Bolla, ti piace Margherita vero? Mica sei poi così stupido, bravo, bravo Bolla! - Ecco seppe così, in quel modo, il nome della ragazza. Non se l’era mai chiesto, credeva fosse un essere soprannaturale, quasi divino e che avesse la sua casa al di là delle nuvole.
- Bolla, Bolla, perché non confezioni una bella rima baciata per la tua Margherita, portagliela questa notte quando nessuno ti vedrà e tutti dormono. La sua casa è a pochi passi dal municipio, vedrai, vedrai quanto sarà contenta e quanto piacere le farai... - Seppe così che la casa della ragazza non si trovava affatto oltre le nuvole, ma semplicemente poco lontano dal bar e chissà quante volte ci aveva passato davanti senza saperlo.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
Episodio 3
di Raffaele Colelli
Quella idea, pian piano prese forma nella sua mente incasinata da innocente bambino. Voleva farlo, sì voleva farlo, aveva deciso che avrebbe composto la rima baciata più bella di sempre e l’avrebbe offerta a lei, alla sua Margherita in una notte stellata. Per due notti consecutive le stelle non si fecero vedere, nascoste da una pesante coperta di nuvole nere. Bolla viaggiava sulla sua bicicletta puntando il cielo con il naso all’insù attento a cogliere l’attimo propizio, più volte aveva rischiato un gigantesco ruzzolone. Finalmente le sospirate stelle illuminavano il cielo notturno, l’innamorato Bolla prese posizione appena sotto il balconcino della sua amata, l’emozione rischiava di fargli fare una pessima figura, così, con un colpetto di tosse, sbloccò il suo diaframma e a voce sostenuta sciorinò le sue rime baciate. Dalle fessure orizzontali di una persiana, sopra il balconcino, un fascio di luce illuminò il buio, qualcuno si era svegliato. Infatti, da lì a poco, la porta si aprì e una figura femminile si affacciò, lasciandosi cadere i lunghi capelli biondi lungo la morbida vestaglia di seta. Era lei, la bellissima Margherita.
- Ah…ma sei tu Bolla!! - disse abbastanza sorpresa Margherita a bassa voce e a testa in giù - sono belle le tue rime baciate, davvero molto belle, ma non è questa l’ora giusta e non così ad alta voce. No, mio caro Bolla, potresti svegliare tutto il vicinato e passeresti dei guai se si svegliasse mio padre - attenta richiuse l’anta della persiana rimasta aperta e continuò - Ora vai Bolla e quando vorrai farmi sapere delle tue rime, scrivile su un pezzettino di carta e poi posale in un angolo del mio balcone. Io tutte le mattine andrò a leggerle!
- Grazie signorina Margherita, è la prima volta che una persona mi parla così, sì lo farò, farò come mi dice. - Restò alcuni minuti con gli occhi all’insù incantato da tanta bellezza, non capacitandosi come mai una donna, e per giunta così bella, gli avesse riservato del proprio tempo.
Nell’immagine il balcone per eccellenza a Verona e nel mondo; quello sotto il quale Romeo, corteggiava Giulietta.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
Quella idea, pian piano prese forma nella sua mente incasinata da innocente bambino. Voleva farlo, sì voleva farlo, aveva deciso che avrebbe composto la rima baciata più bella di sempre e l’avrebbe offerta a lei, alla sua Margherita in una notte stellata. Per due notti consecutive le stelle non si fecero vedere, nascoste da una pesante coperta di nuvole nere. Bolla viaggiava sulla sua bicicletta puntando il cielo con il naso all’insù attento a cogliere l’attimo propizio, più volte aveva rischiato un gigantesco ruzzolone. Finalmente le sospirate stelle illuminavano il cielo notturno, l’innamorato Bolla prese posizione appena sotto il balconcino della sua amata, l’emozione rischiava di fargli fare una pessima figura, così, con un colpetto di tosse, sbloccò il suo diaframma e a voce sostenuta sciorinò le sue rime baciate. Dalle fessure orizzontali di una persiana, sopra il balconcino, un fascio di luce illuminò il buio, qualcuno si era svegliato. Infatti, da lì a poco, la porta si aprì e una figura femminile si affacciò, lasciandosi cadere i lunghi capelli biondi lungo la morbida vestaglia di seta. Era lei, la bellissima Margherita.
- Ah…ma sei tu Bolla!! - disse abbastanza sorpresa Margherita a bassa voce e a testa in giù - sono belle le tue rime baciate, davvero molto belle, ma non è questa l’ora giusta e non così ad alta voce. No, mio caro Bolla, potresti svegliare tutto il vicinato e passeresti dei guai se si svegliasse mio padre - attenta richiuse l’anta della persiana rimasta aperta e continuò - Ora vai Bolla e quando vorrai farmi sapere delle tue rime, scrivile su un pezzettino di carta e poi posale in un angolo del mio balcone. Io tutte le mattine andrò a leggerle!
- Grazie signorina Margherita, è la prima volta che una persona mi parla così, sì lo farò, farò come mi dice. - Restò alcuni minuti con gli occhi all’insù incantato da tanta bellezza, non capacitandosi come mai una donna, e per giunta così bella, gli avesse riservato del proprio tempo.
Nell’immagine il balcone per eccellenza a Verona e nel mondo; quello sotto il quale Romeo, corteggiava Giulietta.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
Episodio 4
di Raffaele Colelli
Timidamente continuò: - Se mi posso permettere, Signorina Margherita, io non mi chiamo Bolla, non è il mio nome, io mi chiamo Ernesto.
- Va bene Ernesto, ora va che è tardi - lo salutò, prima di ritirarsi, muovendo leggermente le dita affusolate della sua mano. Se fosse stato per lui non si sarebbe mai più mosso da lì, lì avrebbe dormito, lì avrebbe mangiato, lì avrebbe pianto e gioito, lì avrebbe fatto la sua casa, ma doveva andare. Così inforcò la sua bicicletta, il tempo per un paio di pedalate che un secchio pieno d’acqua lo raggelò. Colpevoli erano i due bellimbusti, gli stessi che alcuni giorni prima si erano dimostrati tanto gentili da dispensare dei consigli, ora si spiccicavano dalle risate tenendosi la pancia tra le braccia. Da quel piacevole fatto in poi trascorse le sue notti, nei rifugi di fortuna, a confezionare rime baciate per la bella Margherita e tutte le mattine a posarle sul suo balconcino come lei le aveva detto di fare. Ormai era diventato un pensiero fisso, una vera e propria missione; veloce con la sua inseparabile bicicletta percorreva il largo stradone in salita, costretto a fermarsi solo quando la logora catena si portava fuori dalla rotella dentata, poi ancora più veloce ripartiva per recuperare il tempo perduto. Una volta giunto in paese si dirigeva spedito dalla sua bella consegnando il fogliettino al solito posto, e subito via, tutto orgoglioso, tra le sedie e i tavolini del bar dove prendeva posto restando a fissare il vuoto per tutta l’intera giornata. Restava indifferente al baccano dei giocatori di briscola, non aveva più voglia di cantare canzoni strampalate, tanto meno imitare le movenze della gallina che tanto gli piaceva inscenare, poi le rime baciate esclusivamente per Margherita, solo delle commissioni anche se a malavoglia, più che altro per non sembrare maleducato, ma anche perché delle misere mance ne aveva davvero bisogno.
- Cosa gli è successo al povero Bolla - chiese Mario il proprietario del bar - non parla, non canta, si muove appena, forse è malato?
- Sì, malato, ma d’amore, si è solo innamorato!
- Innamorato? Ma di chi?
- Di Margherita, la figlia di Canemarcio!
- Una brutta faccenda, sì questa proprio è una brutta faccenda.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Timidamente continuò: - Se mi posso permettere, Signorina Margherita, io non mi chiamo Bolla, non è il mio nome, io mi chiamo Ernesto.
- Va bene Ernesto, ora va che è tardi - lo salutò, prima di ritirarsi, muovendo leggermente le dita affusolate della sua mano. Se fosse stato per lui non si sarebbe mai più mosso da lì, lì avrebbe dormito, lì avrebbe mangiato, lì avrebbe pianto e gioito, lì avrebbe fatto la sua casa, ma doveva andare. Così inforcò la sua bicicletta, il tempo per un paio di pedalate che un secchio pieno d’acqua lo raggelò. Colpevoli erano i due bellimbusti, gli stessi che alcuni giorni prima si erano dimostrati tanto gentili da dispensare dei consigli, ora si spiccicavano dalle risate tenendosi la pancia tra le braccia. Da quel piacevole fatto in poi trascorse le sue notti, nei rifugi di fortuna, a confezionare rime baciate per la bella Margherita e tutte le mattine a posarle sul suo balconcino come lei le aveva detto di fare. Ormai era diventato un pensiero fisso, una vera e propria missione; veloce con la sua inseparabile bicicletta percorreva il largo stradone in salita, costretto a fermarsi solo quando la logora catena si portava fuori dalla rotella dentata, poi ancora più veloce ripartiva per recuperare il tempo perduto. Una volta giunto in paese si dirigeva spedito dalla sua bella consegnando il fogliettino al solito posto, e subito via, tutto orgoglioso, tra le sedie e i tavolini del bar dove prendeva posto restando a fissare il vuoto per tutta l’intera giornata. Restava indifferente al baccano dei giocatori di briscola, non aveva più voglia di cantare canzoni strampalate, tanto meno imitare le movenze della gallina che tanto gli piaceva inscenare, poi le rime baciate esclusivamente per Margherita, solo delle commissioni anche se a malavoglia, più che altro per non sembrare maleducato, ma anche perché delle misere mance ne aveva davvero bisogno.
- Cosa gli è successo al povero Bolla - chiese Mario il proprietario del bar - non parla, non canta, si muove appena, forse è malato?
- Sì, malato, ma d’amore, si è solo innamorato!
- Innamorato? Ma di chi?
- Di Margherita, la figlia di Canemarcio!
- Una brutta faccenda, sì questa proprio è una brutta faccenda.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Episodio 5
di Raffaele Colelli
Canemarcio era il più ricco e il più potente del piccolo villaggio, tutte le abitazioni esistenti erano di sua proprietà compreso il municipio, così come tutti gli abitanti erano suoi dipendenti, braccianti nelle vaste piantagioni di ortaggi. Cinico e spietato come il suo nome, gelosissimo dell’unica figlia e guai chi si permetteva solo di guardarla anche se distrattamente. Bolla se ne stava come al solito beato su una delle numerose sedie dal bar a viaggiare libero dentro i suoi sogni, non molto distante dai giocatori di briscola.
- Hey tu! Hey tu, alza il culo da quella sedia, vieni qui! - si sentì chiamare all’improvviso, un omaccione alto e grosso come un gigante lo esortava con modi decisi ad avvicinarsi a lui.
- Buongiorno signore dice a me? -
- Sì, dico a te, brutto stupido stroppio, ti avviso una sola, e unica volta, stai lontano da mia figlia e dalla mia casa almeno un chilometro. Se ti vedrò, anche per sbaglio, passare davanti alla mia porta, sei morto!
Lui, Bolla non se ne curò più di tanto, certo la paura gli fece tremare le gambe, quel giorno, ad un certo punto pensava sarebbe svenuto, mai avrebbe rinunciato alla sua missione, mai e poi mai avrebbe lasciato Margherita senza i suoi bigliettini. Cambiò solo strategia: per questo anticipò di circa un paio di ore le sue visite, assumendo, ancor più, un comportamento vigile e prudente. Così continuò imperterrito a fare giungere le sue rime baciate alla bella Margherita, senza un attimo di pausa, tutti i giorni, alla stessa ora. Estate o inverno, pioggia o sole, vento o bonaccia. Sino a quando una mattina, come tutte le mattine, con il solito fogliettino in tasca, percorse con la sua bicicletta il solito largo stradone in salita che portava al centro del paese, e come al solito dovette fermarsi un paio di volte per portare la logora catena nelle apposite dentature della rotella di ferro e quindi continuare la sua corsa. Giunse al paese, stranamente un silenzio innaturale permeava l’aria, tutto era deserto, tra le vie non si notava anima viva, porte e finestre di tutte le abitazioni sbarrate.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
Canemarcio era il più ricco e il più potente del piccolo villaggio, tutte le abitazioni esistenti erano di sua proprietà compreso il municipio, così come tutti gli abitanti erano suoi dipendenti, braccianti nelle vaste piantagioni di ortaggi. Cinico e spietato come il suo nome, gelosissimo dell’unica figlia e guai chi si permetteva solo di guardarla anche se distrattamente. Bolla se ne stava come al solito beato su una delle numerose sedie dal bar a viaggiare libero dentro i suoi sogni, non molto distante dai giocatori di briscola.
- Hey tu! Hey tu, alza il culo da quella sedia, vieni qui! - si sentì chiamare all’improvviso, un omaccione alto e grosso come un gigante lo esortava con modi decisi ad avvicinarsi a lui.
- Buongiorno signore dice a me? -
- Sì, dico a te, brutto stupido stroppio, ti avviso una sola, e unica volta, stai lontano da mia figlia e dalla mia casa almeno un chilometro. Se ti vedrò, anche per sbaglio, passare davanti alla mia porta, sei morto!
Lui, Bolla non se ne curò più di tanto, certo la paura gli fece tremare le gambe, quel giorno, ad un certo punto pensava sarebbe svenuto, mai avrebbe rinunciato alla sua missione, mai e poi mai avrebbe lasciato Margherita senza i suoi bigliettini. Cambiò solo strategia: per questo anticipò di circa un paio di ore le sue visite, assumendo, ancor più, un comportamento vigile e prudente. Così continuò imperterrito a fare giungere le sue rime baciate alla bella Margherita, senza un attimo di pausa, tutti i giorni, alla stessa ora. Estate o inverno, pioggia o sole, vento o bonaccia. Sino a quando una mattina, come tutte le mattine, con il solito fogliettino in tasca, percorse con la sua bicicletta il solito largo stradone in salita che portava al centro del paese, e come al solito dovette fermarsi un paio di volte per portare la logora catena nelle apposite dentature della rotella di ferro e quindi continuare la sua corsa. Giunse al paese, stranamente un silenzio innaturale permeava l’aria, tutto era deserto, tra le vie non si notava anima viva, porte e finestre di tutte le abitazioni sbarrate.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
Episodio 6
di Raffaele Colelli
Guardingo volse lo sguardo in tutte le direzioni. Appena fu sotto il balconcino di Margherita per deporre il suo piccolo foglietto di carta si accorse che l’involucro arrotolato, che aveva lasciato il giorno prima, era ancora lì senza essere stato ritirato. “Sarà successo qualcosa” pensò d’istinto, lo afferrò e con gran fretta andò via in direzione del bar. Qui un’altra stranezza lo attendeva: bar da Mario aveva le serrande abbassate e su di esse una scritta su un cartoncino bianco tenuto su con del nastro isolante diceva: “Bar chiuso causa corona virus”.
- Corona virus? Chi può essere questo qua? - pensò ad alta voce il povero Bolla.
Senza scendere dalla sua bicicletta ripercorse a ritroso le vie ormai deserte del paese, continuava a guardarsi intorno senza scorgere alcuna persona.
- Gente dove siete, dove siete andati, dove vi siete cacciati, forza amici uscite, che scherzo è questo, che- scherzo è questo! - urlò con tutto il fiato in gola, appena posò i piedi per terra. Niente, nessuno gli rispose, doveva quindi trovare un modo per attirare la loro attenzione. Riprese così a inscenare i passi e i versi della gallina che tanto piaceva agli abitanti, nessuno di loro si presentò, forse bastava cantare delle improponibili canzoni oppure delle rime baciate da sempre apprezzate, fu tutto inutile, non si vide anima viva. Non restava che tornare da dove era venuto, nelle campagne di cardi spinosi e tra le cascine abbandonate. Un solo pensiero nella testa quella notte, ritornare al più presto in paese, rivedere nuovamente la bella Margherita e sperare che tutto fosse stato uno scherzo o addirittura un sogno.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
Guardingo volse lo sguardo in tutte le direzioni. Appena fu sotto il balconcino di Margherita per deporre il suo piccolo foglietto di carta si accorse che l’involucro arrotolato, che aveva lasciato il giorno prima, era ancora lì senza essere stato ritirato. “Sarà successo qualcosa” pensò d’istinto, lo afferrò e con gran fretta andò via in direzione del bar. Qui un’altra stranezza lo attendeva: bar da Mario aveva le serrande abbassate e su di esse una scritta su un cartoncino bianco tenuto su con del nastro isolante diceva: “Bar chiuso causa corona virus”.
- Corona virus? Chi può essere questo qua? - pensò ad alta voce il povero Bolla.
Senza scendere dalla sua bicicletta ripercorse a ritroso le vie ormai deserte del paese, continuava a guardarsi intorno senza scorgere alcuna persona.
- Gente dove siete, dove siete andati, dove vi siete cacciati, forza amici uscite, che scherzo è questo, che- scherzo è questo! - urlò con tutto il fiato in gola, appena posò i piedi per terra. Niente, nessuno gli rispose, doveva quindi trovare un modo per attirare la loro attenzione. Riprese così a inscenare i passi e i versi della gallina che tanto piaceva agli abitanti, nessuno di loro si presentò, forse bastava cantare delle improponibili canzoni oppure delle rime baciate da sempre apprezzate, fu tutto inutile, non si vide anima viva. Non restava che tornare da dove era venuto, nelle campagne di cardi spinosi e tra le cascine abbandonate. Un solo pensiero nella testa quella notte, ritornare al più presto in paese, rivedere nuovamente la bella Margherita e sperare che tutto fosse stato uno scherzo o addirittura un sogno.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
Episodio 7
di Raffaele Colelli
La mattina seguente, con la sua bicicletta tra le gambe, i piedi puntati sulla strada e con gli occhi sbarrati, si rese subito conto che quell’incubo non era affatto un sogno, tanto meno uno scherzo dei suoi compaesani; un carro trainato da due grossi buoi dalle lunghe corna trasportava delle bare. Una, due, tre, otto, dieci, ne contò, stipate una sopra l’altra, non ne aveva mai viste così tante e tutte insieme. “Mamma mia che succede!” pensò terrorizzato, una sensazione improvvisa di freddo accompagnata da una emozione violenta di paura e di ansia lo pervase completamente.
- Cosa succede, cosa succede? - gridò al conducente.
- Vattene, vattene Bolla, vattene a casa se non vuoi morire, è la maledizione, la maledizione che è scesa dal cielo, vattene, vattene a casa!
- Margherita, sì Margherita, devo andare da lei - fu la sua prima preoccupazione; rimise i piedi sui pedali e a gran velocità si diresse lungo la via principale che portava dalla giovine. Martellanti battiti del suo cuore gli pulsavano nel petto come se dovesse esplodere da un momento all’altro, arrestò di colpo la bicicletta appena fu a pochi passi dal solito balconcino. Avrebbe voluto chiamarla, gridare a squarcia gola il suo nome” Margherita, Margherita”, non gli importava più del pericolo che avrebbe corso, e tanto meno delle minacce di Canemarcio.
- Cosa fai qui brutto storpio, lascia stare in pace mia figlia che sta morendo, sparisci! - Canemarcio era sbucato all’improvviso da dietro la piccola colonna che reggeva il balconcino, poggiava la sua grossa mano su di essa, come se facesse fatica a reggersi in piedi.
- Ma…- accennò Bolla, a una reazione.
- Vattene! - urlò, alzando il braccio, minaccioso.
La sua Margherita stava male, forse sarebbe morta, sicuramente sarebbe morta uccisa dalla maledizione, e lui si sentiva disperatamente inutile, colpevole di non essere stato capace di salvarla o di non averci almeno tentato. Doveva chiedere aiuto, qualcuno gli doveva dare una mano, da solo non ce l’avrebbe mai fatta, così pensò bene di rivolgersi al suo amico Mario, il proprietario del bar.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
La mattina seguente, con la sua bicicletta tra le gambe, i piedi puntati sulla strada e con gli occhi sbarrati, si rese subito conto che quell’incubo non era affatto un sogno, tanto meno uno scherzo dei suoi compaesani; un carro trainato da due grossi buoi dalle lunghe corna trasportava delle bare. Una, due, tre, otto, dieci, ne contò, stipate una sopra l’altra, non ne aveva mai viste così tante e tutte insieme. “Mamma mia che succede!” pensò terrorizzato, una sensazione improvvisa di freddo accompagnata da una emozione violenta di paura e di ansia lo pervase completamente.
- Cosa succede, cosa succede? - gridò al conducente.
- Vattene, vattene Bolla, vattene a casa se non vuoi morire, è la maledizione, la maledizione che è scesa dal cielo, vattene, vattene a casa!
- Margherita, sì Margherita, devo andare da lei - fu la sua prima preoccupazione; rimise i piedi sui pedali e a gran velocità si diresse lungo la via principale che portava dalla giovine. Martellanti battiti del suo cuore gli pulsavano nel petto come se dovesse esplodere da un momento all’altro, arrestò di colpo la bicicletta appena fu a pochi passi dal solito balconcino. Avrebbe voluto chiamarla, gridare a squarcia gola il suo nome” Margherita, Margherita”, non gli importava più del pericolo che avrebbe corso, e tanto meno delle minacce di Canemarcio.
- Cosa fai qui brutto storpio, lascia stare in pace mia figlia che sta morendo, sparisci! - Canemarcio era sbucato all’improvviso da dietro la piccola colonna che reggeva il balconcino, poggiava la sua grossa mano su di essa, come se facesse fatica a reggersi in piedi.
- Ma…- accennò Bolla, a una reazione.
- Vattene! - urlò, alzando il braccio, minaccioso.
La sua Margherita stava male, forse sarebbe morta, sicuramente sarebbe morta uccisa dalla maledizione, e lui si sentiva disperatamente inutile, colpevole di non essere stato capace di salvarla o di non averci almeno tentato. Doveva chiedere aiuto, qualcuno gli doveva dare una mano, da solo non ce l’avrebbe mai fatta, così pensò bene di rivolgersi al suo amico Mario, il proprietario del bar.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
Episodio 8
di Raffaele Colelli
- Mario, Mario, sono Bolla, il tuo amico Bolla, affacciati ti prego! - Non ebbe alcuna risposta, nonostante implorasse così tanto e così a lungo. A quel punto, dalla strada sterrata raccolse delle pietruzze e incominciò a scagliarle contro una delle finestre.
- Cosa vuoi Bolla, ma sei davvero scemo, vai a casa è pericoloso stare in giro! - era la voce di Mario che arrivava da dietro le imposte chiuse della sua finestra.
- Mario aiutami, la maledizione sta uccidendo la bella Margherita!
- Bolla, qui in paese tutti stanno morendo, non solo vecchi ma anche giovani, e poi non è colpa della maledizione.
- E chi è stato, Mario, chi è stato?
- È stato un virus assassino che ha contagiato tutto il mondo, ti toglie il respiro ed è molto pericoloso. Servono bombole di ossigeno per poterci salvare e tante mascherine per proteggerci, e noi non ne abbiamo, nessuno ce ne ha più. Vattene Bolla, vattene a casa!
- Bombole d’ossigeno? Mascherine? - Ma dove andare a trovare tutta quella roba, non ne aveva alcuna idea e mai ne aveva sentito parlare, non capiva cosa fossero, per questo divenne ancora più irrequieto. Nella sua mente già disordinata, la confusione regnò sovrana. “Bombole e mascherine, mascherine e bombole” inquietamente ripeté a voce sostenuta, mentre percorreva, con la sua fidata bicicletta, le strette e sterrate viuzze del desertico paese. All’estremo delle forze, come spesso gli succedeva quando esagerava con il vino tra i giocatori di briscola, si lasciò catapultare, nei pressi delle cascine, tra i cardi spinosi e lì ci restò per tutta la notte. Sognò una suora dal viso dolce e familiare che allargando le braccia lo esortava ad andare da lei:
- Vieni caro Ernesto vieni, ti stiamo aspettando, tutte le suore ti stanno aspettando…
Ancor prima che il nuovo giorno arrivasse aprì gli occhi e ricordò perfettamente il sogno che la notte gli aveva consegnato.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
- Mario, Mario, sono Bolla, il tuo amico Bolla, affacciati ti prego! - Non ebbe alcuna risposta, nonostante implorasse così tanto e così a lungo. A quel punto, dalla strada sterrata raccolse delle pietruzze e incominciò a scagliarle contro una delle finestre.
- Cosa vuoi Bolla, ma sei davvero scemo, vai a casa è pericoloso stare in giro! - era la voce di Mario che arrivava da dietro le imposte chiuse della sua finestra.
- Mario aiutami, la maledizione sta uccidendo la bella Margherita!
- Bolla, qui in paese tutti stanno morendo, non solo vecchi ma anche giovani, e poi non è colpa della maledizione.
- E chi è stato, Mario, chi è stato?
- È stato un virus assassino che ha contagiato tutto il mondo, ti toglie il respiro ed è molto pericoloso. Servono bombole di ossigeno per poterci salvare e tante mascherine per proteggerci, e noi non ne abbiamo, nessuno ce ne ha più. Vattene Bolla, vattene a casa!
- Bombole d’ossigeno? Mascherine? - Ma dove andare a trovare tutta quella roba, non ne aveva alcuna idea e mai ne aveva sentito parlare, non capiva cosa fossero, per questo divenne ancora più irrequieto. Nella sua mente già disordinata, la confusione regnò sovrana. “Bombole e mascherine, mascherine e bombole” inquietamente ripeté a voce sostenuta, mentre percorreva, con la sua fidata bicicletta, le strette e sterrate viuzze del desertico paese. All’estremo delle forze, come spesso gli succedeva quando esagerava con il vino tra i giocatori di briscola, si lasciò catapultare, nei pressi delle cascine, tra i cardi spinosi e lì ci restò per tutta la notte. Sognò una suora dal viso dolce e familiare che allargando le braccia lo esortava ad andare da lei:
- Vieni caro Ernesto vieni, ti stiamo aspettando, tutte le suore ti stanno aspettando…
Ancor prima che il nuovo giorno arrivasse aprì gli occhi e ricordò perfettamente il sogno che la notte gli aveva consegnato.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2020
Episodio 9
di Raffaele Colelli
Quella suora dal volto così familiare, ora rammentava chiaramente, era suor Cecilia, una delle clarisse facenti parte dell’oratorio dove ancora neonato era stato abbandonato. Senza pensarci sù imbracciò il suo mezzo ferroso e via per una precisa destinazione. Rammentava ancora, nonostante fossero trascorsi diversi anni, la strada che portava al grande edificio dell’orfanotrofio. Tirò, con tutta la sua forza, il lungo filo di ferro attaccato al campanello d’ingresso del grande portone. Da una finestrella ferrata apparve l’occhio scrutatore di una persona, subito dopo il rumore assordante di una serratura fece aprire una porticina a destra dell’ingresso principale.
- Ernesto, caro piccolo Ernesto - era suor Cecilia con tutta la sua dolcezza - finalmente sei arrivato è da tempo che ti aspettavamo, su, su entra.
Lei lo abbracciò teneramente, da tanto che non lo vedeva, da quando ormai maggiorenne, Ernesto, aveva deciso di andare per la sua strada e conoscere finalmente il mondo e la sua gente.
- Madre Santa - esordì - sono ritornato perché ho l’anima in pena bisognosa del suo aiuto.
- Lo so figlio mio lo so, è giunto sino a me il tuo grido di dolore, ma ora fai silenzio e seguimi.
Attraversarono il lungo corridoio delle celle, nel frattempo altre suore si accodarono a loro formando una lunga processione. Infondo, in un ampio stanzone, numerose bombole di ossigeno nuove di zecca erano addossate al muro, attaccate ad ognuna di loro delle mascherine chirurgiche.
- Prendile Ernesto portale ai tuoi poveri fratelli, sono cento e uno, una per ogni abitante, l’ultima la centunesima è tua!
Bolla non poté trattenere la commozione, così si prostrò ai piedi santi di suor Cecilia bagnandoli di lacrime; nel frattempo un canto celeste si innalzò dal gruppo delle altre suore. Prima della consegna delle bombole, una suora le consegnò una bandiera dai tre colori, verde bianca e rossa, la bandiera italiana.
- Tieni Ernesto, questa apparteneva a te, era tua, l’hai dimenticata qui quando te ne andasti, ora issala sulla tua bicicletta ti porterà fortuna.
Lui la prese, chiese un pennarello, e sopra, sulla parte bianca, ci scrisse alcune frasi.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
Quella suora dal volto così familiare, ora rammentava chiaramente, era suor Cecilia, una delle clarisse facenti parte dell’oratorio dove ancora neonato era stato abbandonato. Senza pensarci sù imbracciò il suo mezzo ferroso e via per una precisa destinazione. Rammentava ancora, nonostante fossero trascorsi diversi anni, la strada che portava al grande edificio dell’orfanotrofio. Tirò, con tutta la sua forza, il lungo filo di ferro attaccato al campanello d’ingresso del grande portone. Da una finestrella ferrata apparve l’occhio scrutatore di una persona, subito dopo il rumore assordante di una serratura fece aprire una porticina a destra dell’ingresso principale.
- Ernesto, caro piccolo Ernesto - era suor Cecilia con tutta la sua dolcezza - finalmente sei arrivato è da tempo che ti aspettavamo, su, su entra.
Lei lo abbracciò teneramente, da tanto che non lo vedeva, da quando ormai maggiorenne, Ernesto, aveva deciso di andare per la sua strada e conoscere finalmente il mondo e la sua gente.
- Madre Santa - esordì - sono ritornato perché ho l’anima in pena bisognosa del suo aiuto.
- Lo so figlio mio lo so, è giunto sino a me il tuo grido di dolore, ma ora fai silenzio e seguimi.
Attraversarono il lungo corridoio delle celle, nel frattempo altre suore si accodarono a loro formando una lunga processione. Infondo, in un ampio stanzone, numerose bombole di ossigeno nuove di zecca erano addossate al muro, attaccate ad ognuna di loro delle mascherine chirurgiche.
- Prendile Ernesto portale ai tuoi poveri fratelli, sono cento e uno, una per ogni abitante, l’ultima la centunesima è tua!
Bolla non poté trattenere la commozione, così si prostrò ai piedi santi di suor Cecilia bagnandoli di lacrime; nel frattempo un canto celeste si innalzò dal gruppo delle altre suore. Prima della consegna delle bombole, una suora le consegnò una bandiera dai tre colori, verde bianca e rossa, la bandiera italiana.
- Tieni Ernesto, questa apparteneva a te, era tua, l’hai dimenticata qui quando te ne andasti, ora issala sulla tua bicicletta ti porterà fortuna.
Lui la prese, chiese un pennarello, e sopra, sulla parte bianca, ci scrisse alcune frasi.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2021
Episodio 10
di Raffaele Colelli
Pieno di speranza, facendo sventolare la bandiera dai tre colori, consegnò tutte le bombole d’ossigeno con attaccate le rispettive mascherine chirurgiche a tutti i cento abitanti compreso Mario, il proprietario del bar, ma anche a Canemarcio; alla bellissima Margherita invece lasciò anche la sua, non si sa mai pensò, meglio abbondare. Tutti gli abitanti furono salvi dall’epidemia e tutti lo cercavano per poterlo ringraziare e portagli onore: dal sindaco del paese, al suo amico Mario, dai giocatori di briscola, fino a Canemarcio e alla bellissima Margherita, ma nessuno, per diversi giorni, lo vide, come se si fosse volatilizzato. Solo alcune settimane dopo dei netturbini, attenti a pulire dei campi dalle sterpaglie, notarono riverso nell’erba spinosa il corpo di un uomo avvolto in una bandiera dai tre colori. Era il corpo del povero Bolla, il coronavirus se l’era preso con sé. Molti si chiesero da dove avesse potuto recuperare tutte le bombole d’ossigeno, grazie alle quali molte vite umane furono risparmiate dalla morte. Alcuni si recarono per delle informazioni sino al lontano orfanotrofio dove l’allora piccolo Ernesto era stato accudito. Notarono meravigliati che al suo posto vi avevano costruito, ormai da più di vent’anni, un mega supermercato con un ampio parcheggio, dell’orfanotrofio, in questione nemmeno l’ombra. Finalmente dopo alcuni mesi e milioni di morti, un luminare italiano, della medicina mondiale riuscì a tirar fuori il sospirato vaccino che sconfisse per sempre il micidiale virus. Tutti poterono riprendere da dove avevano lasciato, consci che niente sarebbe stato più come prima. Liberi dall’incubo, gli abitanti del paesino vollero ricordare il loro grande eroe. Organizzarono una mega festa, elogianti discorsi, bande musicali, fuochi d’artificio, lunghe processioni e messe comprese si sprecarono. Nella piazza principale innalzarono un sontuoso piedistallo, dove vi era scritto in caratteri dorati: “All’eroe Enrico con la sua bolla piena d’amore, tutti noi rendiamo onore”. Sopra di essa una statua raffigurava un uomo a cavallo di una bicicletta che orgoglioso, come un guerriero, issava una bandiera dai tre colori, sulla parte bianca c’era scritto: ANDRA’ TUTTO BENE.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
Pieno di speranza, facendo sventolare la bandiera dai tre colori, consegnò tutte le bombole d’ossigeno con attaccate le rispettive mascherine chirurgiche a tutti i cento abitanti compreso Mario, il proprietario del bar, ma anche a Canemarcio; alla bellissima Margherita invece lasciò anche la sua, non si sa mai pensò, meglio abbondare. Tutti gli abitanti furono salvi dall’epidemia e tutti lo cercavano per poterlo ringraziare e portagli onore: dal sindaco del paese, al suo amico Mario, dai giocatori di briscola, fino a Canemarcio e alla bellissima Margherita, ma nessuno, per diversi giorni, lo vide, come se si fosse volatilizzato. Solo alcune settimane dopo dei netturbini, attenti a pulire dei campi dalle sterpaglie, notarono riverso nell’erba spinosa il corpo di un uomo avvolto in una bandiera dai tre colori. Era il corpo del povero Bolla, il coronavirus se l’era preso con sé. Molti si chiesero da dove avesse potuto recuperare tutte le bombole d’ossigeno, grazie alle quali molte vite umane furono risparmiate dalla morte. Alcuni si recarono per delle informazioni sino al lontano orfanotrofio dove l’allora piccolo Ernesto era stato accudito. Notarono meravigliati che al suo posto vi avevano costruito, ormai da più di vent’anni, un mega supermercato con un ampio parcheggio, dell’orfanotrofio, in questione nemmeno l’ombra. Finalmente dopo alcuni mesi e milioni di morti, un luminare italiano, della medicina mondiale riuscì a tirar fuori il sospirato vaccino che sconfisse per sempre il micidiale virus. Tutti poterono riprendere da dove avevano lasciato, consci che niente sarebbe stato più come prima. Liberi dall’incubo, gli abitanti del paesino vollero ricordare il loro grande eroe. Organizzarono una mega festa, elogianti discorsi, bande musicali, fuochi d’artificio, lunghe processioni e messe comprese si sprecarono. Nella piazza principale innalzarono un sontuoso piedistallo, dove vi era scritto in caratteri dorati: “All’eroe Enrico con la sua bolla piena d’amore, tutti noi rendiamo onore”. Sopra di essa una statua raffigurava un uomo a cavallo di una bicicletta che orgoglioso, come un guerriero, issava una bandiera dai tre colori, sulla parte bianca c’era scritto: ANDRA’ TUTTO BENE.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
"Tore Filuni e lu Carcaluru"
Introduzione
di Raffaele Colelli
Un breve racconto popolare, un essere immondo, alquanto strano e inquietante, nato da antiche favole nelle lunghe e fredde sere salentine dinanzi al calore di un camino acceso. Il suo nome cambiava da comune a comune: ora “Uru” nella zona di San Cesareo, oppure “Larieddru” tra Ugento e Specchia, mentre nei paraggi di Melissano prendeva il nome di “Scazzamureddru”; infine “Carcaluru”, tra Porto Cesareo, Nardò e Boncore, la zona in cui si svolge il racconto. Le sue sembianze, comunque, sono comuni a tutti i paesi del Salento: alto non più di sessanta centimetri, faccia buffa da paura, un grosso naso porroso, una larga bocca da dove spuntava una lunga lingua nera e sulla testa pelata un enorme cappello nero a cono. Si divertiva pazzamente a far dei dispetti durante il sonno, che si trasformava in un incubo. Spesse volte ai malcapitati si posizionava sul loro petto, dando la sensazione di soffocamento. Non si accaniva solo sulle persone, ma anche sugli animali e in particolar modo sui cavalli. Il suo grandissimo punto di forza il cappello, gli conferiva tutti i poteri, come un super eroe dei nostri tempi. In questa storia invece il nostro folletto maligno, il così detto “Carcaluro”, si diverte a infliggere una sonora lezione a quei personaggi che facevano dell'avidità il loro punto di forza. Di cumpare Tore e sua moglie Ninuzza, si prese beffa sino a farli illudere, per poi riportarli nella più profonda e miserevole depressione. Questo e tanto altro in “Tore Filuni e Lu Carcaluru” una storia che passo dopo passo sarà narrata a partire dal mensile di agosto su ECCLESIA.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2017
Un breve racconto popolare, un essere immondo, alquanto strano e inquietante, nato da antiche favole nelle lunghe e fredde sere salentine dinanzi al calore di un camino acceso. Il suo nome cambiava da comune a comune: ora “Uru” nella zona di San Cesareo, oppure “Larieddru” tra Ugento e Specchia, mentre nei paraggi di Melissano prendeva il nome di “Scazzamureddru”; infine “Carcaluru”, tra Porto Cesareo, Nardò e Boncore, la zona in cui si svolge il racconto. Le sue sembianze, comunque, sono comuni a tutti i paesi del Salento: alto non più di sessanta centimetri, faccia buffa da paura, un grosso naso porroso, una larga bocca da dove spuntava una lunga lingua nera e sulla testa pelata un enorme cappello nero a cono. Si divertiva pazzamente a far dei dispetti durante il sonno, che si trasformava in un incubo. Spesse volte ai malcapitati si posizionava sul loro petto, dando la sensazione di soffocamento. Non si accaniva solo sulle persone, ma anche sugli animali e in particolar modo sui cavalli. Il suo grandissimo punto di forza il cappello, gli conferiva tutti i poteri, come un super eroe dei nostri tempi. In questa storia invece il nostro folletto maligno, il così detto “Carcaluro”, si diverte a infliggere una sonora lezione a quei personaggi che facevano dell'avidità il loro punto di forza. Di cumpare Tore e sua moglie Ninuzza, si prese beffa sino a farli illudere, per poi riportarli nella più profonda e miserevole depressione. Questo e tanto altro in “Tore Filuni e Lu Carcaluru” una storia che passo dopo passo sarà narrata a partire dal mensile di agosto su ECCLESIA.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2017
Episodio 1
di Raffaele Colelli
Un dolce silenzio, quella notte di maggio, nella campagna della proprietà di compare Tore Filuni, situata in contrada”Boncore”, a pochi km da Porto Cesareo. La luna tonda tonda, piena piena, illuminava la facciata bianca della masseria come se un potente faro fosse puntato sul muro a calce dell'edificio. La luce attraversava con facilità le persiane traballanti, simili a denti cadenti attaccati da inarrestabili carie, sino ad accendere il grosso naso del vecchio Tore, tanto da confondersi alla lampada appesa ad un filo di corrente elettrica che scendeva dal centro della sua stanza. Ronfava senza ritegno ed a ogni ronfo le narici si dilatavano vibrando vigorosamente; dai pochi denti rimasti si faceva strada un soffio che si trasformava in un fischio assordante di un vecchio treno a vapore, e il pancione con ritmo su e giù, a fisarmonica. Sua moglie, comare Ninuzza, senza pace nonostante i cinquant'anni di matrimonio, non aveva mai fatto l'abitudine a quel rumore disumano, spesso la teneva sveglia sino all'alba; avvilita e persa alcuna speranza preferiva alzarsi dal lettone dai materassi imbottiti di paglia. Delle notti, quando il russare risultava forte e insopportabile, con una energica gomitata lo scuoteva sperando ad una tregua. Purtroppo otteneva l'effetto opposto o contrario, cielo e terra si aprivano, come da un gonfio temporale i tuoni facevano vibrare anche i peli più nascosti. Una sera, verso la fine di giugno, dopo una dura giornata di lavoro in campagna, compare Tore e sua moglie Ninuzza, cenato, andarono finalmente a dormire. Alle due della notte, da più di quattro ore e passa, l'orchestra del ronfo suonava la solita musica, quando un grido soffocato si levò per tutta la stanza …
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2017
Un dolce silenzio, quella notte di maggio, nella campagna della proprietà di compare Tore Filuni, situata in contrada”Boncore”, a pochi km da Porto Cesareo. La luna tonda tonda, piena piena, illuminava la facciata bianca della masseria come se un potente faro fosse puntato sul muro a calce dell'edificio. La luce attraversava con facilità le persiane traballanti, simili a denti cadenti attaccati da inarrestabili carie, sino ad accendere il grosso naso del vecchio Tore, tanto da confondersi alla lampada appesa ad un filo di corrente elettrica che scendeva dal centro della sua stanza. Ronfava senza ritegno ed a ogni ronfo le narici si dilatavano vibrando vigorosamente; dai pochi denti rimasti si faceva strada un soffio che si trasformava in un fischio assordante di un vecchio treno a vapore, e il pancione con ritmo su e giù, a fisarmonica. Sua moglie, comare Ninuzza, senza pace nonostante i cinquant'anni di matrimonio, non aveva mai fatto l'abitudine a quel rumore disumano, spesso la teneva sveglia sino all'alba; avvilita e persa alcuna speranza preferiva alzarsi dal lettone dai materassi imbottiti di paglia. Delle notti, quando il russare risultava forte e insopportabile, con una energica gomitata lo scuoteva sperando ad una tregua. Purtroppo otteneva l'effetto opposto o contrario, cielo e terra si aprivano, come da un gonfio temporale i tuoni facevano vibrare anche i peli più nascosti. Una sera, verso la fine di giugno, dopo una dura giornata di lavoro in campagna, compare Tore e sua moglie Ninuzza, cenato, andarono finalmente a dormire. Alle due della notte, da più di quattro ore e passa, l'orchestra del ronfo suonava la solita musica, quando un grido soffocato si levò per tutta la stanza …
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2017
Episodio 2
di Raffaele Colelli
- Ninuzza, Ninuzza mia aiutame, sta mmoriu, sta mmoriu! Duma la luce, prestu sbricate, sta mmoriu- cercava aiuto Tore - preso dal panico.
-Ce a cappatu Tore, mi sta faci mpaurare! Chiamamu lu tottore diceva Ninuzza allarmata, mentre accendeva la luce del suo abajour.
- None, none ce dottore! Quai amu chiamare lu prete, cramatina sciamu a don Orenzu!
- A don Orenzu?? Ma ha mpacciutu? Ce ta sunnatu lu tiaulu?
- Lu tiaulu? Era bbuenu ... pesciu pesciu ancora, Ninuzza mia bbeddha, maggiù sunnatu dru infame ti lu Carcaluru: sera misu sobbra la panza mia e saltava comu na molla e ritia ritia e mi vardava. A ncapu, tinia nu cappieddu ranne ranne, si tice ca rrubba tutti li sordi ti li cristiani e ca tene na fame ca si mangia quiddru ca troa. E nui - continuò Tore molto preoccupato - tinimu la cantina china ti rrobba e li sordi scusi intra lu cascione. Sorte noscia mujere mia, simu futtuti!
- Non ti preoccupare Tore mia, crai prima cu sciamu allu prete sciarriamu a dra la cummare Concetta. Quiddha cu l'ueiu face miraculi, pensa ca alla fija ti mescia Assunta malecarne, ca ni tulia la capu tantu forte ca non putia aprire l'uecchi, cu l'ueiu ni la fatta passare ammomenti e moi sta passeggia.
Di mattina molto presto, tirarono fuori il carroccio con la giumenta e si diressero verso la casa di cummare Concetta …
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2017
- Ninuzza, Ninuzza mia aiutame, sta mmoriu, sta mmoriu! Duma la luce, prestu sbricate, sta mmoriu- cercava aiuto Tore - preso dal panico.
-Ce a cappatu Tore, mi sta faci mpaurare! Chiamamu lu tottore diceva Ninuzza allarmata, mentre accendeva la luce del suo abajour.
- None, none ce dottore! Quai amu chiamare lu prete, cramatina sciamu a don Orenzu!
- A don Orenzu?? Ma ha mpacciutu? Ce ta sunnatu lu tiaulu?
- Lu tiaulu? Era bbuenu ... pesciu pesciu ancora, Ninuzza mia bbeddha, maggiù sunnatu dru infame ti lu Carcaluru: sera misu sobbra la panza mia e saltava comu na molla e ritia ritia e mi vardava. A ncapu, tinia nu cappieddu ranne ranne, si tice ca rrubba tutti li sordi ti li cristiani e ca tene na fame ca si mangia quiddru ca troa. E nui - continuò Tore molto preoccupato - tinimu la cantina china ti rrobba e li sordi scusi intra lu cascione. Sorte noscia mujere mia, simu futtuti!
- Non ti preoccupare Tore mia, crai prima cu sciamu allu prete sciarriamu a dra la cummare Concetta. Quiddha cu l'ueiu face miraculi, pensa ca alla fija ti mescia Assunta malecarne, ca ni tulia la capu tantu forte ca non putia aprire l'uecchi, cu l'ueiu ni la fatta passare ammomenti e moi sta passeggia.
Di mattina molto presto, tirarono fuori il carroccio con la giumenta e si diressero verso la casa di cummare Concetta …
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2017
Episodio 3
di Raffaele Colelli
Strada facendo mangiarono dei fichi secchi con la mandorla e del pane nero di grano arso. Arrivati a destinazione, la padrona di casa lo fece accomodare vicino al tavolo della piccola cucina, dove ci poggiò una bacinella piena d'acqua; così dopo aver inciso con il suo pollice il segno della croce sulla fronte di Tore, recitò alcune preghiere miste a formule antiche segrete e subito dopo alcune gocce di olio si espandevano nel recipiente, inesorabilmente.
- Cumpare Tore-disse Concetta molto seria-Taggiu lliatu nu bruttu malocchiu, na brutta fattura,sape ci disgraziatu o disgraziata ti la fattu, ma moi aggiu mise li cose a postu, l'ueiu ca prima si llargava moi è sparitu!
- Sacciu jo sci è statu!Sicuramente dra scostumata ca ogne tantu passa ti la masseria e mpizza lu cueddru cu bbite se ite marituma. Svergognata! Comunque lassamu stare cummare Concetta e pi lu fastiddiu tamu purtatu oe frische, cussì stasera cu marituta bi faciti na bella frittata - intervenne puntigliosa,comare Ninuzza.
Speranzosi i due coniugi Filuni, dopo cena e come d'abitudine andarono a letto. Il vecchio pendolo a muro batteva i suoi pesanti rintocchi: le tre precise. Cumpare Tore mezzo assonnato aprì gli occhi e intravide nella penombra della fioca luce della luna, un minuto individuo che su due cortissime gambe correva velocemente da un angolo all'altro della stanza tenendosi con tutte e due mani il grande cappello a cono …
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2017
Strada facendo mangiarono dei fichi secchi con la mandorla e del pane nero di grano arso. Arrivati a destinazione, la padrona di casa lo fece accomodare vicino al tavolo della piccola cucina, dove ci poggiò una bacinella piena d'acqua; così dopo aver inciso con il suo pollice il segno della croce sulla fronte di Tore, recitò alcune preghiere miste a formule antiche segrete e subito dopo alcune gocce di olio si espandevano nel recipiente, inesorabilmente.
- Cumpare Tore-disse Concetta molto seria-Taggiu lliatu nu bruttu malocchiu, na brutta fattura,sape ci disgraziatu o disgraziata ti la fattu, ma moi aggiu mise li cose a postu, l'ueiu ca prima si llargava moi è sparitu!
- Sacciu jo sci è statu!Sicuramente dra scostumata ca ogne tantu passa ti la masseria e mpizza lu cueddru cu bbite se ite marituma. Svergognata! Comunque lassamu stare cummare Concetta e pi lu fastiddiu tamu purtatu oe frische, cussì stasera cu marituta bi faciti na bella frittata - intervenne puntigliosa,comare Ninuzza.
Speranzosi i due coniugi Filuni, dopo cena e come d'abitudine andarono a letto. Il vecchio pendolo a muro batteva i suoi pesanti rintocchi: le tre precise. Cumpare Tore mezzo assonnato aprì gli occhi e intravide nella penombra della fioca luce della luna, un minuto individuo che su due cortissime gambe correva velocemente da un angolo all'altro della stanza tenendosi con tutte e due mani il grande cappello a cono …
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2017
Episodio 4
di Raffaele Colelli
In un attimo se lo vide davanti alla faccia. A questo punto lo strano personaggio tirò fuori la sua lunga lingua nera e gli fece una grassa pernacchia. Tore d'istinto si infilò sotto le coperte, cercando di gridare a pieni polmoni, ma le sue corde non emanavano alcun suono; stava per soffocare, quando un grido disperato fece sobbalzare letteralmente dal letto la povera Ninuzza.
- Vergine Santa aiutane tune, ce sta succede intra sta casa.... Tore...Tore rispunni! A do stai? A do si sciutu? - Tore, rifugiato sotto la pesante coltre, con alcuna intenzione di uscire, era letteralmente terrorizzato.
La mattina, di fretta e furia, si recarono in parrocchia da Don Orenzu, sconfortati, demoralizzati e assonnati gli spiegarono il motivo della loro visita. Siccome la masseria non era lontana dalla chiesa, diciamo appena un quarto d'ora di cammino dal centro abitato, decisero di andarci subito e risolvere una volta per sempre il grave problema.
Ninuzza sotto consiglio del prete aprì porte e finestre, comprese quelle della stalla.
- Così l'anime cattive a contatto con l'acqua santa scapperanno facilmente via - disse il prete, mentre vigorosamente schizzava al suo passaggio il liquido miracoloso, bagnando anche i volti e i vestiti di Tore e Ninuzza che lo seguivano, scandendo ad alta voce delle preghiere cantate, come in una processione paesana.
Nel frattempo Don Orenzu, ritornato in canonica rimise al solito posto la stola, nel cassettone ripose l'aspersorio e dalle tasche dell'abito talare tirò fuori due vasetti, uno di carciofi all'olio e l'altro di lampascioni “pampasciuni.” Slegato il canovaccio umido, vennero fuori dei fichi d'india già puliti e ormai lì belli e pronti: uno dopo l'altro se li mangiò tutti!
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2017
In un attimo se lo vide davanti alla faccia. A questo punto lo strano personaggio tirò fuori la sua lunga lingua nera e gli fece una grassa pernacchia. Tore d'istinto si infilò sotto le coperte, cercando di gridare a pieni polmoni, ma le sue corde non emanavano alcun suono; stava per soffocare, quando un grido disperato fece sobbalzare letteralmente dal letto la povera Ninuzza.
- Vergine Santa aiutane tune, ce sta succede intra sta casa.... Tore...Tore rispunni! A do stai? A do si sciutu? - Tore, rifugiato sotto la pesante coltre, con alcuna intenzione di uscire, era letteralmente terrorizzato.
La mattina, di fretta e furia, si recarono in parrocchia da Don Orenzu, sconfortati, demoralizzati e assonnati gli spiegarono il motivo della loro visita. Siccome la masseria non era lontana dalla chiesa, diciamo appena un quarto d'ora di cammino dal centro abitato, decisero di andarci subito e risolvere una volta per sempre il grave problema.
Ninuzza sotto consiglio del prete aprì porte e finestre, comprese quelle della stalla.
- Così l'anime cattive a contatto con l'acqua santa scapperanno facilmente via - disse il prete, mentre vigorosamente schizzava al suo passaggio il liquido miracoloso, bagnando anche i volti e i vestiti di Tore e Ninuzza che lo seguivano, scandendo ad alta voce delle preghiere cantate, come in una processione paesana.
Nel frattempo Don Orenzu, ritornato in canonica rimise al solito posto la stola, nel cassettone ripose l'aspersorio e dalle tasche dell'abito talare tirò fuori due vasetti, uno di carciofi all'olio e l'altro di lampascioni “pampasciuni.” Slegato il canovaccio umido, vennero fuori dei fichi d'india già puliti e ormai lì belli e pronti: uno dopo l'altro se li mangiò tutti!
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2017
Episodio 5
di Raffaele Colelli
A malincuore i coniugi Filuni si privarono di tutto quel ben di Dio. Non avevano nessuna intenzione di inciampare in una brutta figura perché nell'omelia della domenica, potevano rischiare un rimprovero e in paese tutti potevano sapere della loro taccagneria.
Non avendo avuto figli, le malelingue paesane mormoravano che per via della loro proverbiale avarizia, si fossero volontariamente sottratti al piacere di essere genitori; si sa, mantenere dei figli a quei tempi, portava dei sacrifici economici. Quella notte Tore e la moglie Ninuzza dormirono come due angioletti fino a un’ora dopo l'alba. Addirittura il marito non tirò fuori un solo ronfo e tutto contento si recò nella stalla per tirar fuori del formaggio cacio ricotta e offrirlo al prete per un ulteriore ringraziamento. Aperto il portone rimase impietrito, quando vide il crine della giumenta, intrecciata fitta fitta. Sembrava fosse andata dal parrucchiere.
- A capitu, Ninuzza picce dru disgraziatu ti lu carcaluru, non è binutu stanotte? Picce è sciutu cu ni face dispiettu cu la sciumenta. So statu mezza sciurnata cu la ssorru - disse disperato Tore.
- Tore mia - rispose frastornata Ninuzza- comu amu fare moi? Ormai lamu pruate tutte!
Passarono alcuni mesi e la situazione non era assolutamente cambiata anzi, notevolmente peggiorata.
Lo sgradito ospite si presentava a tutte le ore della notte, rendendo la vita del povero Tore e di sua moglie Ninuzza un inferno e non potendo riposare, di giorno erano sempre stanchi; spesso si addormentavano nei luoghi e nelle circostanze più impensabili.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2017
A malincuore i coniugi Filuni si privarono di tutto quel ben di Dio. Non avevano nessuna intenzione di inciampare in una brutta figura perché nell'omelia della domenica, potevano rischiare un rimprovero e in paese tutti potevano sapere della loro taccagneria.
Non avendo avuto figli, le malelingue paesane mormoravano che per via della loro proverbiale avarizia, si fossero volontariamente sottratti al piacere di essere genitori; si sa, mantenere dei figli a quei tempi, portava dei sacrifici economici. Quella notte Tore e la moglie Ninuzza dormirono come due angioletti fino a un’ora dopo l'alba. Addirittura il marito non tirò fuori un solo ronfo e tutto contento si recò nella stalla per tirar fuori del formaggio cacio ricotta e offrirlo al prete per un ulteriore ringraziamento. Aperto il portone rimase impietrito, quando vide il crine della giumenta, intrecciata fitta fitta. Sembrava fosse andata dal parrucchiere.
- A capitu, Ninuzza picce dru disgraziatu ti lu carcaluru, non è binutu stanotte? Picce è sciutu cu ni face dispiettu cu la sciumenta. So statu mezza sciurnata cu la ssorru - disse disperato Tore.
- Tore mia - rispose frastornata Ninuzza- comu amu fare moi? Ormai lamu pruate tutte!
Passarono alcuni mesi e la situazione non era assolutamente cambiata anzi, notevolmente peggiorata.
Lo sgradito ospite si presentava a tutte le ore della notte, rendendo la vita del povero Tore e di sua moglie Ninuzza un inferno e non potendo riposare, di giorno erano sempre stanchi; spesso si addormentavano nei luoghi e nelle circostanze più impensabili.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2017
Episodio 6
di Raffaele Colelli
Verso la seconda settimana di settembre, una mattina intorno alle sei e trenta, Tore recatosi come spesso e d'abitudine nel proprio podere, per cercare di riprendere il lavoro di potatura, si sentì chiamare da cumpare Caccamo.
- Tore! Tore! Ae mezzura ca ti sta vvardu e aggiù notatu ca non ti sta mantieni tisu. Tuttu lu paese, tuttu Boncore sape ti lu carcaluru, ca ti sta perseguita ti tantu tiempu e non ti sta face cchiu turmire.
- Sine, sine cumpare Caccamu mia, non ti immaggini cè stà passamu jo e mujerima, né rovinata la vita. Poveri annui - rispose demoralizzato Tore.
- Eppure cumpare Tore mia, jo pensu ca quista è nà bbona occasione cu ti faci nu picca ti sordi.
- Non ti sta capiscu, cumpare, non ete ca mi stà piji pi fessa, cu no dicu nnaura cosa.
- None, none sta dicu lu ggiustu! Bicinate ca ti spiecu tuttu.
Secondo compare Caccamu, sarebbe stato opportuno cercare un escamotage per togliere il grande cappello allo spiritello, metterlo alle strette e in condizioni che se lo avesse voluto indietro, sarebbe stato costretto a sborsare un sacco pieni di soldi. Non solo sarebbero diventati ricchi, ma “lu carcaluru” se ne sarebbe andato via a gambe levate. Diventati ricchi, chiaramente anche lui pretendeva la sua parte. Comunque si misero d'accordo per un trentatré per cento, considerando la quota di Ninuzza. Si, ma come fare? Non era facile, anzi molto difficile e complicato; bisognava costruire un piano e Cumpare Caccamo ce lo aveva, anche abbastanza dettagliato.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2018
Verso la seconda settimana di settembre, una mattina intorno alle sei e trenta, Tore recatosi come spesso e d'abitudine nel proprio podere, per cercare di riprendere il lavoro di potatura, si sentì chiamare da cumpare Caccamo.
- Tore! Tore! Ae mezzura ca ti sta vvardu e aggiù notatu ca non ti sta mantieni tisu. Tuttu lu paese, tuttu Boncore sape ti lu carcaluru, ca ti sta perseguita ti tantu tiempu e non ti sta face cchiu turmire.
- Sine, sine cumpare Caccamu mia, non ti immaggini cè stà passamu jo e mujerima, né rovinata la vita. Poveri annui - rispose demoralizzato Tore.
- Eppure cumpare Tore mia, jo pensu ca quista è nà bbona occasione cu ti faci nu picca ti sordi.
- Non ti sta capiscu, cumpare, non ete ca mi stà piji pi fessa, cu no dicu nnaura cosa.
- None, none sta dicu lu ggiustu! Bicinate ca ti spiecu tuttu.
Secondo compare Caccamu, sarebbe stato opportuno cercare un escamotage per togliere il grande cappello allo spiritello, metterlo alle strette e in condizioni che se lo avesse voluto indietro, sarebbe stato costretto a sborsare un sacco pieni di soldi. Non solo sarebbero diventati ricchi, ma “lu carcaluru” se ne sarebbe andato via a gambe levate. Diventati ricchi, chiaramente anche lui pretendeva la sua parte. Comunque si misero d'accordo per un trentatré per cento, considerando la quota di Ninuzza. Si, ma come fare? Non era facile, anzi molto difficile e complicato; bisognava costruire un piano e Cumpare Caccamo ce lo aveva, anche abbastanza dettagliato.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2018
Episodio 7
di Raffaele Colelli
- Sienti quai e apri li recchie - disse Caccamo rivolgendosi al frastornato Tore. - Prima cu ti ba curchi cu mujerita, stasera allu postu tua a mmintere sotta li cuperte tanti cuscini, unu retu l'auru, ca ha simbrare nu cristianu ca sta ddorme, cussì dru infame ti lu carcaluru pensa ca si tune; nui scusi sotta lu liettu ni saltamu sobbra e ni futtimu lu cappieddru cu li sordi. Ce ni piensi cumpare?
- Ma ce sacciu! Però, pensu ca bbisogna cu li prou tutte.
Qualche ora prima delle otto di sera posizionarono i cuscini nelle coperte e si nascosero sotto il letto, mentre Ninuzza andò a coricarsi al suo solito posto, con una certa apprensione. Passarono una, due, quattro, sei ore, addirittura si fece l'alba, ma dell'intruso nemmeno l'ombra. Intanto i due compari si addormentarono, svegliati dalla moglie di Tore. Ci vollero le braccia di due baldi giovanotti per tirarli fuori. Incartapecoriti dalla scomoda posizione, dal freddo e dai reumatismi. Erano incapaci di muovere addirittura le palpebre. Nonostante tutto Caccamo non si scoraggiò anzi, convinto più che mai, disse al suo amico Tore che aveva capito il perché il piano non avesse funzionato.
- Ci aggiù pinsatu tantu caru Tore e aggiù capitu piccè non è successu nienti! Piccè dru furbacchione ti lu carcaluru non se fattu itire!
- Piccene? - rispose curioso Tore.
- Picceneee! Quiddru, lu infame, è ntisu la ndore noscia sotta lu liettu. Insomma, Cumpare, si n'è accortu ti l'ingannu. Quiddru mica è fessa!
- Allora, pensu ca li fessi simu nui - ribattè Tore, mentre confuso si grattava la testa pelata.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2018
- Sienti quai e apri li recchie - disse Caccamo rivolgendosi al frastornato Tore. - Prima cu ti ba curchi cu mujerita, stasera allu postu tua a mmintere sotta li cuperte tanti cuscini, unu retu l'auru, ca ha simbrare nu cristianu ca sta ddorme, cussì dru infame ti lu carcaluru pensa ca si tune; nui scusi sotta lu liettu ni saltamu sobbra e ni futtimu lu cappieddru cu li sordi. Ce ni piensi cumpare?
- Ma ce sacciu! Però, pensu ca bbisogna cu li prou tutte.
Qualche ora prima delle otto di sera posizionarono i cuscini nelle coperte e si nascosero sotto il letto, mentre Ninuzza andò a coricarsi al suo solito posto, con una certa apprensione. Passarono una, due, quattro, sei ore, addirittura si fece l'alba, ma dell'intruso nemmeno l'ombra. Intanto i due compari si addormentarono, svegliati dalla moglie di Tore. Ci vollero le braccia di due baldi giovanotti per tirarli fuori. Incartapecoriti dalla scomoda posizione, dal freddo e dai reumatismi. Erano incapaci di muovere addirittura le palpebre. Nonostante tutto Caccamo non si scoraggiò anzi, convinto più che mai, disse al suo amico Tore che aveva capito il perché il piano non avesse funzionato.
- Ci aggiù pinsatu tantu caru Tore e aggiù capitu piccè non è successu nienti! Piccè dru furbacchione ti lu carcaluru non se fattu itire!
- Piccene? - rispose curioso Tore.
- Picceneee! Quiddru, lu infame, è ntisu la ndore noscia sotta lu liettu. Insomma, Cumpare, si n'è accortu ti l'ingannu. Quiddru mica è fessa!
- Allora, pensu ca li fessi simu nui - ribattè Tore, mentre confuso si grattava la testa pelata.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2018
Episodio 8
di Raffaele Colelli
- Jo ticia sta fiata - riprese compare Caccamo - ca na mu scunnere fore la stanza, retu lu sciardinu, retu la finescia. Lassamu li persiane appena appena perte, quannu rria iddru, saltamu ti la finescia e ni lliamu lu cappieddru!
La sera, nell'ora stabilita, i due compari presero posizione in giardino dietro la finestra socchiusa, pronti per un intervento rapido e repentino.
- Tore aggiù pinsatu - esordì Caccamo - ca siccomu face friddu e ci sape quantu a mu spittare, aggiù purtatu sta buttiglia ti vinu russu necruamaru ti l'ua mia e na fesca ti casuricotta.
- Na cumpare jo invece, aggiù pinsatu cu ti fazzu assaggiare sti pummitori scattati cullu tiaulicchiu ca è fattu mujerima Ninuzza. Sontu nu spettaculu e lu vinu sai comu ncascia - rispose Tore.
La mattina, verso le sei andò a bussare alla masseria la moglie di Caccamo.
- Cummare, cummare Ninuzza, marituma non s’è ritiratu a casa stanotte, stau cu lu pinsieri, tu sai nienti? - disse ad alta voce e quasi tremava per la paura.
- Mancu marituma s’è ritiratu, puro jo cummare mia stau preoccupata!
Li trovarono alcune ore dopo stesi tra i cardi spinosi che ronfavano come due vecchi tromboni stonati, ubriachi fradici.
PUBBLICATO NEL MARZO 2018
- Jo ticia sta fiata - riprese compare Caccamo - ca na mu scunnere fore la stanza, retu lu sciardinu, retu la finescia. Lassamu li persiane appena appena perte, quannu rria iddru, saltamu ti la finescia e ni lliamu lu cappieddru!
La sera, nell'ora stabilita, i due compari presero posizione in giardino dietro la finestra socchiusa, pronti per un intervento rapido e repentino.
- Tore aggiù pinsatu - esordì Caccamo - ca siccomu face friddu e ci sape quantu a mu spittare, aggiù purtatu sta buttiglia ti vinu russu necruamaru ti l'ua mia e na fesca ti casuricotta.
- Na cumpare jo invece, aggiù pinsatu cu ti fazzu assaggiare sti pummitori scattati cullu tiaulicchiu ca è fattu mujerima Ninuzza. Sontu nu spettaculu e lu vinu sai comu ncascia - rispose Tore.
La mattina, verso le sei andò a bussare alla masseria la moglie di Caccamo.
- Cummare, cummare Ninuzza, marituma non s’è ritiratu a casa stanotte, stau cu lu pinsieri, tu sai nienti? - disse ad alta voce e quasi tremava per la paura.
- Mancu marituma s’è ritiratu, puro jo cummare mia stau preoccupata!
Li trovarono alcune ore dopo stesi tra i cardi spinosi che ronfavano come due vecchi tromboni stonati, ubriachi fradici.
PUBBLICATO NEL MARZO 2018
Episodio 9
di Raffaele Colelli
Rassegnati i coniugi Filuni, senza più alcuna soluzione al loro problema, come se lo sgradito personaggio facesse parte della famiglia. Addirittura, appariva non solo la sera o nel cuore della notte, ma da qualche tempo, anche durante la giornata. Come quando una mattina decisero di recarsi con il loro baroccio in zona Arneo, a pochi km da Porto Cesareo, per bagnare in mare la giumenta. Per tutto il viaggio ”lu carcaluru”, seduto comodamente sulla parte posteriore del carro, con veloci e mirati sputi centrava prima la nuca di Tore e poi quella della moglie Ninuzza, non sbagliando un colpo, più preciso di una mitraglia a ripetizione. I malcapitati, costretti in un bagno fuori stagione per lavarsi da quella schifezza; il pover'uomo inoltre si prese una brutta bronchite, che lo mise una settimana a letto. Da qualche giorno per le vie del piccolo villaggio, si aggirava un fantomatico personaggio con un fantomatico furgoncino. Spilungone, si reggeva su due gambe magrissime, gesticolava muovendo come due lunghe pale di un ventilatore le sue filiforme e infinite braccia, il cappello a cilindro rosso porpora, copriva una capigliatura nera lunga e diradata. I pantaloni verde pisello, tenuti su da due grosse bretelle che riproducevano la bandiera americana, lasciando intravedere i calzini cadenti privi di elastici e la corta giacchetta arancio sul dorso nudo, quasi scheletrico. Un piccolo furgoncino su con gli anni, la targa sbiadita affidata ad un inaffidabile spago. Sulla facciata sinistra dell'automezzo il portellone mobile dipinto dai colori della bandiera statunitense, a strisce bianche e rosse con una ventina di stelle. Le restanti trenta non era riuscito a farcele entrare, visto lo spazio insufficiente.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2018
Rassegnati i coniugi Filuni, senza più alcuna soluzione al loro problema, come se lo sgradito personaggio facesse parte della famiglia. Addirittura, appariva non solo la sera o nel cuore della notte, ma da qualche tempo, anche durante la giornata. Come quando una mattina decisero di recarsi con il loro baroccio in zona Arneo, a pochi km da Porto Cesareo, per bagnare in mare la giumenta. Per tutto il viaggio ”lu carcaluru”, seduto comodamente sulla parte posteriore del carro, con veloci e mirati sputi centrava prima la nuca di Tore e poi quella della moglie Ninuzza, non sbagliando un colpo, più preciso di una mitraglia a ripetizione. I malcapitati, costretti in un bagno fuori stagione per lavarsi da quella schifezza; il pover'uomo inoltre si prese una brutta bronchite, che lo mise una settimana a letto. Da qualche giorno per le vie del piccolo villaggio, si aggirava un fantomatico personaggio con un fantomatico furgoncino. Spilungone, si reggeva su due gambe magrissime, gesticolava muovendo come due lunghe pale di un ventilatore le sue filiforme e infinite braccia, il cappello a cilindro rosso porpora, copriva una capigliatura nera lunga e diradata. I pantaloni verde pisello, tenuti su da due grosse bretelle che riproducevano la bandiera americana, lasciando intravedere i calzini cadenti privi di elastici e la corta giacchetta arancio sul dorso nudo, quasi scheletrico. Un piccolo furgoncino su con gli anni, la targa sbiadita affidata ad un inaffidabile spago. Sulla facciata sinistra dell'automezzo il portellone mobile dipinto dai colori della bandiera statunitense, a strisce bianche e rosse con una ventina di stelle. Le restanti trenta non era riuscito a farcele entrare, visto lo spazio insufficiente.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2018
Episodio 10
di Raffaele Colelli
Intorno alle quindici, il fantomatico personaggio, parcheggiò il suo allegorico furgoncino nella piazza principale, dopo aver aperto l'anta della facciata sinistra, assicurandola ad una stecca di legno tubolare. Attaccato a un grosso megafono cercava con tutta la voce che aveva in corpo di richiamare più gente possibile: - Accorrete gente di Boncore...accorrete!! Evento eccezionale! Per la prima volta, nel vostro bellissimo paese Bob l'americano, che sarei io medesimo. Vi porto direttamente dall'America, specificamente da New York, dei prodotti stupefacenti, miracolosi, le ultimissime novità. Oggi e solo oggi a prezzi irripetibili! Avvicinatevi gente, avvicinatevi, approfittatene di questa conveniente offerta - continuava a parlare, anzi a gridare in maniera sempre più convincente.
- Unguenti contro le calvizie che vi renderanno più giovani, pomate per debellare per sempre i dolori reumatici, oli per rassodare la pelle e le mammelle delle vostre donne. Pozioni miracolose per la virilità con prestazioni vigorose come a vent'anni, polveri contro il malocchio, amuleti contro lo spergiuro e bamboline di pezza con spilli e molto, molto altro... Accorrete gente, accorrete numerosi!
Intanto un centinaio di uomini occuparono la piazza, possiamo dire con convinzione: tutti i maschi del paese esclusi donne bambini e qualche vecchio invalido, seguivano attentamente e con interesse le grida del presunto venditore; in ultima fila passando da quelle parti e attirato da tutta quella gente, si era posizionato Cumpare Tore.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2018
Intorno alle quindici, il fantomatico personaggio, parcheggiò il suo allegorico furgoncino nella piazza principale, dopo aver aperto l'anta della facciata sinistra, assicurandola ad una stecca di legno tubolare. Attaccato a un grosso megafono cercava con tutta la voce che aveva in corpo di richiamare più gente possibile: - Accorrete gente di Boncore...accorrete!! Evento eccezionale! Per la prima volta, nel vostro bellissimo paese Bob l'americano, che sarei io medesimo. Vi porto direttamente dall'America, specificamente da New York, dei prodotti stupefacenti, miracolosi, le ultimissime novità. Oggi e solo oggi a prezzi irripetibili! Avvicinatevi gente, avvicinatevi, approfittatene di questa conveniente offerta - continuava a parlare, anzi a gridare in maniera sempre più convincente.
- Unguenti contro le calvizie che vi renderanno più giovani, pomate per debellare per sempre i dolori reumatici, oli per rassodare la pelle e le mammelle delle vostre donne. Pozioni miracolose per la virilità con prestazioni vigorose come a vent'anni, polveri contro il malocchio, amuleti contro lo spergiuro e bamboline di pezza con spilli e molto, molto altro... Accorrete gente, accorrete numerosi!
Intanto un centinaio di uomini occuparono la piazza, possiamo dire con convinzione: tutti i maschi del paese esclusi donne bambini e qualche vecchio invalido, seguivano attentamente e con interesse le grida del presunto venditore; in ultima fila passando da quelle parti e attirato da tutta quella gente, si era posizionato Cumpare Tore.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2018
Episodio 11
di Raffaele Colelli
Naturalmente non comprò niente, non era sua abitudine uscire con dei soldi in saccoccia. Rientrato in masseria disse a Ninuzza, per filo e per segno quello che la sera in piazza aveva visto e sentito: - Ninuzza beddhra, cera tuttu lu paese, la chiazza china ti gente. Quistu ene ti l'America, americanu ete, non aggiù capitu ti quale paese, ma inne certe cose ca mai aggiù ntisu! Tutti hannu cattatu quarche cosa e ci no tinia sordi accettava puru oe, casu, jaddrine; insomma puru roba ti mangiare - riferì entusiasta.
- Sine, sine Tore, ma nui tinimu auru a pinsare etu lu sai a cè mi sta riferiscu - rispose la moglie.
- Lu sacciu, Ninuzza, ma propriu pi quistu ta ggiù parlatu ti l'americanu. Pensu ca iddru ni pote aiutare!
- Cè taggiù dire maritu mia, pruamu cu quistu, ma ebbuenu cu sai ca quista è l'ultima!
La mattina presto, appena svegliato si recò nel centro del paese e giunto in piazza nei pressi del furgoncino, timoroso bussò sulla portiera destra del veicolo. Dopo qualche minuto, una faccia ancora assonnata fece capolino dal finestrino e lentamente lo tirò giù: - Chi è? Chi mi vuole? - domandò Bob.
- Scusatemi signuria, non sapevo che stavi durmendo, scusatemi ancora, vengo dopo - rispose imbarazzato Tore.
- Non si preoccupi signore, dimmi, dimmi pure a cosa le posso essere utile! - riprese gentilmente il venditore.
Lo fece accomodare sul sedile dell'abitacolo posteriore dell'automezzo e da lì Tore gli raccontò il suo problema.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2018
Naturalmente non comprò niente, non era sua abitudine uscire con dei soldi in saccoccia. Rientrato in masseria disse a Ninuzza, per filo e per segno quello che la sera in piazza aveva visto e sentito: - Ninuzza beddhra, cera tuttu lu paese, la chiazza china ti gente. Quistu ene ti l'America, americanu ete, non aggiù capitu ti quale paese, ma inne certe cose ca mai aggiù ntisu! Tutti hannu cattatu quarche cosa e ci no tinia sordi accettava puru oe, casu, jaddrine; insomma puru roba ti mangiare - riferì entusiasta.
- Sine, sine Tore, ma nui tinimu auru a pinsare etu lu sai a cè mi sta riferiscu - rispose la moglie.
- Lu sacciu, Ninuzza, ma propriu pi quistu ta ggiù parlatu ti l'americanu. Pensu ca iddru ni pote aiutare!
- Cè taggiù dire maritu mia, pruamu cu quistu, ma ebbuenu cu sai ca quista è l'ultima!
La mattina presto, appena svegliato si recò nel centro del paese e giunto in piazza nei pressi del furgoncino, timoroso bussò sulla portiera destra del veicolo. Dopo qualche minuto, una faccia ancora assonnata fece capolino dal finestrino e lentamente lo tirò giù: - Chi è? Chi mi vuole? - domandò Bob.
- Scusatemi signuria, non sapevo che stavi durmendo, scusatemi ancora, vengo dopo - rispose imbarazzato Tore.
- Non si preoccupi signore, dimmi, dimmi pure a cosa le posso essere utile! - riprese gentilmente il venditore.
Lo fece accomodare sul sedile dell'abitacolo posteriore dell'automezzo e da lì Tore gli raccontò il suo problema.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2018
Episodio 12
di Raffaele Colelli
A stento Bob l'americano riuscì a trattenersi dal ridere. In un primo momento gli disse che lui al massimo gli poteva vendere qualche amuleto, poi pensandoci bene capì che si presentava una buona occasione da sfruttare a suo vantaggio.
- Non c'è niente da preoccuparsi signor Tore, ci penserò io a tutto quanto, devi avere cieca fiducia, ho io quello che ti serve. Quel farabutto ha le ore contate, credimi mio caro!
La strategia era finalmente avviata. Appena dopo ripartirono con il furgoncino direzione masseria. Siccome era mattina presto, Bob l'americano non aveva fatto ancora colazione, una volta giunti al casolare, Ninuzza, sot to suggerimento di suo marito, preparò una ricca vettovaglia per l'ospite, servito e riverito. Sul tavolo tondo della grande cucina con il soffitto a botte, una bellissima tovaglia a rintaglio, avuta in dote per il suo matrimonio: formaggio e latte fresco, uova sode, salame di suino fatto in casa, olive nere cilene e della marmellata di fichi neri e cotogne. Si stavano svenando. Senza tanti complimenti l'uomo mangiò tutto quanto, con gusto e con tanta fame, come se non avesse visto cibo per chissà quanto tempo e sfacciatamente si prenotò per il pranzo, ormai che c'era...
- Bene signori, a parte la colazione buonissima e abbondante, vi informo certamente che ho i mezzi e la competenza di risolvere questo vostro problema che vi rende la vita così difficile, ma dovete fare tutto quello che vi dico e che vi chiedo. Nessuno deve sapere niente, mi raccomando, nessuno - disse il venditore - con la pancia ancora piena …
- Signore tu tinne a noi altri comu dobbiamo fare e si face. No ti preoccupare, basta ca ni cacciamu pi sempre dru sanguisuca ti lu carcaluru - rispose Tore convinto.
- Bene per prima cosa vorrei vedere la vostra camera da letto, per rendermi conto della strategia da prendere!
Visionata la stanza, decise di posizionare diverse candele accese con diverse intensità di profumo in diversi punti del pavimento.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2018
A stento Bob l'americano riuscì a trattenersi dal ridere. In un primo momento gli disse che lui al massimo gli poteva vendere qualche amuleto, poi pensandoci bene capì che si presentava una buona occasione da sfruttare a suo vantaggio.
- Non c'è niente da preoccuparsi signor Tore, ci penserò io a tutto quanto, devi avere cieca fiducia, ho io quello che ti serve. Quel farabutto ha le ore contate, credimi mio caro!
La strategia era finalmente avviata. Appena dopo ripartirono con il furgoncino direzione masseria. Siccome era mattina presto, Bob l'americano non aveva fatto ancora colazione, una volta giunti al casolare, Ninuzza, sot to suggerimento di suo marito, preparò una ricca vettovaglia per l'ospite, servito e riverito. Sul tavolo tondo della grande cucina con il soffitto a botte, una bellissima tovaglia a rintaglio, avuta in dote per il suo matrimonio: formaggio e latte fresco, uova sode, salame di suino fatto in casa, olive nere cilene e della marmellata di fichi neri e cotogne. Si stavano svenando. Senza tanti complimenti l'uomo mangiò tutto quanto, con gusto e con tanta fame, come se non avesse visto cibo per chissà quanto tempo e sfacciatamente si prenotò per il pranzo, ormai che c'era...
- Bene signori, a parte la colazione buonissima e abbondante, vi informo certamente che ho i mezzi e la competenza di risolvere questo vostro problema che vi rende la vita così difficile, ma dovete fare tutto quello che vi dico e che vi chiedo. Nessuno deve sapere niente, mi raccomando, nessuno - disse il venditore - con la pancia ancora piena …
- Signore tu tinne a noi altri comu dobbiamo fare e si face. No ti preoccupare, basta ca ni cacciamu pi sempre dru sanguisuca ti lu carcaluru - rispose Tore convinto.
- Bene per prima cosa vorrei vedere la vostra camera da letto, per rendermi conto della strategia da prendere!
Visionata la stanza, decise di posizionare diverse candele accese con diverse intensità di profumo in diversi punti del pavimento.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2018
Episodio 13
di Raffaele Colelli
Questa è solo la prima parte del programma, quindi per questa sera vi consiglierei di andare a dormire in un'altra stanza; il profumo delle candele servirà a purificare l'aria inquinata. Sino domani all'alba nessuno può metterci piede altrimenti sarà tutto inutile - spiegò Bob ai poveri e malcapitati coniugi. Per pranzo Ninuzza pensò bene di preparare ncannulate e polpette al sugo, involtini, mbrujatieddhri di agnello alla brace con contorno di cime di rape nfucate, fichi freschi per frutta. Come dolce torta pasticciotto, tutto accompagnato da negro amaro, vino rosso profumato dalle vigne di Tore Filuni, sperando che all'ospite fosse tutto gradito, tanto da restare anche per cena. Cenato, il furbacchione presentò ai coniugi Filuni il conto delle dieci candele per la somma totale e scontata, vista la loro calorosa ospitalità. Di trenta lire, ringraziando, si ritirò soddisfatto nel suo camioncino, con la promessa che si sarebbero rivisti l'indomani mattina. Consumate le candele, pensava Bob l'americano, si doveva passare, ma con molta calma nella fase successiva.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2018
Questa è solo la prima parte del programma, quindi per questa sera vi consiglierei di andare a dormire in un'altra stanza; il profumo delle candele servirà a purificare l'aria inquinata. Sino domani all'alba nessuno può metterci piede altrimenti sarà tutto inutile - spiegò Bob ai poveri e malcapitati coniugi. Per pranzo Ninuzza pensò bene di preparare ncannulate e polpette al sugo, involtini, mbrujatieddhri di agnello alla brace con contorno di cime di rape nfucate, fichi freschi per frutta. Come dolce torta pasticciotto, tutto accompagnato da negro amaro, vino rosso profumato dalle vigne di Tore Filuni, sperando che all'ospite fosse tutto gradito, tanto da restare anche per cena. Cenato, il furbacchione presentò ai coniugi Filuni il conto delle dieci candele per la somma totale e scontata, vista la loro calorosa ospitalità. Di trenta lire, ringraziando, si ritirò soddisfatto nel suo camioncino, con la promessa che si sarebbero rivisti l'indomani mattina. Consumate le candele, pensava Bob l'americano, si doveva passare, ma con molta calma nella fase successiva.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2018
Episodio 14
di Raffaele Colelli
- Abbiamo purificato la stanza - disse rivolgendosi a Tore e sua moglie. - Se respirate a pieni polmoni sentirete che l'aria è più fine, più fresca!
- Avoglia cu stu friddu, stae tuttu piertu, porte e finesce … - rispose abbastanza infastidita Ninuzza.
- Ma cè dici mujere mia, no sta sienti cè bbeddra aria ncete intra sta stanza- ribattè convinto Tore.
- Adesso signori dovremo passare alla seconda fase, che consiste di mettere appena fuori la porta della vostra abitazione, tre braciere a fuoco vivo, distanti dieci passi una dall'altra. Poi, ogni mezz'ora - continuava a spiegare l'impostore - butteremo in ognuna della polvere magica, che altro non era che della macinata di ceci secchi; quando la fiamma sprigionerà delle scroscianti scintille dirò delle preghiere che voi ripeterete. Tutto dovrà finire quando il fuoco delle braciere si spegnerà. Servirà tutto questo per creare una invisibile barriera, così da impedire alla carogna di entrare nelle vostre stanze. Le braciere si spensero dopo circa tre ore, intorno alle ventidue, ma si accese la fame del finto stregone, che per placare i crampi allo stomaco fece preparare dalla povera Ninuzza una gigantesca grigliata con salsicce di suino al peperoncino ed aromi vari, visto che tanta brace ardeva inutilmente nel camino. Dopo cena, come al solito, presentò il conto del servizio delle braciere, anche questa volta con un drastico sconto per via della grigliata di salsicce: diciamo si accontentava solo di venticinque lire! La situazione a questo punto si faceva tremendamente sospettosa …
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2018
- Abbiamo purificato la stanza - disse rivolgendosi a Tore e sua moglie. - Se respirate a pieni polmoni sentirete che l'aria è più fine, più fresca!
- Avoglia cu stu friddu, stae tuttu piertu, porte e finesce … - rispose abbastanza infastidita Ninuzza.
- Ma cè dici mujere mia, no sta sienti cè bbeddra aria ncete intra sta stanza- ribattè convinto Tore.
- Adesso signori dovremo passare alla seconda fase, che consiste di mettere appena fuori la porta della vostra abitazione, tre braciere a fuoco vivo, distanti dieci passi una dall'altra. Poi, ogni mezz'ora - continuava a spiegare l'impostore - butteremo in ognuna della polvere magica, che altro non era che della macinata di ceci secchi; quando la fiamma sprigionerà delle scroscianti scintille dirò delle preghiere che voi ripeterete. Tutto dovrà finire quando il fuoco delle braciere si spegnerà. Servirà tutto questo per creare una invisibile barriera, così da impedire alla carogna di entrare nelle vostre stanze. Le braciere si spensero dopo circa tre ore, intorno alle ventidue, ma si accese la fame del finto stregone, che per placare i crampi allo stomaco fece preparare dalla povera Ninuzza una gigantesca grigliata con salsicce di suino al peperoncino ed aromi vari, visto che tanta brace ardeva inutilmente nel camino. Dopo cena, come al solito, presentò il conto del servizio delle braciere, anche questa volta con un drastico sconto per via della grigliata di salsicce: diciamo si accontentava solo di venticinque lire! La situazione a questo punto si faceva tremendamente sospettosa …
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2018
Episodio 15
di Raffaele Colelli
Tore e sua moglie vedevano infoltiti i loro risparmi e ancor di più le loro riserve di vivande, così come la cantina presentava molti spazi vuoti. Questo perchè, ogni qualvolta Bob dava licenza, dalla masseria partiva carico di tutto quel ben di Dio che i due contadini premurosamente avevano stipato per l'inverno. Non solo tremendamente raggirati, la faccenda era più grave: erano totalmente dipendenti dalla volontà del loro aguzzino, succubi di una forma estrema di plagio.
- Pensu Ninuzza ca stu cristianu, ni sta pia pi fessa, ni sta approfitta. Lu fattu ete ca quannu parla mi confonde e non riescu cu dicu na sula parola, fazzu tuttu quiddru ca tice, ma no sacciù forse mi sta sbagliu, però stu fattu mi stà costa na bbona cosa sia a sordi ca a robba ti mangiare - disse Tore rivolgendosi a sua moglie.
- Sine Tore jo la pensu comu a te e mi sta preoccupu! Jo ticia cu sciamu allu bricatieri e ni ticimu tuttu, puru cu sapimu cè ni pensa, ete sempre na autorità - rispose decisa Ninuzza.
La mattina prima di mezzogiorno, Bob si presentò dai Filuni, per mettere in atto il terzo, ma non ultimo stratagemma del programma, dopo aver chiaramente consumato l'abbondante e succulento pranzo domenicale: lasagna di pasta riccia farcita con polpettine, formaggio e uova sode, tutto condito con una densa salsa di pomodori freschi, braciole di carne con menta e aglio, torta di ricotta e crema, che al venditore senza scrupoli piaceva da morire.
PUBBLICATO NELL' OTTOBRE 2018
Tore e sua moglie vedevano infoltiti i loro risparmi e ancor di più le loro riserve di vivande, così come la cantina presentava molti spazi vuoti. Questo perchè, ogni qualvolta Bob dava licenza, dalla masseria partiva carico di tutto quel ben di Dio che i due contadini premurosamente avevano stipato per l'inverno. Non solo tremendamente raggirati, la faccenda era più grave: erano totalmente dipendenti dalla volontà del loro aguzzino, succubi di una forma estrema di plagio.
- Pensu Ninuzza ca stu cristianu, ni sta pia pi fessa, ni sta approfitta. Lu fattu ete ca quannu parla mi confonde e non riescu cu dicu na sula parola, fazzu tuttu quiddru ca tice, ma no sacciù forse mi sta sbagliu, però stu fattu mi stà costa na bbona cosa sia a sordi ca a robba ti mangiare - disse Tore rivolgendosi a sua moglie.
- Sine Tore jo la pensu comu a te e mi sta preoccupu! Jo ticia cu sciamu allu bricatieri e ni ticimu tuttu, puru cu sapimu cè ni pensa, ete sempre na autorità - rispose decisa Ninuzza.
La mattina prima di mezzogiorno, Bob si presentò dai Filuni, per mettere in atto il terzo, ma non ultimo stratagemma del programma, dopo aver chiaramente consumato l'abbondante e succulento pranzo domenicale: lasagna di pasta riccia farcita con polpettine, formaggio e uova sode, tutto condito con una densa salsa di pomodori freschi, braciole di carne con menta e aglio, torta di ricotta e crema, che al venditore senza scrupoli piaceva da morire.
PUBBLICATO NELL' OTTOBRE 2018
Episodio 16
di Raffaele Colelli
Sorseggiando un bicchierone colmo di negro amaro, espose il suo terzo piano: - Questa volta dobbiamo cercare di disorientare il vostro intruso - spiegava mentre si scolava l'ultimo goccio di vino. - Dovremo cambiare, anzi dovrete cambiare la posizione di tutti i mobili delle vostre stanze della masseria. Io con un apparecchio molto sofisticato e costoso che arriva direttamente dall'America, detto bussola, vi indicherò esattamente dove voi collocherete tutti i mobili. L'intervento durò all'incirca sei ore: dalle due del pomeriggio alle otto di sera! Il povero Tore e sua moglie Ninuzza, ormai allo stremo delle forze si accasciarono, uno sopra all'altro sul tappeto della cucina, così sudati che un acquazzone estivo sembrava li avesse presi alla sprovvista. Bob non mostrava alcuna preoccupazione: per non disturbarli, scese in cantina con due enormi fette di pane, ci spalmò della ricotta piccante (ricotta scante) delle acciughe sott'olio, un po' di peperoncino e dei peperoni verdi all'aceto, un buon bicchiere di vino e si mise comodo, sino a quando non ebbe consumato l''ultima briciola e l'ultimo goccio. Ormai in dispensa, pensò bene di riempire un ampio cesto di tutte quelle buone cose. Risalito in cucina vide i due coniugi ancora esamini, a bocca aperta per aspirare più ossigeno possibile con gli occhi, cerchi fuori orbita, ed i volti bianchi che si intonavano perfettamente ai muri a calce della stanza.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018
Sorseggiando un bicchierone colmo di negro amaro, espose il suo terzo piano: - Questa volta dobbiamo cercare di disorientare il vostro intruso - spiegava mentre si scolava l'ultimo goccio di vino. - Dovremo cambiare, anzi dovrete cambiare la posizione di tutti i mobili delle vostre stanze della masseria. Io con un apparecchio molto sofisticato e costoso che arriva direttamente dall'America, detto bussola, vi indicherò esattamente dove voi collocherete tutti i mobili. L'intervento durò all'incirca sei ore: dalle due del pomeriggio alle otto di sera! Il povero Tore e sua moglie Ninuzza, ormai allo stremo delle forze si accasciarono, uno sopra all'altro sul tappeto della cucina, così sudati che un acquazzone estivo sembrava li avesse presi alla sprovvista. Bob non mostrava alcuna preoccupazione: per non disturbarli, scese in cantina con due enormi fette di pane, ci spalmò della ricotta piccante (ricotta scante) delle acciughe sott'olio, un po' di peperoncino e dei peperoni verdi all'aceto, un buon bicchiere di vino e si mise comodo, sino a quando non ebbe consumato l''ultima briciola e l'ultimo goccio. Ormai in dispensa, pensò bene di riempire un ampio cesto di tutte quelle buone cose. Risalito in cucina vide i due coniugi ancora esamini, a bocca aperta per aspirare più ossigeno possibile con gli occhi, cerchi fuori orbita, ed i volti bianchi che si intonavano perfettamente ai muri a calce della stanza.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2018
Episodio 17
di Raffaele Colelli
- Non vi preoccupate, restate pure comodi! Senza darvi disturbo mi sono permesso di prendere qualcosa dalla cantina, diciamo il giusto necessario; comunque signori abbiamo fatto un ottimo lavoro, non rimane altro che adempiere ad un irrilevante quanto meschino particolare: avrei compilato in fretta e furia la mia parcella, come sempre ridotta ai minimi termini per la vostra gentilezza e disponibilità: tutto compreso chiaramente, anche l'uso della bussola, verrebbe solo cinquanta lire!
In un mese e mezzo si susseguirono numerosi altri interventi da parte del millantatore, così come numerosi furono gli approvvigionamenti abusivi delle vivande dalla cantina e ancora più numerose le somme di denaro raggirate. Una mattina, come tutte le mattine, si presentò nella proprietà di Tore per esporre l’ennesima strategia contro l'essere indemoniato. Salito in cucina vide i due coniugi stravolti dalla disperazione.
- Nienti no tinimu cchiui nienti, né sordi né mangiare, mancu uecchi cu chiangimu, simu rovinati, simu disperati, ne rimasta sulu sta buttija ti vinu e sta fesca ti ricotta salata e nienti cchiui - disse sconvolto Tore, mentre alzava vibrando le braccia al cielo.
- Non vi preoccupate signori, il vino e la ricotta vanno benissimo - Così, senza tanti scrupoli, prese la poca merce a disposizione e cinicamente andò via, senza farsi vedere mai più.
Nelle prime ore del pomeriggio, dopo una profonda depressione, come intorpiditi Tore e la Ninuzza, si svegliarono. Non si rendevano ancora conto se tutto fosse stato solo un brutto sogno o la cruda realtà.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2018
- Non vi preoccupate, restate pure comodi! Senza darvi disturbo mi sono permesso di prendere qualcosa dalla cantina, diciamo il giusto necessario; comunque signori abbiamo fatto un ottimo lavoro, non rimane altro che adempiere ad un irrilevante quanto meschino particolare: avrei compilato in fretta e furia la mia parcella, come sempre ridotta ai minimi termini per la vostra gentilezza e disponibilità: tutto compreso chiaramente, anche l'uso della bussola, verrebbe solo cinquanta lire!
In un mese e mezzo si susseguirono numerosi altri interventi da parte del millantatore, così come numerosi furono gli approvvigionamenti abusivi delle vivande dalla cantina e ancora più numerose le somme di denaro raggirate. Una mattina, come tutte le mattine, si presentò nella proprietà di Tore per esporre l’ennesima strategia contro l'essere indemoniato. Salito in cucina vide i due coniugi stravolti dalla disperazione.
- Nienti no tinimu cchiui nienti, né sordi né mangiare, mancu uecchi cu chiangimu, simu rovinati, simu disperati, ne rimasta sulu sta buttija ti vinu e sta fesca ti ricotta salata e nienti cchiui - disse sconvolto Tore, mentre alzava vibrando le braccia al cielo.
- Non vi preoccupate signori, il vino e la ricotta vanno benissimo - Così, senza tanti scrupoli, prese la poca merce a disposizione e cinicamente andò via, senza farsi vedere mai più.
Nelle prime ore del pomeriggio, dopo una profonda depressione, come intorpiditi Tore e la Ninuzza, si svegliarono. Non si rendevano ancora conto se tutto fosse stato solo un brutto sogno o la cruda realtà.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2018
Episodio 18
di Raffaele Colelli
Dopo qualche ora, misero a fuoco che tutto fosse accaduto per davvero e Ninuzza cominciò a correre come una pazza, alzandosi la vaporosa gonna per non inciampare, gridando a squarcia gola per tutte le vie del paese.
- Latru, latru firmati lu latru, ne rrubbati tutti li sordi e la rrobba noscia, firmatilu, firmatilu!
Del furgoncino e del suo padrone più alcuna traccia, come dal nulla era arrivato, così dal nulla era andato via, volatilizzato. Gli abitanti del paese, assistettero sbigottiti, ma anche divertiti alle isterie della povera donna. Da lì a poco tutti nel paese, compresi donne, bambini e invalidi, seppero del fattaccio accaduto ai coniugi Filuni. Chiaramente divenne motivo di pettegolezzo, di scherno e di sfottò, specialmente da parte dei più giovani, i quali in prossimità del portone della masseria, cantavano ad alta voce stornelli rimati:
- Ulì cu nnì manni lu carcaluru e la ti pijata intra lu culu!
- A ti chiamatu l'americanu e intra nna botta be futtuti sia li sordi, ca lu vinu, ca lu casu ricotta!
- Moi no tiniti cchiui nu sordu! Annu fattu bbuenu, quantu jeri ngordiu!
- Non aprire la occa, ca ti parinu l’intrame, ca sanu torte pi la fame!
Tore, stizzito cercava di rincorrerli con un lungo forcone, per disperderli, ma quei ragazzi erano troppo veloci per un vecchio come lui. Ninuzza quella sera non tornò a casa: preoccupato suo marito si mise a cercarla in tutti i casolari abbandonati delle campagne vicine, ma niente da fare. Stanco decise di far ritorno alla masseria. Appena nella sua stanza da letto, incredulo, notò che tutte le tende sulle porte, i lenzuoli e le coperte del letto, erano ridotte a brandelli.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2019
Dopo qualche ora, misero a fuoco che tutto fosse accaduto per davvero e Ninuzza cominciò a correre come una pazza, alzandosi la vaporosa gonna per non inciampare, gridando a squarcia gola per tutte le vie del paese.
- Latru, latru firmati lu latru, ne rrubbati tutti li sordi e la rrobba noscia, firmatilu, firmatilu!
Del furgoncino e del suo padrone più alcuna traccia, come dal nulla era arrivato, così dal nulla era andato via, volatilizzato. Gli abitanti del paese, assistettero sbigottiti, ma anche divertiti alle isterie della povera donna. Da lì a poco tutti nel paese, compresi donne, bambini e invalidi, seppero del fattaccio accaduto ai coniugi Filuni. Chiaramente divenne motivo di pettegolezzo, di scherno e di sfottò, specialmente da parte dei più giovani, i quali in prossimità del portone della masseria, cantavano ad alta voce stornelli rimati:
- Ulì cu nnì manni lu carcaluru e la ti pijata intra lu culu!
- A ti chiamatu l'americanu e intra nna botta be futtuti sia li sordi, ca lu vinu, ca lu casu ricotta!
- Moi no tiniti cchiui nu sordu! Annu fattu bbuenu, quantu jeri ngordiu!
- Non aprire la occa, ca ti parinu l’intrame, ca sanu torte pi la fame!
Tore, stizzito cercava di rincorrerli con un lungo forcone, per disperderli, ma quei ragazzi erano troppo veloci per un vecchio come lui. Ninuzza quella sera non tornò a casa: preoccupato suo marito si mise a cercarla in tutti i casolari abbandonati delle campagne vicine, ma niente da fare. Stanco decise di far ritorno alla masseria. Appena nella sua stanza da letto, incredulo, notò che tutte le tende sulle porte, i lenzuoli e le coperte del letto, erano ridotte a brandelli.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2019
Episodio 19
di Raffaele Colelli
Da subito Tore sapeva che la colpa di tutto quello scempio era senza alcun dubbio di quel farabutto del carcaluru, ma non si sarebbe mai aspettato una tale reazione, dettata più dalla rabbia, che dal solito dispetto. Si lasciò cadere esausto sul vecchio letto, senza prendere sonno, non solo preoccupato per sua moglie, ma anche per colpa di alcuni filamenti spinosi che bucando il materasso imbottito di paglia e ormai privo di lenzuola, si conficcavano nella spalla del povero contadino, procurandogli un dolore insopportabile. In penombra intravide, al posto dove di solito dormiva Ninuzza, una piccola sagoma, che gli dava le spalle. In un primo momento non riuscì a capire cosa fosse, per via della poca luce; quella sera anche la luna non si era presentata, ma osservando più attentamente vide un omino con un enorme capello a cono che dormiva, dal respiro assai pesante. Tore, senza pensarci su, balzò come un felino su quello strano essere, strappandogli letteralmente e in un attimo, l'enorme cappello. Senza il suo copricapo si sentiva vulnerabile, totalmente calvo: un enorme bernoccolo gli chiudeva gran parte dell'occhio destro, privo completamente di tutte e due le orecchie. Si mise a saltare sul materasso schiamazzando e con le braccia protese verso il padrone di casa, faceva intuire chiaramente di pretendere indietro quello che era suo.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2019
Da subito Tore sapeva che la colpa di tutto quello scempio era senza alcun dubbio di quel farabutto del carcaluru, ma non si sarebbe mai aspettato una tale reazione, dettata più dalla rabbia, che dal solito dispetto. Si lasciò cadere esausto sul vecchio letto, senza prendere sonno, non solo preoccupato per sua moglie, ma anche per colpa di alcuni filamenti spinosi che bucando il materasso imbottito di paglia e ormai privo di lenzuola, si conficcavano nella spalla del povero contadino, procurandogli un dolore insopportabile. In penombra intravide, al posto dove di solito dormiva Ninuzza, una piccola sagoma, che gli dava le spalle. In un primo momento non riuscì a capire cosa fosse, per via della poca luce; quella sera anche la luna non si era presentata, ma osservando più attentamente vide un omino con un enorme capello a cono che dormiva, dal respiro assai pesante. Tore, senza pensarci su, balzò come un felino su quello strano essere, strappandogli letteralmente e in un attimo, l'enorme cappello. Senza il suo copricapo si sentiva vulnerabile, totalmente calvo: un enorme bernoccolo gli chiudeva gran parte dell'occhio destro, privo completamente di tutte e due le orecchie. Si mise a saltare sul materasso schiamazzando e con le braccia protese verso il padrone di casa, faceva intuire chiaramente di pretendere indietro quello che era suo.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2019
Episodio 20
di Raffaele Colelli
- Mamma mia bbeddra cè ssi bruttu - disse Tore facendosi la croce con la mano destra, mentre con la sinistra teneva stretto l'enorme cappello nero. - È inutile ca salti e ca rasci comu na mita. Lu cappieddru no ti lu tau, ma se propriu ci tieni sai cè mma dare -continuò con un tono di sfida. L'essere immondo con un grande salto uscì fuori dalla stanza per la buia campagna: dopo alcuni minuti, caricò sulle spalle un pesante sacco stracolmo di monete d'oro, lo porse a Tore e riprendendosi il suo cappello nero si dileguò. L'uomo non credeva ai suoi occhi, con le mani infilate nel sacco pieno di soldi, non sapeva se ridere o piangere, in una gioia mista a pianto. Dopo tanta disperazione e umiliazione finalmente si sentiva sollevato, come rinato, un altro uomo, un uomo ricco. Ora bisognava dare la bella notizia alla moglie. Sì, ma come fare, non se la sentiva di lasciare il sacco in casa per andarla a cercare. Avrebbe così rischiato di offrire l'opportunità a quel furbacchione del carcaluru di riprendersi il malloppo. Decise di ritornare a cercare Ninuzza, ma in compagnia del pesante sacco; non si fidava assolutamente di lasciarlo incustodito. Mancavano poche ore all'alba, camminava a fatica e con difficoltà per via del peso che trascinava. Ogni trenta quaranta passi si fermava per riposarsi e prendere fiato.
- Ninuzza, Ninuzza - urlava Tore, per le viuzze di campagna, come anche per i vecchi e abbandonati casolari, a squarcia gola, alternando lunghe pause, chiamava sua moglie. Ma niente, niente di niente. Prima che facesse giorno cercò riparo in quello che restava di una stalla: stremato si adagiò su della paglia umida e abbracciato al sacco colmo di monete d'oro, chiuse gli occhi beatamente.
PUBBLICATO NEL MARZO 2019
- Mamma mia bbeddra cè ssi bruttu - disse Tore facendosi la croce con la mano destra, mentre con la sinistra teneva stretto l'enorme cappello nero. - È inutile ca salti e ca rasci comu na mita. Lu cappieddru no ti lu tau, ma se propriu ci tieni sai cè mma dare -continuò con un tono di sfida. L'essere immondo con un grande salto uscì fuori dalla stanza per la buia campagna: dopo alcuni minuti, caricò sulle spalle un pesante sacco stracolmo di monete d'oro, lo porse a Tore e riprendendosi il suo cappello nero si dileguò. L'uomo non credeva ai suoi occhi, con le mani infilate nel sacco pieno di soldi, non sapeva se ridere o piangere, in una gioia mista a pianto. Dopo tanta disperazione e umiliazione finalmente si sentiva sollevato, come rinato, un altro uomo, un uomo ricco. Ora bisognava dare la bella notizia alla moglie. Sì, ma come fare, non se la sentiva di lasciare il sacco in casa per andarla a cercare. Avrebbe così rischiato di offrire l'opportunità a quel furbacchione del carcaluru di riprendersi il malloppo. Decise di ritornare a cercare Ninuzza, ma in compagnia del pesante sacco; non si fidava assolutamente di lasciarlo incustodito. Mancavano poche ore all'alba, camminava a fatica e con difficoltà per via del peso che trascinava. Ogni trenta quaranta passi si fermava per riposarsi e prendere fiato.
- Ninuzza, Ninuzza - urlava Tore, per le viuzze di campagna, come anche per i vecchi e abbandonati casolari, a squarcia gola, alternando lunghe pause, chiamava sua moglie. Ma niente, niente di niente. Prima che facesse giorno cercò riparo in quello che restava di una stalla: stremato si adagiò su della paglia umida e abbracciato al sacco colmo di monete d'oro, chiuse gli occhi beatamente.
PUBBLICATO NEL MARZO 2019
Episodio 21
di Raffaele Colelli
Il belare delle pecore di un gregge, che passava da lì, lo svegliarono. Tore, ancora mezzo assonnato, riprese la sua ricerca aggrappandosi morbosamente al suo prezioso bagaglio. Poco dopo, giunto nel paesino, si introdusse sino alla piazza e siccome era giorno di mercato, c'era tanta gente, diciamo pure, tutti i suoi compaesani nessuno escluso: donne, bambini, vecchi e anche invalidi. Tore tra le bancarelle mollò per terra il suo pesante carico, sporco, sudato, assonnato e tanto, tanto stanco. Ad un certo punto con le ultime forze restanti si mise a chiamare sua moglie: - Ninuzza, Ninuzza addò stai? Ninuzza! - Tutti quanti i presenti lo guardarono stupiti, sorpresi e confusi. Dalla finestra del sottotetto di una minuscola abitazione si affacciò Ninuzza: - Tore, Tore a quai stau, sta bbegnu! Aspettame! - Ma proprio quando Tore pensava di riprendersi il sacco e portarselo sulle spalle, questo si ruppe inesorabilmente. Tutte le monete d'oro si riversarono sul pavimento della piazza, molte di loro rotolarono senza controllo in diverse direzioni. Potete immaginare, o forse no, quello che successe in quel preciso momento, in quel luogo sperduto della terra.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2019
Il belare delle pecore di un gregge, che passava da lì, lo svegliarono. Tore, ancora mezzo assonnato, riprese la sua ricerca aggrappandosi morbosamente al suo prezioso bagaglio. Poco dopo, giunto nel paesino, si introdusse sino alla piazza e siccome era giorno di mercato, c'era tanta gente, diciamo pure, tutti i suoi compaesani nessuno escluso: donne, bambini, vecchi e anche invalidi. Tore tra le bancarelle mollò per terra il suo pesante carico, sporco, sudato, assonnato e tanto, tanto stanco. Ad un certo punto con le ultime forze restanti si mise a chiamare sua moglie: - Ninuzza, Ninuzza addò stai? Ninuzza! - Tutti quanti i presenti lo guardarono stupiti, sorpresi e confusi. Dalla finestra del sottotetto di una minuscola abitazione si affacciò Ninuzza: - Tore, Tore a quai stau, sta bbegnu! Aspettame! - Ma proprio quando Tore pensava di riprendersi il sacco e portarselo sulle spalle, questo si ruppe inesorabilmente. Tutte le monete d'oro si riversarono sul pavimento della piazza, molte di loro rotolarono senza controllo in diverse direzioni. Potete immaginare, o forse no, quello che successe in quel preciso momento, in quel luogo sperduto della terra.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2019
Episodio 22
di Raffaele Colelli
Un'ammucchiata gigantesca, pazzesca: tutti ma proprio tutti, donne, bambini, vecchi e invalidi compresi, letteralmente si tuffarono in quel che, inaspettatamente, la provvidenza stava offrendo loro... Arraffarono più monetine possibili mettendo in atto i mezzi più impensabili come morsi, pedate in faccia e non solo, gomitate, spintoni, ma anche calci, sputi e addirittura, in qualche caso, dei sonori e risolutivi spiaccicati pugni. Le donne ingrassarono i loro seni riempendoli di monete, gli uomini gonfiavano le grandi tasche e anche le loro mutande, dando l'impressione di essere diventati, all'improvviso, superdotati. Mentre gli invalidi si destreggiavano così bene tra la folla e in mezzo a quell'imbriglio di gambe, che sembrava fossero stati miracolati dal santo protettore del paese. Purtroppo, più passavano le ore e più ingrossava e si espandeva l'ammucchiata. Altre persone, arrivate da ogni parte, andarono ad infoltirla. In pochissimo tempo la notizia si propagò per tutti gli abitanti dei comuni vicini: da Porto Cesareo a San Pancrazio, Leverano e Copertino, sino ad arrivare al comune di Carmiano. Il povero Tore abbracciato a sua moglie Ninuzza, quasi soffocava sotto quella montana di corpi avidi, muovendo la testa per cercare una posizione più comoda. Per respirare alzò gli occhi su e intravide sul cornicione di un vecchio balcone, un omino con il grande cappello che muovendo ritmicamente le corte braccia con le altrettante corte gambe, si spiccicava dalle risate.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2019
Un'ammucchiata gigantesca, pazzesca: tutti ma proprio tutti, donne, bambini, vecchi e invalidi compresi, letteralmente si tuffarono in quel che, inaspettatamente, la provvidenza stava offrendo loro... Arraffarono più monetine possibili mettendo in atto i mezzi più impensabili come morsi, pedate in faccia e non solo, gomitate, spintoni, ma anche calci, sputi e addirittura, in qualche caso, dei sonori e risolutivi spiaccicati pugni. Le donne ingrassarono i loro seni riempendoli di monete, gli uomini gonfiavano le grandi tasche e anche le loro mutande, dando l'impressione di essere diventati, all'improvviso, superdotati. Mentre gli invalidi si destreggiavano così bene tra la folla e in mezzo a quell'imbriglio di gambe, che sembrava fossero stati miracolati dal santo protettore del paese. Purtroppo, più passavano le ore e più ingrossava e si espandeva l'ammucchiata. Altre persone, arrivate da ogni parte, andarono ad infoltirla. In pochissimo tempo la notizia si propagò per tutti gli abitanti dei comuni vicini: da Porto Cesareo a San Pancrazio, Leverano e Copertino, sino ad arrivare al comune di Carmiano. Il povero Tore abbracciato a sua moglie Ninuzza, quasi soffocava sotto quella montana di corpi avidi, muovendo la testa per cercare una posizione più comoda. Per respirare alzò gli occhi su e intravide sul cornicione di un vecchio balcone, un omino con il grande cappello che muovendo ritmicamente le corte braccia con le altrettante corte gambe, si spiccicava dalle risate.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2019
Episodio 23
di Raffaele Colelli
Verso sera, quasi tutti gli abitanti di Boncore avevano avuto, chi più, chi meno, la propria parte di bottino. Contenti e felici vollero ringraziare i propri benefattori: caricarono sulle spalle il povero Tore e sua moglie Ninuzza, con una sfrenata corsa li issarono, come due santi protettori, per tutte le vie del paese, mentre la gente al loro passaggio batteva fragorosamente le mani, svolazzando i propri fazzoletti, distribuendo energici baci; ma non finì lì. La festa si protrasse per altri due giorni, per la disperazione dei coniugi Filuni, sballottati in tutte le direzioni, quando l'unico desiderio era quello di restare soli e piangersi addosso. Con i soldi letteralmente raccolti in piazza, dal sacco della buona sorte, tutti gli abitanti di Boncore organizzarono una delle feste popolari più belle di sempre, per ringraziare il grande cuore del povero Tore. Le vie del paesino addobbate da variopinte luminarie, la chiesa dai fiori più belli e profumati. Ambulanti occupavano la piazza principale con le loro bancarelle di prodotti tipici. Tra questi, non poteva mancare la scapece, che altro non era del piccolo pesce fritto e stipato in enormi barili di legno, ricoperti con mollica di pane e aceto rosso paesano.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019
Verso sera, quasi tutti gli abitanti di Boncore avevano avuto, chi più, chi meno, la propria parte di bottino. Contenti e felici vollero ringraziare i propri benefattori: caricarono sulle spalle il povero Tore e sua moglie Ninuzza, con una sfrenata corsa li issarono, come due santi protettori, per tutte le vie del paese, mentre la gente al loro passaggio batteva fragorosamente le mani, svolazzando i propri fazzoletti, distribuendo energici baci; ma non finì lì. La festa si protrasse per altri due giorni, per la disperazione dei coniugi Filuni, sballottati in tutte le direzioni, quando l'unico desiderio era quello di restare soli e piangersi addosso. Con i soldi letteralmente raccolti in piazza, dal sacco della buona sorte, tutti gli abitanti di Boncore organizzarono una delle feste popolari più belle di sempre, per ringraziare il grande cuore del povero Tore. Le vie del paesino addobbate da variopinte luminarie, la chiesa dai fiori più belli e profumati. Ambulanti occupavano la piazza principale con le loro bancarelle di prodotti tipici. Tra questi, non poteva mancare la scapece, che altro non era del piccolo pesce fritto e stipato in enormi barili di legno, ricoperti con mollica di pane e aceto rosso paesano.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2019
Episodio 24
di Raffaele Colelli
Le bottiglie impagliate di vino rosso Negromaro, in bella mostra su dei lunghi tavoli, pronte a essere stappate, fichi secchi in recipienti di terracotta, così come i dolcetti di pasta di mandorla e gli immancabili dolci mostacciuoli con cioccolato e cannella, marmellate di mele cotogne e piccoli vasetti di dolcissimo miele. I formaggi facevano venire l'acquolina in bocca solo a guardarli, la ricotta scante o forte, oppure il cacio-ricotta o il formaggio fresco emanava un profumo irresistibile e accanto, delle ceste in vimini riempite con frise di grano e tarallucci al vapore. La banda suonava per le vie del paese motivetti allegri per la gioia dei bambini, che la seguivano contenti. Il divertimento arrivò al culmine quando la sera tarda, tutti gli abitanti come pure i forestieri si scatenarono sulle note della pizzica, cantata e suonata dal gruppo popolare dei Tamburellisti di Torrepaduli; in particolar modo nel momento in cui ripeteva con ossessione, al ritmo frenetico di tamburelli, il ritornello della famosa canzone “Lu core meu”:
“Ahi, ahi ahi lu core meu
meu, meu, meu lu cavaliere tou na, ni, na,ni,na, ni, na
beddhru è l'amore e ci lu sape fa …”
Anche se in un primo momento, Tore e sua moglie Ninuzza non avessero affatto voglia di ballare, ma in un certo modo incoraggiati a farlo dai propri compaesani, quella sera si scatenarono così tanto da sembrare morsi dalla taranta. Finita la festa, dopo che l'ultima batteria di fuochi d'artificio fu sparata, si ritirarono nella stanza da letto della loro masseria.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
Le bottiglie impagliate di vino rosso Negromaro, in bella mostra su dei lunghi tavoli, pronte a essere stappate, fichi secchi in recipienti di terracotta, così come i dolcetti di pasta di mandorla e gli immancabili dolci mostacciuoli con cioccolato e cannella, marmellate di mele cotogne e piccoli vasetti di dolcissimo miele. I formaggi facevano venire l'acquolina in bocca solo a guardarli, la ricotta scante o forte, oppure il cacio-ricotta o il formaggio fresco emanava un profumo irresistibile e accanto, delle ceste in vimini riempite con frise di grano e tarallucci al vapore. La banda suonava per le vie del paese motivetti allegri per la gioia dei bambini, che la seguivano contenti. Il divertimento arrivò al culmine quando la sera tarda, tutti gli abitanti come pure i forestieri si scatenarono sulle note della pizzica, cantata e suonata dal gruppo popolare dei Tamburellisti di Torrepaduli; in particolar modo nel momento in cui ripeteva con ossessione, al ritmo frenetico di tamburelli, il ritornello della famosa canzone “Lu core meu”:
“Ahi, ahi ahi lu core meu
meu, meu, meu lu cavaliere tou na, ni, na,ni,na, ni, na
beddhru è l'amore e ci lu sape fa …”
Anche se in un primo momento, Tore e sua moglie Ninuzza non avessero affatto voglia di ballare, ma in un certo modo incoraggiati a farlo dai propri compaesani, quella sera si scatenarono così tanto da sembrare morsi dalla taranta. Finita la festa, dopo che l'ultima batteria di fuochi d'artificio fu sparata, si ritirarono nella stanza da letto della loro masseria.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2019
Episodio 25
di Raffaele Colelli
Abbracciati a piangersi come due bambini, consci dei giorni a venire assai difficili, visto che ormai senza una lira e con la cantina così vuota, che i loro pianti echeggiavano all'interno. Nonostante tutto, Tore Filuni, aveva avuto l'occasione di rifarsi, ma sfortunato non c'era riuscito. Questo fu per lui motivo di profondo rimpianto: tra le mani l'occasione di riprendersi, ancor di più, quello che con un imbroglio gli era stato sottratto. Non solo: credeva che la dea bendata lo avesse scelto, baciato in fronte, si era visto in un attimo svanire tutto, ancora e per l'ennesima volta ... Il sacco così pesante e prezioso, ora leggero e senza alcun valore. Contro la sua volontà, e per la sua disperazione, era diventato l'uomo più generoso tra tutti i suoi cittadini. Lui, che in tutta la sua vita non aveva mai regalato un solo centesimo, tant'è vero che prese la ferma decisione di non assistere mai più alla Santa Messa domenicale, per via della consueta offerta che la puerpera chiedeva durante la celebrazione eucaristica. Ora se ne stava, tutto il giorno, vicino al camino spento seduto su una piccola sedia impagliata, con la testa tra le mani, non pensava altro che alle sue monete finite nelle mani degli odiati cittadini, fannulloni e spendaccioni. Qualche settimana dopo, girava in paese, tra la popolazione una sconcertante notizia. Si diceva che fu rinvenuto nel dirupo di una cava abbandonata, sulla provinciale che da Boncore portava ad Avetrana, un furgoncino con i colori della bandiera americana. Dopo un lungo volo si era andato a fracassare contro un grosso masso, incendiandosi parzialmente. Poco distante un corpo esanime, senza vita, riverso a pancia in giù in una pozza di melma stagnante e puzzolente, mentre sul sedile di destra nell'abitacolo dell'automezzo, uno strano cappello nero a cono. Non apparteneva certo a Bob l'americano. (fine)
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
Abbracciati a piangersi come due bambini, consci dei giorni a venire assai difficili, visto che ormai senza una lira e con la cantina così vuota, che i loro pianti echeggiavano all'interno. Nonostante tutto, Tore Filuni, aveva avuto l'occasione di rifarsi, ma sfortunato non c'era riuscito. Questo fu per lui motivo di profondo rimpianto: tra le mani l'occasione di riprendersi, ancor di più, quello che con un imbroglio gli era stato sottratto. Non solo: credeva che la dea bendata lo avesse scelto, baciato in fronte, si era visto in un attimo svanire tutto, ancora e per l'ennesima volta ... Il sacco così pesante e prezioso, ora leggero e senza alcun valore. Contro la sua volontà, e per la sua disperazione, era diventato l'uomo più generoso tra tutti i suoi cittadini. Lui, che in tutta la sua vita non aveva mai regalato un solo centesimo, tant'è vero che prese la ferma decisione di non assistere mai più alla Santa Messa domenicale, per via della consueta offerta che la puerpera chiedeva durante la celebrazione eucaristica. Ora se ne stava, tutto il giorno, vicino al camino spento seduto su una piccola sedia impagliata, con la testa tra le mani, non pensava altro che alle sue monete finite nelle mani degli odiati cittadini, fannulloni e spendaccioni. Qualche settimana dopo, girava in paese, tra la popolazione una sconcertante notizia. Si diceva che fu rinvenuto nel dirupo di una cava abbandonata, sulla provinciale che da Boncore portava ad Avetrana, un furgoncino con i colori della bandiera americana. Dopo un lungo volo si era andato a fracassare contro un grosso masso, incendiandosi parzialmente. Poco distante un corpo esanime, senza vita, riverso a pancia in giù in una pozza di melma stagnante e puzzolente, mentre sul sedile di destra nell'abitacolo dell'automezzo, uno strano cappello nero a cono. Non apparteneva certo a Bob l'americano. (fine)
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019