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Ogni mese il nostro periodico ECCLESIA si occupa della vita dei santi, analizzandone non solo il vissuto storico o religioso, ma anche riproponendo leggende, miti e credenze appartenenti a loro. Un tuffo nel passato, all'insegna del piacere nello scoprire vite straordinarie, attraverso il SANTO DEL MESE.
BEATA ROSA DA VITERBO
La Redazione
Nel XIII secolo la Chiesa era travagliata da eresie, frequenti guerre e turbolenze. Viterbo era allora in tristissime condizioni. Eretici, atei, si diffondevano per la città ed i cristiani si erano totalmente intiepiditi. Fu in questo periodo, precisamente nel 1234, che nacque Rosa. Fin dagli anni più teneri i genitori si accorsero che quella non era una fanciulla comune, ma che la grazia lavorava in lei in modo straordinario. Rifiutava ogni specie di vanità nell'abbigliamento, fuggiva le compagnie frivole ed amava Dio e la Vergine. Da giovanetta cadde gravemente inferma, e già si disperava della sua salute quando fu visitata dalla Madonna che, ridonatale la sanità, le ingiunse di vestire l’abito del terz'ordine di S. Francesco, e di percorrere la città incitando alla penitenza. Così fece Rosa: ogni strada fu da essa battuta ed ogni uomo sentì il suo invito: «O uomini, fate penitenza, ritornate a Dio». I più la credettero pazza, ma in tanti, sentendola discorrere con gli eretici e confonderli, la reputavano ispirata dall’alto. La forza dei cattivi però prevalse e Rosa fu costretta a rifugiarsi coi genitori sul monte Soriano. Tempo dopo Rosa tornò nuovamente nella città e iniziò ad operare miracoli: infatti, sfidata dagli eretici, davanti a tutto il popolo, passò tra le fiamme e ne uscì illesa. La città fu redenta e lei si ritirò in una stanzetta della sua casa vivendo tra contemplazione e lavoro. Fu chiamata al cielo a soli 17 anni. Le sue sacre spoglie sono conservate a Viterbo nella chiesa a lei dedicata ed il popolo le tributa un culto grandissimo, mentre la città è posta sotto la sua protezione. Ad oggi la venerata Rosa non è stata ancora canonizzata.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
Nel XIII secolo la Chiesa era travagliata da eresie, frequenti guerre e turbolenze. Viterbo era allora in tristissime condizioni. Eretici, atei, si diffondevano per la città ed i cristiani si erano totalmente intiepiditi. Fu in questo periodo, precisamente nel 1234, che nacque Rosa. Fin dagli anni più teneri i genitori si accorsero che quella non era una fanciulla comune, ma che la grazia lavorava in lei in modo straordinario. Rifiutava ogni specie di vanità nell'abbigliamento, fuggiva le compagnie frivole ed amava Dio e la Vergine. Da giovanetta cadde gravemente inferma, e già si disperava della sua salute quando fu visitata dalla Madonna che, ridonatale la sanità, le ingiunse di vestire l’abito del terz'ordine di S. Francesco, e di percorrere la città incitando alla penitenza. Così fece Rosa: ogni strada fu da essa battuta ed ogni uomo sentì il suo invito: «O uomini, fate penitenza, ritornate a Dio». I più la credettero pazza, ma in tanti, sentendola discorrere con gli eretici e confonderli, la reputavano ispirata dall’alto. La forza dei cattivi però prevalse e Rosa fu costretta a rifugiarsi coi genitori sul monte Soriano. Tempo dopo Rosa tornò nuovamente nella città e iniziò ad operare miracoli: infatti, sfidata dagli eretici, davanti a tutto il popolo, passò tra le fiamme e ne uscì illesa. La città fu redenta e lei si ritirò in una stanzetta della sua casa vivendo tra contemplazione e lavoro. Fu chiamata al cielo a soli 17 anni. Le sue sacre spoglie sono conservate a Viterbo nella chiesa a lei dedicata ed il popolo le tributa un culto grandissimo, mentre la città è posta sotto la sua protezione. Ad oggi la venerata Rosa non è stata ancora canonizzata.
PUBBLICATO NEL MARZO 2021
EGIDIO MARIA DI
SAN GIUSEPPE
La Redazione
Nato a Taranto il 16 novembre 1729, Egidio Maria di San Giuseppe, al battesimo Francesco Antonio Pontillo, sperimentò la povertà fin dalla sua infanzia. Ben presto fu avviato all'apprendimento del duplice e duro mestiere dei suoi genitori, diventando anch'egli un bravo " funaio " e un esperto " felpaiuolo ". A diciotto anni, rimasto orfano di padre, divenne l'unico sostegno della sua famiglia. La genuina fede cristiana, trasmessagli dal papà e dalla mamma, lo aiutò a superare ogni difficoltà e a confidare sempre nella buona provvidenza del Padre celeste. Nel mese di febbraio del 1754, realizzando la sua antica aspirazione di " poter pensare e lavorare soltanto per il Signore ", dopo aver adeguatamente provveduto alle necessità della famiglia, fu accolto tra i Frati Minori "Aicantarini" della Provincia di Lecce. Fu iniziato alla vita francescana nel convento di Galatone: qui il 28 febbraio 1755, nelle mani del Ministro provinciale Frate Damiano di Gesù e Maria, emise la sua professione religiosa. Dal febbraio del 1755 e fino al mese di maggio 1759, dimorò nel convento di Squinzano, con l'ufficio di cuoco della fraternità. Nel 1759 il trasferimento presso il Convento di San Pasquale a Napoli, dove ottenne l'ufficio di portinaio, che secondo le regole degli Alcantarini, veniva affidato al migliore dei fratelli laici, perché dal comportamento adottato, spesso ne derivava la stima e il buon nome dei frati. L'accoglienza, la pazienza, la carità che aveva verso i poveri, che nella grande città erano numerosi, fecero sì che il suo nome e le sue virtù, venissero esaltate da tutta la città. Già sofferente di una grave forma di sciatica, Frate Egidio venne colpito da un'asma soffocante e poi da una idropisia di petto. Morì il 7 febbraio 1812.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
Nato a Taranto il 16 novembre 1729, Egidio Maria di San Giuseppe, al battesimo Francesco Antonio Pontillo, sperimentò la povertà fin dalla sua infanzia. Ben presto fu avviato all'apprendimento del duplice e duro mestiere dei suoi genitori, diventando anch'egli un bravo " funaio " e un esperto " felpaiuolo ". A diciotto anni, rimasto orfano di padre, divenne l'unico sostegno della sua famiglia. La genuina fede cristiana, trasmessagli dal papà e dalla mamma, lo aiutò a superare ogni difficoltà e a confidare sempre nella buona provvidenza del Padre celeste. Nel mese di febbraio del 1754, realizzando la sua antica aspirazione di " poter pensare e lavorare soltanto per il Signore ", dopo aver adeguatamente provveduto alle necessità della famiglia, fu accolto tra i Frati Minori "Aicantarini" della Provincia di Lecce. Fu iniziato alla vita francescana nel convento di Galatone: qui il 28 febbraio 1755, nelle mani del Ministro provinciale Frate Damiano di Gesù e Maria, emise la sua professione religiosa. Dal febbraio del 1755 e fino al mese di maggio 1759, dimorò nel convento di Squinzano, con l'ufficio di cuoco della fraternità. Nel 1759 il trasferimento presso il Convento di San Pasquale a Napoli, dove ottenne l'ufficio di portinaio, che secondo le regole degli Alcantarini, veniva affidato al migliore dei fratelli laici, perché dal comportamento adottato, spesso ne derivava la stima e il buon nome dei frati. L'accoglienza, la pazienza, la carità che aveva verso i poveri, che nella grande città erano numerosi, fecero sì che il suo nome e le sue virtù, venissero esaltate da tutta la città. Già sofferente di una grave forma di sciatica, Frate Egidio venne colpito da un'asma soffocante e poi da una idropisia di petto. Morì il 7 febbraio 1812.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
PADRE NOSTRO:
COSA CAMBIA?
di Vittorio Polimeno
Molti credono che l’espressione “lingua morta”, riferita al Latino, stia ad indicare che esso non sia più in uso o che non sia una lingua ufficiale di uno Stato; nulla di più errato! Il Latino, ad oggi, è la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano (insieme all’Italiano) ed è correntemente utilizzato nei documenti ufficiali emanati dalla Santa Sede. Lingua morta infatti è un’espressione che si utilizza per indicare una lingua che è perfetta e non ha più bisogno delle speculazioni linguistiche derivanti da linguaggi utilizzati da minoranze o altre realtà comunitarie, per trasmettere un concetto ben preciso. Questo preambolo era d’obbligo per spiegare il lavoro svolto dalla commissione che ha modificato, se pur in maniera lieve, il Messale Romano. Una delle modifiche che ha fatto molto discutere riguarda la preghiera per antonomasia, insegnataci da Gesù, il Padre Nostro. Gli storici sono concordi nell’affermare che Gesù abbia insegnato la preghiera dei Cristiani in una lingua che all’epoca era correntemente utilizzata presso la sua gente, l’Aramaico. Si è passati poi al Greco, con la stesura dei Vangeli in forma scritta, per poi giungere a noi in Latino e quindi in Italiano moderno. In questa trafila di traduzioni e interpretazioni era prevedibile che qualcosa dovesse essere oggetto di perfezionamento. Il verbo Aramaico utilizzato nel testo originale è “tal’an” accanto alla negazione “w-la” che si traduce come non portare; è evidente che la richiesta da fare a Dio è quella di aiutarci a tenerci lontani dalle situazioni di tentazione. La forma che è stata oggetto di correzione, infatti, è solo quella italiana in quanto “non ci indurre” lascia ad intendere che sia Dio a provocare le nostre debolezze. In Latino l’espressione “ne nos inducas in tentationem” è rimasta invariata in quanto il suo senso è chiaro, “in caso di tentazioni aiutaci a restarne lontani” ovvero “non abbandonarci”.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
Molti credono che l’espressione “lingua morta”, riferita al Latino, stia ad indicare che esso non sia più in uso o che non sia una lingua ufficiale di uno Stato; nulla di più errato! Il Latino, ad oggi, è la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano (insieme all’Italiano) ed è correntemente utilizzato nei documenti ufficiali emanati dalla Santa Sede. Lingua morta infatti è un’espressione che si utilizza per indicare una lingua che è perfetta e non ha più bisogno delle speculazioni linguistiche derivanti da linguaggi utilizzati da minoranze o altre realtà comunitarie, per trasmettere un concetto ben preciso. Questo preambolo era d’obbligo per spiegare il lavoro svolto dalla commissione che ha modificato, se pur in maniera lieve, il Messale Romano. Una delle modifiche che ha fatto molto discutere riguarda la preghiera per antonomasia, insegnataci da Gesù, il Padre Nostro. Gli storici sono concordi nell’affermare che Gesù abbia insegnato la preghiera dei Cristiani in una lingua che all’epoca era correntemente utilizzata presso la sua gente, l’Aramaico. Si è passati poi al Greco, con la stesura dei Vangeli in forma scritta, per poi giungere a noi in Latino e quindi in Italiano moderno. In questa trafila di traduzioni e interpretazioni era prevedibile che qualcosa dovesse essere oggetto di perfezionamento. Il verbo Aramaico utilizzato nel testo originale è “tal’an” accanto alla negazione “w-la” che si traduce come non portare; è evidente che la richiesta da fare a Dio è quella di aiutarci a tenerci lontani dalle situazioni di tentazione. La forma che è stata oggetto di correzione, infatti, è solo quella italiana in quanto “non ci indurre” lascia ad intendere che sia Dio a provocare le nostre debolezze. In Latino l’espressione “ne nos inducas in tentationem” è rimasta invariata in quanto il suo senso è chiaro, “in caso di tentazioni aiutaci a restarne lontani” ovvero “non abbandonarci”.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
SAN BERNARDO DA CORLEONE
La Redazione
San Bernardo, al secolo Filippo Latino, nacque a Corleone durante la dominazione spagnola, il 6 febbraio 1605 da Leonardo e Francesca Sciascia. La sua casa veniva definita “casa di santi” soprattutto per la carità del padre, calzolaio e bravo artigiano in pelletteria, abituato a portarsi a casa gli straccioni incontrati per strada e assisterli. Sebbene fosse un ragazzo molto religioso, aveva però un carattere fiero e focoso. Non sopportava le angherie della guarnigione spagnola che presidiava la città, e proprio da quei soldati, Filippo aveva imparato a tirare di scherma. Diventò talmente esperto, da essere riconosciuto come “primo spadaccino di Sicilia”. Nell'estate del 1626, mentre lavorava nella sua bottega di calzolaio, venne sfidato a duello da un certo Vito Canino, sicario prezzolato venuto da Palermo. Ripetutamente provocato, mastro Filippo fu costretto a difendersi, intraprendendo un lungo duello, alla fine del quale il Canino ebbe la peggio; ferito gravemente ad un braccio, rimase inabile per tutto il resto della vita. L’animo di Filippo rimase profondamente segnato, così dopo un certo periodo di latitanza, si rifugiò nella vicina chiesa dei Cappuccini, chiedendo di diventare frate per espiare il proprio peccato. Conoscendo il suo passato, i superiori gli fanno intraprendere una sorta di postulandato, durato 5 anni, prima di avere la sospirata autorizzazione per iniziare il noviziato nel convento di Caltanissetta. Il 13 dicembre del 1631 venne ammesso al noviziato con il nome di fra Bernardo; esattamente un anno dopo, emessa la professione religiosa, iniziò una nuova vita cristiana all’insegna di preghiera, digiuno e penitenza, usando spesso il cilicio ed il flagello. Dormiva per terra, assisteva i malati e realizzava una gran quantità di lavori ai fratelli in difficoltà. Si ammalò il giorno dell'Epifania del 1667 e morì il 12 gennaio, nell'infermeria dei Cappuccini ad appena 62 anni. Il 10 giugno 2001, in Piazza San Pietro, alla presenza di migliaia di cittadini giunti da Corleone, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha proclamato santo.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
San Bernardo, al secolo Filippo Latino, nacque a Corleone durante la dominazione spagnola, il 6 febbraio 1605 da Leonardo e Francesca Sciascia. La sua casa veniva definita “casa di santi” soprattutto per la carità del padre, calzolaio e bravo artigiano in pelletteria, abituato a portarsi a casa gli straccioni incontrati per strada e assisterli. Sebbene fosse un ragazzo molto religioso, aveva però un carattere fiero e focoso. Non sopportava le angherie della guarnigione spagnola che presidiava la città, e proprio da quei soldati, Filippo aveva imparato a tirare di scherma. Diventò talmente esperto, da essere riconosciuto come “primo spadaccino di Sicilia”. Nell'estate del 1626, mentre lavorava nella sua bottega di calzolaio, venne sfidato a duello da un certo Vito Canino, sicario prezzolato venuto da Palermo. Ripetutamente provocato, mastro Filippo fu costretto a difendersi, intraprendendo un lungo duello, alla fine del quale il Canino ebbe la peggio; ferito gravemente ad un braccio, rimase inabile per tutto il resto della vita. L’animo di Filippo rimase profondamente segnato, così dopo un certo periodo di latitanza, si rifugiò nella vicina chiesa dei Cappuccini, chiedendo di diventare frate per espiare il proprio peccato. Conoscendo il suo passato, i superiori gli fanno intraprendere una sorta di postulandato, durato 5 anni, prima di avere la sospirata autorizzazione per iniziare il noviziato nel convento di Caltanissetta. Il 13 dicembre del 1631 venne ammesso al noviziato con il nome di fra Bernardo; esattamente un anno dopo, emessa la professione religiosa, iniziò una nuova vita cristiana all’insegna di preghiera, digiuno e penitenza, usando spesso il cilicio ed il flagello. Dormiva per terra, assisteva i malati e realizzava una gran quantità di lavori ai fratelli in difficoltà. Si ammalò il giorno dell'Epifania del 1667 e morì il 12 gennaio, nell'infermeria dei Cappuccini ad appena 62 anni. Il 10 giugno 2001, in Piazza San Pietro, alla presenza di migliaia di cittadini giunti da Corleone, il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha proclamato santo.
PUBBLICATO NEL GENNAIO 2021
SANTA BARBARA
La Redazione
Santa Barbara nacque a Nicomedia in Turchia nel 273 d.C. La sua vita riservata, intenta allo studio, al lavoro e alla preghiera la definì come ragazza barbara, cioè non romana. Era una denominazione di disprezzo. Tra il 286 - 287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, poiché il padre Dioscoro, fanatico pagano, era un collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo; quest'ultimo gli aveva donato ricchi possedimenti in Sabina. Dioscoro fece costruire una torre per difendere e proteggere Barbara durante le sue assenze. Il progetto originario prevedeva due finestre che diventarono tre (in riferimento alla croce) secondo il desiderio della ragazza. Fu costruita anche una bellissima vasca a forma di croce. La tradizione afferma che al suo interno Barbara ricevette il battesimo per la visione di San Giovanni Battista. La fede di Barbara provocò l'ira di Dioscoro; essa per sfuggire si nascose nel bosco, ma fu trovata su indicazione di un pastore. Fu il padre a consegnarla al prefetto Marciano con la denuncia di adesione alla religione cristiana. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290 Barbara difese il proprio credo ed esortò i presenti ad abbracciare la fede cristiana: fu così torturata e graffiata, mentre cantava le lodi al Signore. Il giorno dopo aumentarono i tormenti, con la Santa sottoposta al supplizio del fuoco. Il 4 dicembre letta la sentenza di morte, Dioscoro prese la treccia dei capelli e vibrò il colpo di spada per decapitarla. Poco dopo però, il cielo si oscurò e un fulmine colpì Dioscoro. Da qui nasce la tradizione di invocare la Santa contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. Il nobile Valenzano curò la sepoltura del corpo presso una fonte, denominata sorgente di Santa Barbara, che diventò meta di pellegrinaggio per l'acqua miracolosa. Intorno all'anno 1000 fu eretta la chiesa in suo onore, visibile ancora oggi. Il corpo giace nella Cattedrale di Rieti, sotto l'altare maggiore. È la patrona di Scandriglia e Rieti.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
Santa Barbara nacque a Nicomedia in Turchia nel 273 d.C. La sua vita riservata, intenta allo studio, al lavoro e alla preghiera la definì come ragazza barbara, cioè non romana. Era una denominazione di disprezzo. Tra il 286 - 287 Barbara si trasferì presso la villa rustica di Scandriglia, poiché il padre Dioscoro, fanatico pagano, era un collaboratore dell'imperatore Massimiano Erculeo; quest'ultimo gli aveva donato ricchi possedimenti in Sabina. Dioscoro fece costruire una torre per difendere e proteggere Barbara durante le sue assenze. Il progetto originario prevedeva due finestre che diventarono tre (in riferimento alla croce) secondo il desiderio della ragazza. Fu costruita anche una bellissima vasca a forma di croce. La tradizione afferma che al suo interno Barbara ricevette il battesimo per la visione di San Giovanni Battista. La fede di Barbara provocò l'ira di Dioscoro; essa per sfuggire si nascose nel bosco, ma fu trovata su indicazione di un pastore. Fu il padre a consegnarla al prefetto Marciano con la denuncia di adesione alla religione cristiana. Durante il processo che iniziò il 2 dicembre 290 Barbara difese il proprio credo ed esortò i presenti ad abbracciare la fede cristiana: fu così torturata e graffiata, mentre cantava le lodi al Signore. Il giorno dopo aumentarono i tormenti, con la Santa sottoposta al supplizio del fuoco. Il 4 dicembre letta la sentenza di morte, Dioscoro prese la treccia dei capelli e vibrò il colpo di spada per decapitarla. Poco dopo però, il cielo si oscurò e un fulmine colpì Dioscoro. Da qui nasce la tradizione di invocare la Santa contro i fulmini, il fuoco e la morte improvvisa. Il nobile Valenzano curò la sepoltura del corpo presso una fonte, denominata sorgente di Santa Barbara, che diventò meta di pellegrinaggio per l'acqua miracolosa. Intorno all'anno 1000 fu eretta la chiesa in suo onore, visibile ancora oggi. Il corpo giace nella Cattedrale di Rieti, sotto l'altare maggiore. È la patrona di Scandriglia e Rieti.
PUBBLICATO NEL DICEMBRE 2020
BEATO CARLO ACUTIS
La Redazione
Figlio primogenito di Andrea Acutis e Antonia Salzano, Carlo Acutis nacque a Londra, dove i genitori si trovavano per motivi di lavoro del padre, il 3 maggio 1991. Trascorse l’infanzia a Milano, circondato dall’affetto dei suoi cari e imparando da subito ad amare il Signore, tanto da essere ammesso alla Prima Comunione ad appena sette anni. Frequentatore assiduo della parrocchia di “Santa Maria Segreta” a Milano, allievo delle Suore Marcelline alle elementari e alle medie, poi dei padri Gesuiti al liceo, s’impegnò a vivere l’amicizia con Gesù e l’amore filiale alla Vergine Maria, ma fu anche attento ai problemi delle persone che gli stavano accanto, anche usando da esperto, seppur autodidatta, le nuove tecnologie. Colpito da una forma di leucemia fulminante, la visse come prova da offrire per il Papa e per la Chiesa. Lasciò questo mondo il 12 ottobre 2006, nell’ospedale San Gerardo di Monza, a quindici anni compiuti. Il 13 maggio 2013 la Santa Sede ha concesso il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione, la cui inchiesta diocesana si è svolta a Milano dal 15 febbraio 2013 al 24 novembre 2016. Il 5 luglio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che dichiarava Venerabile Carlo, i cui resti mortali riposano dal 6 aprile 2019 ad Assisi, nella chiesa di Santa Maria Maggiore – Santuario della Spogliazione. Il 21 febbraio 2020 infine, la promulgazione del decreto relativo a un miracolo attribuito all’intercessione di Carlo, ha aperto la via alla sua beatificazione, avvenuta lo scorso 10 ottobre.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
Figlio primogenito di Andrea Acutis e Antonia Salzano, Carlo Acutis nacque a Londra, dove i genitori si trovavano per motivi di lavoro del padre, il 3 maggio 1991. Trascorse l’infanzia a Milano, circondato dall’affetto dei suoi cari e imparando da subito ad amare il Signore, tanto da essere ammesso alla Prima Comunione ad appena sette anni. Frequentatore assiduo della parrocchia di “Santa Maria Segreta” a Milano, allievo delle Suore Marcelline alle elementari e alle medie, poi dei padri Gesuiti al liceo, s’impegnò a vivere l’amicizia con Gesù e l’amore filiale alla Vergine Maria, ma fu anche attento ai problemi delle persone che gli stavano accanto, anche usando da esperto, seppur autodidatta, le nuove tecnologie. Colpito da una forma di leucemia fulminante, la visse come prova da offrire per il Papa e per la Chiesa. Lasciò questo mondo il 12 ottobre 2006, nell’ospedale San Gerardo di Monza, a quindici anni compiuti. Il 13 maggio 2013 la Santa Sede ha concesso il nulla osta per l’avvio della sua causa di beatificazione, la cui inchiesta diocesana si è svolta a Milano dal 15 febbraio 2013 al 24 novembre 2016. Il 5 luglio 2018 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che dichiarava Venerabile Carlo, i cui resti mortali riposano dal 6 aprile 2019 ad Assisi, nella chiesa di Santa Maria Maggiore – Santuario della Spogliazione. Il 21 febbraio 2020 infine, la promulgazione del decreto relativo a un miracolo attribuito all’intercessione di Carlo, ha aperto la via alla sua beatificazione, avvenuta lo scorso 10 ottobre.
PUBBLICATO NEL NOVEMBRE 2020
SUOR CIRA: ULTIMO VIAGGIO
di Alessio Peluso
“Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente; dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perchè. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.” Abbiamo scomodato Charles Baudelaire, per rimarcare un viaggio speciale, quello della vita, compiuto da Suor Cira: così piccola, dalla corporatura minuta, immancabili occhiali da vista e un dialogo sempre pronto e acceso con chiunque, sempre col sorriso. Nata a San Severo in provincia di Foggia il 22 ottobre 1936, percepisce da subito una chiamata molto particolare, un’attrazione fortissima per la fede, la spiritualità e per Gesù. Da giovanissima ha le idee ben chiare, rifiutando come spesso raccontato da lei il corteggiamento di un aitante giovane del tempo, perché l’amore per Gesù era troppo grande, irresistibile. E il sogno diventa realtà nel 1958 a soli 22 anni, quando a Marano di Napoli è ordinata suora. Solo qualche anno dopo, agli inizi degli anni ’60 il primo trasferimento a Porto Cesareo tra le “Discepole di Gesù Eucaristico”. E la nostra comunità in breve tempo diviene la sua famiglia e lo sarà per sempre: innumerevoli le generazioni che la ricordano per il suo amore profuso per i bambini più piccoli, i giochi più buffi improvvisati per rendere ogni momento con loro divertente e memorabile, il legame instaurato con chi avesse modo di frequentare la parrocchia. Lei era sempre lì, passando molte ore all’interno della nostra chiesa, pregando davanti al Santissimo Sacramento. È stata trasferita in più occasioni in altre realtà come Copertino o Schiavone a Reggio Calabria, ma ha sempre definito Porto Cesareo la sua vera casa. E la sua forza di volontà non si è piegata nemmeno nell’ultimo decennio, nonostante la demenza senile. Lo scorso 5 settembre 2020 ha compiuto il suo ultimo viaggio e ha lasciato un senso di tristezza, misto a quella profonda dolcezza che solo lei sapeva dare. Ed ora siamo sicuri che anche in paradiso, traendo le mani nel taschino del suo abito nero tirerà fuori innumerevoli caramelle, da donare a tutti indistintamente. Buon viaggio Suor Cira!
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
“Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente; dicono sempre “Andiamo”, e non sanno perchè. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.” Abbiamo scomodato Charles Baudelaire, per rimarcare un viaggio speciale, quello della vita, compiuto da Suor Cira: così piccola, dalla corporatura minuta, immancabili occhiali da vista e un dialogo sempre pronto e acceso con chiunque, sempre col sorriso. Nata a San Severo in provincia di Foggia il 22 ottobre 1936, percepisce da subito una chiamata molto particolare, un’attrazione fortissima per la fede, la spiritualità e per Gesù. Da giovanissima ha le idee ben chiare, rifiutando come spesso raccontato da lei il corteggiamento di un aitante giovane del tempo, perché l’amore per Gesù era troppo grande, irresistibile. E il sogno diventa realtà nel 1958 a soli 22 anni, quando a Marano di Napoli è ordinata suora. Solo qualche anno dopo, agli inizi degli anni ’60 il primo trasferimento a Porto Cesareo tra le “Discepole di Gesù Eucaristico”. E la nostra comunità in breve tempo diviene la sua famiglia e lo sarà per sempre: innumerevoli le generazioni che la ricordano per il suo amore profuso per i bambini più piccoli, i giochi più buffi improvvisati per rendere ogni momento con loro divertente e memorabile, il legame instaurato con chi avesse modo di frequentare la parrocchia. Lei era sempre lì, passando molte ore all’interno della nostra chiesa, pregando davanti al Santissimo Sacramento. È stata trasferita in più occasioni in altre realtà come Copertino o Schiavone a Reggio Calabria, ma ha sempre definito Porto Cesareo la sua vera casa. E la sua forza di volontà non si è piegata nemmeno nell’ultimo decennio, nonostante la demenza senile. Lo scorso 5 settembre 2020 ha compiuto il suo ultimo viaggio e ha lasciato un senso di tristezza, misto a quella profonda dolcezza che solo lei sapeva dare. Ed ora siamo sicuri che anche in paradiso, traendo le mani nel taschino del suo abito nero tirerà fuori innumerevoli caramelle, da donare a tutti indistintamente. Buon viaggio Suor Cira!
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
BEATO BARTOLO LONGO
La Redazione
Bartolo Longo nacque a Latiano, provincia di Brindisi, nel 1841. Per frequentare gli studi universitari di giurisprudenza, iniziati a Lecce, ma interrotti, si recò a Napoli. L'Università fu per il giovane Bartolo un banco di prova per la sua fede. Infatti, il contatto con i professori, patrioti, avversi ad ogni idea di cristianesimo, lo misero in crisi. La lettura del libro di Rénan "La vita di Cristo" lo portò a dubitare della divinità di Cristo e lo avviò alla pratica dello spiritismo. Qui Bartolo pensò di trovare tutte le risposte ai suoi dubbi, al punto che divenne sacerdote. Per sua fortuna, il Professor Vincenzo Pepe, amico e conterraneo, uomo di santa vita, lo spinse a confessarsi dal domenicano Alberto Radente. Dopo un mese di colloqui giornalieri rifece la sua Prima Comunione e tornò alla vita cristiana. Frequentò numerose persone cristiane tra cui la Ven. Caterina Volpicelli, apostola del S. Cuore e la Contessa Marianna Farnararo, pugliese anche lei, vedova del Conte Albenzio De Fusco, proprietaria dei terreni in Valle di Pompei. L'inesperienza in materia di affari e il numero notevole dei figli, impedivano alla signora di amministrare con profitto i suoi beni. L'Avvocato Bartolo si offrì di amministrarli gratuitamente, circostanza che lo condusse a Valle di Pompei nell’ottobre del 1872. Valle di Pompei, era un piccolo villaggio a pochi passi dai resti dell'antica città romana, con una piccola chiesa dissestata che faceva da parrocchia. Vagando senza meta, in un vicoletto chiamato Arpaia, udì una voce, che gli sussurrava di propagare il Rosario. L'eco lontana di una campana che suonava l'Angelus di mezzogiorno lo piegò in ginocchio sulla nuda terra a pregare, fino al raggiungimento di una pace mai gustata. Si mise all'opera, fino a ricevere il 13 novembre 1875 un quadro della Madonna del Rosario, donato da Padre Radente. Nel frattempo giunse a Pompei il Vescovo di Nola che si rallegrò del nuovo fermento di fede, invitando alla costruzione di una chiesa nuova. Cominciarono così le peregrinazioni e l'8 maggio 1887 venne consacrato il nuovo altare ed inaugurato il trono della Madonna. Si spense il 5 ottobre 1926. Il 26 ottobre 1980, Papa Giovanni Paolo II, lo proclamò Beato.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
Bartolo Longo nacque a Latiano, provincia di Brindisi, nel 1841. Per frequentare gli studi universitari di giurisprudenza, iniziati a Lecce, ma interrotti, si recò a Napoli. L'Università fu per il giovane Bartolo un banco di prova per la sua fede. Infatti, il contatto con i professori, patrioti, avversi ad ogni idea di cristianesimo, lo misero in crisi. La lettura del libro di Rénan "La vita di Cristo" lo portò a dubitare della divinità di Cristo e lo avviò alla pratica dello spiritismo. Qui Bartolo pensò di trovare tutte le risposte ai suoi dubbi, al punto che divenne sacerdote. Per sua fortuna, il Professor Vincenzo Pepe, amico e conterraneo, uomo di santa vita, lo spinse a confessarsi dal domenicano Alberto Radente. Dopo un mese di colloqui giornalieri rifece la sua Prima Comunione e tornò alla vita cristiana. Frequentò numerose persone cristiane tra cui la Ven. Caterina Volpicelli, apostola del S. Cuore e la Contessa Marianna Farnararo, pugliese anche lei, vedova del Conte Albenzio De Fusco, proprietaria dei terreni in Valle di Pompei. L'inesperienza in materia di affari e il numero notevole dei figli, impedivano alla signora di amministrare con profitto i suoi beni. L'Avvocato Bartolo si offrì di amministrarli gratuitamente, circostanza che lo condusse a Valle di Pompei nell’ottobre del 1872. Valle di Pompei, era un piccolo villaggio a pochi passi dai resti dell'antica città romana, con una piccola chiesa dissestata che faceva da parrocchia. Vagando senza meta, in un vicoletto chiamato Arpaia, udì una voce, che gli sussurrava di propagare il Rosario. L'eco lontana di una campana che suonava l'Angelus di mezzogiorno lo piegò in ginocchio sulla nuda terra a pregare, fino al raggiungimento di una pace mai gustata. Si mise all'opera, fino a ricevere il 13 novembre 1875 un quadro della Madonna del Rosario, donato da Padre Radente. Nel frattempo giunse a Pompei il Vescovo di Nola che si rallegrò del nuovo fermento di fede, invitando alla costruzione di una chiesa nuova. Cominciarono così le peregrinazioni e l'8 maggio 1887 venne consacrato il nuovo altare ed inaugurato il trono della Madonna. Si spense il 5 ottobre 1926. Il 26 ottobre 1980, Papa Giovanni Paolo II, lo proclamò Beato.
PUBBLICATO NELL'OTTOBRE 2020
SAN MAURIZIO
La Redazione
Noto anche come Moritz, Morris, o Mauritius San Maurizio è un santo cristiano. Secondo le agiografie, sarebbe stato un generale dell'impero romano, a capo della leggendaria legione Tebea egiziano-romana, operante nella Mesopotamia nel corso del III secolo. Secondo i documenti agiografici la legione, interamente composta da cristiani, che normalmente prestava servizio ai confini orientali dell'impero, venne riposizionata in Gallia dall'imperatore Diocleziano. Il compito della legione era di assistere militarmente Massimiano nella difesa contro i Quadi e Marcomanni, barbari che dal fiume Reno transitavano nella Gallia, e di sottomettere le popolazioni ribelli locali. I soldati eseguirono brillantemente la loro missione, tuttavia, quando Massimiano ordinò di perseguitare ed uccidere, alcune popolazioni locali del Vallese convertite al cristianesimo, molti tra i soldati tebani si rifiutarono. Massimiano ordinò una severa punizione per l'unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione, una punizione militare che consiste nell'uccisione di un decimo dei soldati, mediante decapitazione. In seguito vennero ordinate altre azioni dello stesso tipo contro le popolazioni locali; i soldati però, su incoraggiamento di Maurizio restarono fermi nel rifiutare di compiere qualsiasi tipo di violenza contro i loro confratelli cristiani, cosa che portò Massimiano a ordinare che tutti i restanti componenti della legione venissero massacrati sul posto. Il luogo dell'eccidio, allora noto come “Agaunum in Raetia”, è attualmente Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera, dove si trova un'abbazia dedicata a San Maurizio. Tra gli scampati all'eccidio vi era Sant'Alessandro, che successivamente divenne vescovo di Bergamo.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
Noto anche come Moritz, Morris, o Mauritius San Maurizio è un santo cristiano. Secondo le agiografie, sarebbe stato un generale dell'impero romano, a capo della leggendaria legione Tebea egiziano-romana, operante nella Mesopotamia nel corso del III secolo. Secondo i documenti agiografici la legione, interamente composta da cristiani, che normalmente prestava servizio ai confini orientali dell'impero, venne riposizionata in Gallia dall'imperatore Diocleziano. Il compito della legione era di assistere militarmente Massimiano nella difesa contro i Quadi e Marcomanni, barbari che dal fiume Reno transitavano nella Gallia, e di sottomettere le popolazioni ribelli locali. I soldati eseguirono brillantemente la loro missione, tuttavia, quando Massimiano ordinò di perseguitare ed uccidere, alcune popolazioni locali del Vallese convertite al cristianesimo, molti tra i soldati tebani si rifiutarono. Massimiano ordinò una severa punizione per l'unità e, non bastando la sola flagellazione dei soldati ribelli, si decise di applicare la decimazione, una punizione militare che consiste nell'uccisione di un decimo dei soldati, mediante decapitazione. In seguito vennero ordinate altre azioni dello stesso tipo contro le popolazioni locali; i soldati però, su incoraggiamento di Maurizio restarono fermi nel rifiutare di compiere qualsiasi tipo di violenza contro i loro confratelli cristiani, cosa che portò Massimiano a ordinare che tutti i restanti componenti della legione venissero massacrati sul posto. Il luogo dell'eccidio, allora noto come “Agaunum in Raetia”, è attualmente Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera, dove si trova un'abbazia dedicata a San Maurizio. Tra gli scampati all'eccidio vi era Sant'Alessandro, che successivamente divenne vescovo di Bergamo.
PUBBLICATO NEL SETTEMBRE 2020
PAOLO VI: IL PAPA DEL CONCILIO
di Vittorio Polimeno
Esistono delle situazioni nella vita in cui si prendono delle decisioni importanti, ma spesso, per svariati motivi, tali decisioni si scontrano con numerosi ostacoli e il più delle volte restano progetti inconclusi. Com’è noto nel 1962, Papa Roncalli, il Papa buono, diede inizio ai lavori del Concilio Vaticano II, ma a distanza di qualche mese (per la gioia e le aspirazioni di qualcuno) morì. Questi “molti”, strofinandosi le mani, si illusero di poter annullare i lavori del Concilio passando da un Papa figlio di contadini, ad un Papa figlio della borghesia dell’epoca poco incline al cambiamento. Ma ben presto si dovettero ricredere perché fu proprio lui, il Papa borghese, a portare avanti i difficili lavori conciliari e a promulgare, il giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione del 1965, i documenti che hanno segnato un rinnovamento epocale in molti aspetti della vita di Santa Romana Chiesa. Tanti, vista la popolarità dei suoi predecessori e successori, lo hanno definito “Il Papa dimenticato” anche per via della sua indole discreta e mite, io invece amo definirlo “Il Papa con gli attributi” in quanto aveva quelle doti di governo proprie di chi ha una grande responsabilità e le usa con determinazione. Suo è il primato dei viaggi apostolici, poi ripreso e portato avanti da Papa Wojtyla, sua è la decisione di deporre per sempre la Tiara (corona papale simbolo dei tre poteri) e di metterla all’asta per devolvere il ricavato ai poveri e sua è anche la decisione di abolire la sedia gestatoria. Non c’è che dire, la Chiesa aveva bisogno di un Papa coraggioso e lo Spirito Santo le ha donato il migliore.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
Esistono delle situazioni nella vita in cui si prendono delle decisioni importanti, ma spesso, per svariati motivi, tali decisioni si scontrano con numerosi ostacoli e il più delle volte restano progetti inconclusi. Com’è noto nel 1962, Papa Roncalli, il Papa buono, diede inizio ai lavori del Concilio Vaticano II, ma a distanza di qualche mese (per la gioia e le aspirazioni di qualcuno) morì. Questi “molti”, strofinandosi le mani, si illusero di poter annullare i lavori del Concilio passando da un Papa figlio di contadini, ad un Papa figlio della borghesia dell’epoca poco incline al cambiamento. Ma ben presto si dovettero ricredere perché fu proprio lui, il Papa borghese, a portare avanti i difficili lavori conciliari e a promulgare, il giorno della Solennità dell’Immacolata Concezione del 1965, i documenti che hanno segnato un rinnovamento epocale in molti aspetti della vita di Santa Romana Chiesa. Tanti, vista la popolarità dei suoi predecessori e successori, lo hanno definito “Il Papa dimenticato” anche per via della sua indole discreta e mite, io invece amo definirlo “Il Papa con gli attributi” in quanto aveva quelle doti di governo proprie di chi ha una grande responsabilità e le usa con determinazione. Suo è il primato dei viaggi apostolici, poi ripreso e portato avanti da Papa Wojtyla, sua è la decisione di deporre per sempre la Tiara (corona papale simbolo dei tre poteri) e di metterla all’asta per devolvere il ricavato ai poveri e sua è anche la decisione di abolire la sedia gestatoria. Non c’è che dire, la Chiesa aveva bisogno di un Papa coraggioso e lo Spirito Santo le ha donato il migliore.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2020
LA TEMPRA DI DON LORENZO
di Vittorio Polimeno
Inevitabilmente a Porto Cesareo quando si nomina Don Lorenzo Marzio Strafella, se pur a 35 anni di distanza dal suo improvviso ritorno alla casa del Padre, la prima cosa che viene in mente è il suo primato dal punto di vista dell’amministrazione parrocchiale, mandato che si è sviluppato dal 1952 al 1985. Pochi però conoscono alcuni fatti realmente accaduti e tramandati solo oralmente, che hanno l’effetto di tradurre in pratica, l’indole schietta e combattiva del primo parroco cesarino. Un giorno, il prelato, recandosi in parrocchia, si accorse con sorpresa, che alcuni manovali erano intenti ad iniziare un’opera edilizia, proprio dove oggi è ubicato il sagrato. La sorpresa aumentò quando si scoprì che il comune di Nardò (allora comune di appartenenza) aveva in qualche modo autorizzato la nascita di un condominio, con appartamenti a vendere proprio a pochi metri dall’ingresso della Chiesa. Recita un proverbio: “non c’è cattivo più cattivo di un buono che diventa cattivo!” Infuriato il Parroco si recò a Nardò e tanto fece che i lavori furono interrotti, dando a tutti noi la possibilità di fruire di un sagrato tanto grande. È inutile dire che questo costò al parroco un sonoro richiamo da parte della curia e del Vescovo di allora, ma a lui interessava il bene della comunità. Tutti coloro che lo hanno conosciuto, sanno bene la tempra di cui era dotato e l’impegno che profuse alla causa dell’autonomia di Porto Cesareo ne fu la dimostrazione! A distanza di 35 anni dalla sua morte possiamo solo continuare a dire: grazie Don Lorenzo!
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
Inevitabilmente a Porto Cesareo quando si nomina Don Lorenzo Marzio Strafella, se pur a 35 anni di distanza dal suo improvviso ritorno alla casa del Padre, la prima cosa che viene in mente è il suo primato dal punto di vista dell’amministrazione parrocchiale, mandato che si è sviluppato dal 1952 al 1985. Pochi però conoscono alcuni fatti realmente accaduti e tramandati solo oralmente, che hanno l’effetto di tradurre in pratica, l’indole schietta e combattiva del primo parroco cesarino. Un giorno, il prelato, recandosi in parrocchia, si accorse con sorpresa, che alcuni manovali erano intenti ad iniziare un’opera edilizia, proprio dove oggi è ubicato il sagrato. La sorpresa aumentò quando si scoprì che il comune di Nardò (allora comune di appartenenza) aveva in qualche modo autorizzato la nascita di un condominio, con appartamenti a vendere proprio a pochi metri dall’ingresso della Chiesa. Recita un proverbio: “non c’è cattivo più cattivo di un buono che diventa cattivo!” Infuriato il Parroco si recò a Nardò e tanto fece che i lavori furono interrotti, dando a tutti noi la possibilità di fruire di un sagrato tanto grande. È inutile dire che questo costò al parroco un sonoro richiamo da parte della curia e del Vescovo di allora, ma a lui interessava il bene della comunità. Tutti coloro che lo hanno conosciuto, sanno bene la tempra di cui era dotato e l’impegno che profuse alla causa dell’autonomia di Porto Cesareo ne fu la dimostrazione! A distanza di 35 anni dalla sua morte possiamo solo continuare a dire: grazie Don Lorenzo!
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
SAN ENRICO
La Redazione
San Enrico nacque nel 972 da Enrico, re di Baviera e da Gisela, figlia di Corrado re di Borgogna. Ebbe nobili sentimenti e rare virtù, qualità che fecero di lui un imperatore santo. Incoronato da Benedetto VIII il 22 febbraio del 1014, Enrico comprese quanto gli fosse necessaria l’umiltà. Era solito dire che Iddio voleva due cose da lui: la santificazione propria ed il benessere dei sudditi, programma che il glorioso monarca svolse lodevolmente. Unitosi in matrimonio con S. Cunegonda, conservò nella vita coniugale la perfetta castità, tanto da poter dire, in fin di vita, ai genitori di lei: “Io ve la rendo illibata come me la deste”. S. Enrico ebbe anche a sostenere molte guerre, con le quali rese il suo nome sempre più temuto e rispettato. In esse riusciva sempre vittorioso, ma il santo re prima di attaccar battaglia pregava e faceva pregare i soldati. In questo modo poté scacciare dall'Italia i Greci che, alleati dei Turchi, minacciavano la stessa Roma. Eresse a sue spese molte cattedrali, fra cui quella di Bamberga, dedicata ai Ss. Pietro e Paolo, che fu consacrata dallo stesso Pontefice di Roma; restaurò molte chiese danneggiate dagli eretici, eresse sedi vescovili, fondò orfanotrofi. In mezzo alle terrene grandezze, S. Enrico sentiva di non essere pienamente soddisfatto, perché bramava di servire unicamente a Dio. Per questo, essendo amico del beato Riccardo, abate di Verdun, fece istanze presso di lui per poter entrare nel suo monastero. Ma l'abate, vedendo il bene che il santo re faceva ai popoli, non glielo permise e S. Enrico inchinò riverente il capo all'ubbidienza, tornando alla reggia. Anche nelle infermità S. Enrico benediceva Dio: così sopportò con esemplare rassegnazione la contrazione di una coscia che lo rese zoppo per tutta la vita. Morì a Grône il 13 luglio del 1024.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
San Enrico nacque nel 972 da Enrico, re di Baviera e da Gisela, figlia di Corrado re di Borgogna. Ebbe nobili sentimenti e rare virtù, qualità che fecero di lui un imperatore santo. Incoronato da Benedetto VIII il 22 febbraio del 1014, Enrico comprese quanto gli fosse necessaria l’umiltà. Era solito dire che Iddio voleva due cose da lui: la santificazione propria ed il benessere dei sudditi, programma che il glorioso monarca svolse lodevolmente. Unitosi in matrimonio con S. Cunegonda, conservò nella vita coniugale la perfetta castità, tanto da poter dire, in fin di vita, ai genitori di lei: “Io ve la rendo illibata come me la deste”. S. Enrico ebbe anche a sostenere molte guerre, con le quali rese il suo nome sempre più temuto e rispettato. In esse riusciva sempre vittorioso, ma il santo re prima di attaccar battaglia pregava e faceva pregare i soldati. In questo modo poté scacciare dall'Italia i Greci che, alleati dei Turchi, minacciavano la stessa Roma. Eresse a sue spese molte cattedrali, fra cui quella di Bamberga, dedicata ai Ss. Pietro e Paolo, che fu consacrata dallo stesso Pontefice di Roma; restaurò molte chiese danneggiate dagli eretici, eresse sedi vescovili, fondò orfanotrofi. In mezzo alle terrene grandezze, S. Enrico sentiva di non essere pienamente soddisfatto, perché bramava di servire unicamente a Dio. Per questo, essendo amico del beato Riccardo, abate di Verdun, fece istanze presso di lui per poter entrare nel suo monastero. Ma l'abate, vedendo il bene che il santo re faceva ai popoli, non glielo permise e S. Enrico inchinò riverente il capo all'ubbidienza, tornando alla reggia. Anche nelle infermità S. Enrico benediceva Dio: così sopportò con esemplare rassegnazione la contrazione di una coscia che lo rese zoppo per tutta la vita. Morì a Grône il 13 luglio del 1024.
PUBBLICATO NEL LUGLIO 2020
SAN PIETRO DA VERONA
La Redazione
San Pietro da Verona nacque alla fine del XII secolo in una famiglia eretica. Continuò gli studi all’Università di Bologna, dove poi entrò nell’Ordine Domenicano, quando San Domenico era ancora in vita. Dal 1236 lo si incontra in tutte le città centro-settentrionali d’Italia come grande predicatore contro l’eresia dualistica, ma Milano fu il campo principale del suo apostolato; le sue prediche erano accompagnate da miracoli e profezie, così molti ritornavano alla vera fede del Vangelo. Papa Innocenzo IV nel 1251 lo nominò inquisitore per le città di Milano e Como. La lotta fu dura e nella domenica delle Palme del 24 marzo 1252 durante una predica, egli predisse la sua morte per mano degli eretici. Gli esecutori furono Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate. Essi prepararono un agguato vicino a Meda dove Pietro, Domenico e altri due domenicani, nel loro tragitto da Como a Milano il 6 aprile 1252 si erano fermati a colazione. Albertino ricredendosi abbandonò l’opera e fu il solo Carino che con un "falcastro", tipo di falce, spaccò la testa di Pietro, immergendogli anche un lungo coltello nel petto; l’altro confratello Domenico ebbe parecchie ferite mortali che lo portarono alla morte sei giorni dopo nel convento delle Benedettine di Meda. Il corpo di Pietro fu trasportato subito a Milano dove ebbe esequie trionfali e fu sepolto nel cimitero dei Martiri. In quello stesso giorno si diffusero notizie di miracoli. Tra queste, la conversione del vescovo eretico Daniele da Giussano che aveva macchinato la sua morte e dello stesso assassino Carino, entrato poi nell’Ordine Domenicano. Il suo culto ebbe grande espansione: artisti furono chiamati a realizzare opere d’arte, come il monumento marmoreo del 1339 del pisano Giovanni Balduccio a Milano e la grandiosa chiesa di Verona detta di Santa Anastasia. È raffigurato con la tonaca domenicana e la ferita sanguinante dalla fronte al capo.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
San Pietro da Verona nacque alla fine del XII secolo in una famiglia eretica. Continuò gli studi all’Università di Bologna, dove poi entrò nell’Ordine Domenicano, quando San Domenico era ancora in vita. Dal 1236 lo si incontra in tutte le città centro-settentrionali d’Italia come grande predicatore contro l’eresia dualistica, ma Milano fu il campo principale del suo apostolato; le sue prediche erano accompagnate da miracoli e profezie, così molti ritornavano alla vera fede del Vangelo. Papa Innocenzo IV nel 1251 lo nominò inquisitore per le città di Milano e Como. La lotta fu dura e nella domenica delle Palme del 24 marzo 1252 durante una predica, egli predisse la sua morte per mano degli eretici. Gli esecutori furono Pietro da Balsamo detto Carino e Albertino Porro di Lentate. Essi prepararono un agguato vicino a Meda dove Pietro, Domenico e altri due domenicani, nel loro tragitto da Como a Milano il 6 aprile 1252 si erano fermati a colazione. Albertino ricredendosi abbandonò l’opera e fu il solo Carino che con un "falcastro", tipo di falce, spaccò la testa di Pietro, immergendogli anche un lungo coltello nel petto; l’altro confratello Domenico ebbe parecchie ferite mortali che lo portarono alla morte sei giorni dopo nel convento delle Benedettine di Meda. Il corpo di Pietro fu trasportato subito a Milano dove ebbe esequie trionfali e fu sepolto nel cimitero dei Martiri. In quello stesso giorno si diffusero notizie di miracoli. Tra queste, la conversione del vescovo eretico Daniele da Giussano che aveva macchinato la sua morte e dello stesso assassino Carino, entrato poi nell’Ordine Domenicano. Il suo culto ebbe grande espansione: artisti furono chiamati a realizzare opere d’arte, come il monumento marmoreo del 1339 del pisano Giovanni Balduccio a Milano e la grandiosa chiesa di Verona detta di Santa Anastasia. È raffigurato con la tonaca domenicana e la ferita sanguinante dalla fronte al capo.
PUBBLICATO NEL GIUGNO 2020
SANT'ANTIMO
La Redazione
Le notizie sulla vita e sul martirio di S. Antimo sono contenute negli Acta S. Anthimi. Cheremone, consigliere in Asia del proconsole Piniano muore tragicamente invaso dai demoni, dopo aver sterminato i cristiani. Il timore di subire la stessa sorte invade Piniano, che si ammala gravemente. La moglie Lucina chiede ad Antimo di curare il marito, il quale convertitosi al cristianesimo guarisce, si fa battezzare e libera i cristiani prigionieri in Asia. Intanto un sacerdote del dio Silvano, invaso dal demonio, uccide con la spada numerose persone convenute, da sacrificare alla divinità pagana. La folla chiede l'intervento di Antimo che scaccia via il demonio, con il sacerdote che si converte. L'esempio è seguito da molte persone che abbattono gli alberi del bosco sacro a Silvano e distruggono gli altari. La popolazione pagana però, si rivolge al governatore perché Antimo venga imprigionato e offra sacrifici al dio Silvano. Antimo rifiuta e viene gettato nel Tevere con un sasso legato al collo: risultato? I pagani lo rivedono vivo, intento a pregare e a benedire; perciò presi dal timore si convertono anche loro. In un secondo momento purtroppo, i pagani trovano il pretesto per imprigionarlo nuovamente e dopo tre giorni di patimenti viene decapitato. La sepoltura di Antimo diviene meta di pellegrinaggi perché le grazie si susseguono. Antimo è sepolto nei pressi di Cures e sul luogo di sepoltura è esistita per molti secoli una chiesa; ancora nel 1584 si presenta ampia, nobile, ma abbandonata. Sarà Carlo Magno a traslare il corpo in Toscana, poi con il consenso di papa Adriano I, avverrà il trasferimento definitivo in località "Castelnuovo dell'Abbate" (Montalcino) dove è ancora presente una magnifica abbazia.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
Le notizie sulla vita e sul martirio di S. Antimo sono contenute negli Acta S. Anthimi. Cheremone, consigliere in Asia del proconsole Piniano muore tragicamente invaso dai demoni, dopo aver sterminato i cristiani. Il timore di subire la stessa sorte invade Piniano, che si ammala gravemente. La moglie Lucina chiede ad Antimo di curare il marito, il quale convertitosi al cristianesimo guarisce, si fa battezzare e libera i cristiani prigionieri in Asia. Intanto un sacerdote del dio Silvano, invaso dal demonio, uccide con la spada numerose persone convenute, da sacrificare alla divinità pagana. La folla chiede l'intervento di Antimo che scaccia via il demonio, con il sacerdote che si converte. L'esempio è seguito da molte persone che abbattono gli alberi del bosco sacro a Silvano e distruggono gli altari. La popolazione pagana però, si rivolge al governatore perché Antimo venga imprigionato e offra sacrifici al dio Silvano. Antimo rifiuta e viene gettato nel Tevere con un sasso legato al collo: risultato? I pagani lo rivedono vivo, intento a pregare e a benedire; perciò presi dal timore si convertono anche loro. In un secondo momento purtroppo, i pagani trovano il pretesto per imprigionarlo nuovamente e dopo tre giorni di patimenti viene decapitato. La sepoltura di Antimo diviene meta di pellegrinaggi perché le grazie si susseguono. Antimo è sepolto nei pressi di Cures e sul luogo di sepoltura è esistita per molti secoli una chiesa; ancora nel 1584 si presenta ampia, nobile, ma abbandonata. Sarà Carlo Magno a traslare il corpo in Toscana, poi con il consenso di papa Adriano I, avverrà il trasferimento definitivo in località "Castelnuovo dell'Abbate" (Montalcino) dove è ancora presente una magnifica abbazia.
PUBBLICATO NEL MAGGIO 2020
PASQUA: MOMENTO DEL PASSAGGIO
di Vittorio Polimeno
Dall'ebraico “pesaḥ” (passaggio), fin dai tempi della liberazione del popolo ebraico avvenuta per mezzo di Mosè, questo termine rievoca fatti grandiosi avvenuti nella storia, non solo degli israeliti, ma anche di tutti i popoli e dei cristiani in particolare. Ed è proprio per i cristiani che questo termine ha un’accezione tutta particolare, quella cioè non di un passaggio simbolico o di un passaggio fisico riferito ad un’azione, bensì del passaggio dei passaggi, quello dalla morte alla vita eterna. Mai come quest’anno questo particolare “credo” che caratterizza ognuno di noi battezzati, è stato così attuale; l’umanità intera sta conducendo una seria battaglia e sembra che il maligno si stia proprio divertendo a vedere il popolo di Dio marto riato, senza la possibilità di recarsi nelle chiese per celebrare la liturgia, senza la possibilità di ricevere Dio nella Comunione. Ogni volta che la storia ci ha proposto una Pasqua, il popolo ha dovuto combattere per liberarsi da qualcosa o da qualcuno. Oggi, nel 2020, noi stiamo conducendo la nostra battaglia e stiamo in qualche modo provando ciò che Cristo ha provato nella sua agonia la notte del Giovedì Santo, nella via che lo ha portato sulla croce e alla morte il Venerdì Santo e nel giorno del lutto il Sabato Santo (aliturgico) dove non si può celebrare, per rispettare il lutto di un Dio che sembrava essere morto, come aliturgici sembrano essere questi giorni. Ma non finisce qui, perchè la Domenica il Signore, sconvolgendo la storia, ha dimostrato che la morte non può vincere chi ha creato la vita.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
Dall'ebraico “pesaḥ” (passaggio), fin dai tempi della liberazione del popolo ebraico avvenuta per mezzo di Mosè, questo termine rievoca fatti grandiosi avvenuti nella storia, non solo degli israeliti, ma anche di tutti i popoli e dei cristiani in particolare. Ed è proprio per i cristiani che questo termine ha un’accezione tutta particolare, quella cioè non di un passaggio simbolico o di un passaggio fisico riferito ad un’azione, bensì del passaggio dei passaggi, quello dalla morte alla vita eterna. Mai come quest’anno questo particolare “credo” che caratterizza ognuno di noi battezzati, è stato così attuale; l’umanità intera sta conducendo una seria battaglia e sembra che il maligno si stia proprio divertendo a vedere il popolo di Dio marto riato, senza la possibilità di recarsi nelle chiese per celebrare la liturgia, senza la possibilità di ricevere Dio nella Comunione. Ogni volta che la storia ci ha proposto una Pasqua, il popolo ha dovuto combattere per liberarsi da qualcosa o da qualcuno. Oggi, nel 2020, noi stiamo conducendo la nostra battaglia e stiamo in qualche modo provando ciò che Cristo ha provato nella sua agonia la notte del Giovedì Santo, nella via che lo ha portato sulla croce e alla morte il Venerdì Santo e nel giorno del lutto il Sabato Santo (aliturgico) dove non si può celebrare, per rispettare il lutto di un Dio che sembrava essere morto, come aliturgici sembrano essere questi giorni. Ma non finisce qui, perchè la Domenica il Signore, sconvolgendo la storia, ha dimostrato che la morte non può vincere chi ha creato la vita.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
SAN RICCARDO DI WYCH
La Redazione
È conosciuto anche come San Riccardo di Wych, perché nacque in questa città, odierna Droitwich nella contea di Worcester verso il 1197, figlio di modesti proprietari terrieri. Pur essendo molto attivo negli studi da ragazzo e giovane, da adulto dovette lavorare duramente nella fattoria, per esigenze familiari. Risoltisi i problemi economici, poté recarsi a studiare all’Università di Oxford, sotto la guida dei futuri vescovi Rich e Grosseteste. Qui nel 1235 fu nominato Rettore dell’Università e il suo antico maestro Edmondo Rich, divenuto arcivescovo di Canterbury, nel 1237 lo volle come cancelliere dell’importante diocesi; qui si distinse nella collaborazione per la riforma del clero. Accompagnò l’arcivescovo nel suo viaggio a Pontigny in Francia e gli fu accanto quando questi morì a Soissy nel 1240: Edmondo gli lasciò in eredità un calice e Riccardo in quell’occasione decise di farsi prete. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1242 a 45 anni, ritornò in Inghilterra e si dedicò come semplice parroco ai fedeli di Charing e Deal nel Kent. Ma subito fu reintegrato come cancelliere della diocesi di Canterbury, dal nuovo arcivescovo Bonifacio di Savoia. Suo malgrado, nel 1244 si trovò al centro della controversa elezione del vescovo di Chichester; Riccardo era il candidato sostenuto dai vescovi e dal partito della Riforma, ma non dal re Enrico III. La contesa fu risolta da papa Innocenzo IV, il quale confermando la scelta di Riccardo di Wych, lo consacrò vescovo nel 1245 a Lione. Riccardo fu un uomo di grande carità, generoso nell’ospitalità, comprensivo con i peccatori e soprattutto prodigo per i colpiti dalla carestia del 1247. Mentre si trovava a Dover per erigere una chiesa in onore del suo antico maestro e vescovo San Edmondo Rich, si ammalò gravemente e morì, il 3 aprile 1253. È venerato come protettore dei cocchieri, forse perché quando lavorava nella fattoria paterna, guidava carri e cavalli.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
È conosciuto anche come San Riccardo di Wych, perché nacque in questa città, odierna Droitwich nella contea di Worcester verso il 1197, figlio di modesti proprietari terrieri. Pur essendo molto attivo negli studi da ragazzo e giovane, da adulto dovette lavorare duramente nella fattoria, per esigenze familiari. Risoltisi i problemi economici, poté recarsi a studiare all’Università di Oxford, sotto la guida dei futuri vescovi Rich e Grosseteste. Qui nel 1235 fu nominato Rettore dell’Università e il suo antico maestro Edmondo Rich, divenuto arcivescovo di Canterbury, nel 1237 lo volle come cancelliere dell’importante diocesi; qui si distinse nella collaborazione per la riforma del clero. Accompagnò l’arcivescovo nel suo viaggio a Pontigny in Francia e gli fu accanto quando questi morì a Soissy nel 1240: Edmondo gli lasciò in eredità un calice e Riccardo in quell’occasione decise di farsi prete. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1242 a 45 anni, ritornò in Inghilterra e si dedicò come semplice parroco ai fedeli di Charing e Deal nel Kent. Ma subito fu reintegrato come cancelliere della diocesi di Canterbury, dal nuovo arcivescovo Bonifacio di Savoia. Suo malgrado, nel 1244 si trovò al centro della controversa elezione del vescovo di Chichester; Riccardo era il candidato sostenuto dai vescovi e dal partito della Riforma, ma non dal re Enrico III. La contesa fu risolta da papa Innocenzo IV, il quale confermando la scelta di Riccardo di Wych, lo consacrò vescovo nel 1245 a Lione. Riccardo fu un uomo di grande carità, generoso nell’ospitalità, comprensivo con i peccatori e soprattutto prodigo per i colpiti dalla carestia del 1247. Mentre si trovava a Dover per erigere una chiesa in onore del suo antico maestro e vescovo San Edmondo Rich, si ammalò gravemente e morì, il 3 aprile 1253. È venerato come protettore dei cocchieri, forse perché quando lavorava nella fattoria paterna, guidava carri e cavalli.
PUBBLICATO NELL'APRILE 2020
SAN GIOVANNI DI DIO
La Redazione
Le vie della santità sono infinite e lo dimostra la vicenda terrena di questo straordinario santo. Juan Ciudad, nato a Montemor-o-novo, presso Evora (Portogallo) l'8 marzo 1495, all'età di otto anni scappò di casa. A Oropesa nella Nuova Castiglia, dove sostò per la prima tappa, la gente, non sapendo nulla di lui, cominciò a chiamarlo Giovanni di Dio. Fino a 27 anni fece il pastore e il contadino, poi si arruolò tra i soldati di ventura. Partecipò prima alla celebre battaglia di Pavia tra Carlo V e Francesco I, poi alla difesa di Vienna; ma chiusa la parentesi militaresca, finché ebbe soldi nel borsello vagò per mezza Europa. Stabilitosi infine a Granata vi aprì una piccola libreria. Fu allora che Giovanni di Dio mutò radicalmente indirizzo alla propria vita, in seguito a una predica del B. Giovanni d'Avila. Giovanni abbandonò tutto, vendette libri e negozio, si privò anche delle scarpe e del vestito, e andò a mendicare per le vie di Granata, rivolgendo ai passanti la frase che sarebbe divenuta l'emblema di una nuova benemerita istituzione: "Fate (del) bene, fratelli, a voi stessi". La carità che la gente gli faceva veniva spartita infatti tra i più bisognosi. Ma gli abitanti di Granata credettero di fare del bene a lui rinchiudendolo in manicomio. Malinteso provvidenziale. In manicomio Giovanni si rese conto della colpevole ignoranza di quanti pretendevano di curare le malattie mentali con metodi degni di un torturatore. Così, appena poté liberarsi da quell'inferno, fondò, con l'aiuto di benefattori, un suo ospedale. Pur completamente sprovvisto di studi di medicina, Giovanni si mostrò più bravo degli stessi medici. La cura dello spirito era la premessa per una proficua cura del corpo. Giovanni di Dio raccolse i suoi collaboratori in una grande famiglia religiosa, l'ordine dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti col nome di Fatebenefratelli. Morì a soli cinquantacinque anni, il giorno del suo compleanno, l'8 marzo 1550. Leone XIII lo dichiarò patrono degli ospedali e di quanti operano per restituire la salute agli infermi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
Le vie della santità sono infinite e lo dimostra la vicenda terrena di questo straordinario santo. Juan Ciudad, nato a Montemor-o-novo, presso Evora (Portogallo) l'8 marzo 1495, all'età di otto anni scappò di casa. A Oropesa nella Nuova Castiglia, dove sostò per la prima tappa, la gente, non sapendo nulla di lui, cominciò a chiamarlo Giovanni di Dio. Fino a 27 anni fece il pastore e il contadino, poi si arruolò tra i soldati di ventura. Partecipò prima alla celebre battaglia di Pavia tra Carlo V e Francesco I, poi alla difesa di Vienna; ma chiusa la parentesi militaresca, finché ebbe soldi nel borsello vagò per mezza Europa. Stabilitosi infine a Granata vi aprì una piccola libreria. Fu allora che Giovanni di Dio mutò radicalmente indirizzo alla propria vita, in seguito a una predica del B. Giovanni d'Avila. Giovanni abbandonò tutto, vendette libri e negozio, si privò anche delle scarpe e del vestito, e andò a mendicare per le vie di Granata, rivolgendo ai passanti la frase che sarebbe divenuta l'emblema di una nuova benemerita istituzione: "Fate (del) bene, fratelli, a voi stessi". La carità che la gente gli faceva veniva spartita infatti tra i più bisognosi. Ma gli abitanti di Granata credettero di fare del bene a lui rinchiudendolo in manicomio. Malinteso provvidenziale. In manicomio Giovanni si rese conto della colpevole ignoranza di quanti pretendevano di curare le malattie mentali con metodi degni di un torturatore. Così, appena poté liberarsi da quell'inferno, fondò, con l'aiuto di benefattori, un suo ospedale. Pur completamente sprovvisto di studi di medicina, Giovanni si mostrò più bravo degli stessi medici. La cura dello spirito era la premessa per una proficua cura del corpo. Giovanni di Dio raccolse i suoi collaboratori in una grande famiglia religiosa, l'ordine dei Fratelli Ospedalieri, meglio conosciuti col nome di Fatebenefratelli. Morì a soli cinquantacinque anni, il giorno del suo compleanno, l'8 marzo 1550. Leone XIII lo dichiarò patrono degli ospedali e di quanti operano per restituire la salute agli infermi.
PUBBLICATO NEL MARZO 2020
GUARIGIONE MIRACOLOSA:
PIERRE DE RUDDER
di Giampaolo Pellicani
È la prima guarigione riconosciuta miracolosa, senza relazione con l’acqua della Grotta. Nel 1867, Pierre ha la gamba fratturata a causa di una caduta da un albero. Conseguenza: frattura aperta delle due ossa della gamba sinistra sulla quale lo colpisce una infezione cancerosa che allontana la minima speranza di consolidamento. L’amputazione consigliata dai medici viene rifiutata più volte. In capo a qualche anno, totalmente impotenti, questi lo abbandonano al suo destino. È quindi in questo stato che, otto anni dopo il suo incidente, il 7 aprile 1875, decide di fare un pellegrinaggio ad Oostaker (Belgio) dove si trova da poco una riproduzione della Grotta di Lourdes. Partito al mattino invalido da casa sua, ne ritorna alla sera senza stampelle e senza piaghe. Il consolidamento osseo si è prodotto in pochi minuti. Una volta superata l’emozione, Pierre de Rudder riprende naturalmente la sua vita normale ed attiva. Viene a Lourdes nel maggio 1881 e muore ventitré anni dopo la sua guarigione, il 22 marzo 1898. Più tardi e per meglio giudicare, sono state riesumate le ossa delle due gambe. Hanno permesso di manifestare la realtà obiettiva della lesione e del consolidamento, come dimostra il calco in gesso di cui dispone il Bureau Médical. Il miracolo è riconosciuto il 25 luglio 1908 da Mons. Gustave Waffelaert, vescovo di Bruges.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
È la prima guarigione riconosciuta miracolosa, senza relazione con l’acqua della Grotta. Nel 1867, Pierre ha la gamba fratturata a causa di una caduta da un albero. Conseguenza: frattura aperta delle due ossa della gamba sinistra sulla quale lo colpisce una infezione cancerosa che allontana la minima speranza di consolidamento. L’amputazione consigliata dai medici viene rifiutata più volte. In capo a qualche anno, totalmente impotenti, questi lo abbandonano al suo destino. È quindi in questo stato che, otto anni dopo il suo incidente, il 7 aprile 1875, decide di fare un pellegrinaggio ad Oostaker (Belgio) dove si trova da poco una riproduzione della Grotta di Lourdes. Partito al mattino invalido da casa sua, ne ritorna alla sera senza stampelle e senza piaghe. Il consolidamento osseo si è prodotto in pochi minuti. Una volta superata l’emozione, Pierre de Rudder riprende naturalmente la sua vita normale ed attiva. Viene a Lourdes nel maggio 1881 e muore ventitré anni dopo la sua guarigione, il 22 marzo 1898. Più tardi e per meglio giudicare, sono state riesumate le ossa delle due gambe. Hanno permesso di manifestare la realtà obiettiva della lesione e del consolidamento, come dimostra il calco in gesso di cui dispone il Bureau Médical. Il miracolo è riconosciuto il 25 luglio 1908 da Mons. Gustave Waffelaert, vescovo di Bruges.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
SAN VALENTINO
La Redazione
La Passione di San Valentino nato a Terni, ci parla di tre nobili ateniesi, Proculo, Efebo e Apollonio giunti a Roma per studiare presso il retore Cratone, maestro di lingua greca e latina; questi aveva un figlio, di nome Cheremone, affetto da una deformità fisica che lo costringeva a stare rannicchiato su sé stesso. Un tale Fonteio, inserito qui nel racconto, dichiara a Cratone che anche un suo fratello a lungo affetto dalla medesima patologia, era stato guarito da Valentino. Cratone, manda allora a chiamare il vescovo e gli promette la metà dei suoi beni. Valentino, in un lunghissimo colloquio notturno gli spiega che non saranno certo le sue ricchezze a guarire il ragazzo, quanto piuttosto la fede nell’unico Dio che lo stesso vescovo adora. Cratone, convinto, promette che si farà battezzare non appena suo figlio avrà riacquistato la salute. Valentino allora si ritira in una stanza dove fa distendere il ragazzo sul proprio cilicio, si immerge nella preghiera per tutta la notte, finché una luce abbagliante avvolge il luogo e Cheremone balza in piedi completamente risanato. Di fronte al miracolo, Cratone e tutta la famiglia si fanno battezzare dal vescovo, così come Proculo, Efebo e Apollonio. Abbraccia il cristianesimo anche Furioso Placido, rappresentante di quella classe senatoria che, almeno nella sua maggioranza, pur dopo l’Editto costantiniano del 313, continuava a seguire gli antichi culti della città; proprio su mandato del Senato, Furioso, arresta Valentino e lo fa decapitare al secondo miglio della via Flaminia, quasi di nascosto, durante la notte, per evitare la reazione della ormai numerosa componente cristiana della città.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
La Passione di San Valentino nato a Terni, ci parla di tre nobili ateniesi, Proculo, Efebo e Apollonio giunti a Roma per studiare presso il retore Cratone, maestro di lingua greca e latina; questi aveva un figlio, di nome Cheremone, affetto da una deformità fisica che lo costringeva a stare rannicchiato su sé stesso. Un tale Fonteio, inserito qui nel racconto, dichiara a Cratone che anche un suo fratello a lungo affetto dalla medesima patologia, era stato guarito da Valentino. Cratone, manda allora a chiamare il vescovo e gli promette la metà dei suoi beni. Valentino, in un lunghissimo colloquio notturno gli spiega che non saranno certo le sue ricchezze a guarire il ragazzo, quanto piuttosto la fede nell’unico Dio che lo stesso vescovo adora. Cratone, convinto, promette che si farà battezzare non appena suo figlio avrà riacquistato la salute. Valentino allora si ritira in una stanza dove fa distendere il ragazzo sul proprio cilicio, si immerge nella preghiera per tutta la notte, finché una luce abbagliante avvolge il luogo e Cheremone balza in piedi completamente risanato. Di fronte al miracolo, Cratone e tutta la famiglia si fanno battezzare dal vescovo, così come Proculo, Efebo e Apollonio. Abbraccia il cristianesimo anche Furioso Placido, rappresentante di quella classe senatoria che, almeno nella sua maggioranza, pur dopo l’Editto costantiniano del 313, continuava a seguire gli antichi culti della città; proprio su mandato del Senato, Furioso, arresta Valentino e lo fa decapitare al secondo miglio della via Flaminia, quasi di nascosto, durante la notte, per evitare la reazione della ormai numerosa componente cristiana della città.
PUBBLICATO NEL FEBBRAIO 2020
BENTORNATA SANTA CESAREA!
di Marcello Ballarin
È il periodo dei trasferimenti. Ogni week – end il bollino si tinge di rosso, con milioni di persone in viaggio. Tra le mete più ambite spicca ormai da anni la nostra Porto Cesareo. Il perché lo ritroviamo nello splendido paesaggio che noi fortunati cittadini possiamo apprezzare quotidianamente: mare cristallino che ci accoglie con le sue ondate rinfrescanti, sabbia ribollente per la quale è sufficiente il riparo di un ombrellone. Un’efficace crema solare, un buon libro o cruciverba di tanto in tanto potrebbe sostituire l’inseparabile I – phone e rilassare la nostra mente. Il numero di abitanti intanto nel mese di agosto si moltiplica in maniera esponenziale per arrivare alla punta massima nel periodo che intercorre San Lorenzo, Ferragosto e Santa Cesarea. Proprio lei diventa l’apice della stagione estiva nella terza settimana. Sono giorni in cui il nostro paese si veste a festa: dal corso principale di Via Garibaldi ornato negli ultimi anni con le più disparate luminarie che di tanto in tanto emanano delle piacevoli canzoni; il lungo mare che accoglie numerosissime bancarelle ornate di vestiti, profumi accattivanti delle varie paninoteche, il richiamo per i più piccoli dei suoni e luci provenienti dallo “Scalo d’Alaggio”, dove si trovano varie tipologie di giostre. Nell’intermezzo alcuni immancabili appuntamenti da non perdere: ad esempio la cuccagna in mare, durante la quale dei volenterosi e coraggiosi atleti cercano di raggiungere il premio finale, dovendo arrampicarsi e mantenere l’equilibrio su un palo legnoso unto di grasso. Il divertimento e le risate sono assicurate! Da tradizione l’immancabile processione in barca con Santa Cesarea e la messa in “Piazza Nazario Sauro”, mentre sullo sfondo il tramonto si prende la scena. E l’ultima sera della festa da mezzanotte in poi i fuochi pirotecnici concludono la piacevole rassegna.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019
È il periodo dei trasferimenti. Ogni week – end il bollino si tinge di rosso, con milioni di persone in viaggio. Tra le mete più ambite spicca ormai da anni la nostra Porto Cesareo. Il perché lo ritroviamo nello splendido paesaggio che noi fortunati cittadini possiamo apprezzare quotidianamente: mare cristallino che ci accoglie con le sue ondate rinfrescanti, sabbia ribollente per la quale è sufficiente il riparo di un ombrellone. Un’efficace crema solare, un buon libro o cruciverba di tanto in tanto potrebbe sostituire l’inseparabile I – phone e rilassare la nostra mente. Il numero di abitanti intanto nel mese di agosto si moltiplica in maniera esponenziale per arrivare alla punta massima nel periodo che intercorre San Lorenzo, Ferragosto e Santa Cesarea. Proprio lei diventa l’apice della stagione estiva nella terza settimana. Sono giorni in cui il nostro paese si veste a festa: dal corso principale di Via Garibaldi ornato negli ultimi anni con le più disparate luminarie che di tanto in tanto emanano delle piacevoli canzoni; il lungo mare che accoglie numerosissime bancarelle ornate di vestiti, profumi accattivanti delle varie paninoteche, il richiamo per i più piccoli dei suoni e luci provenienti dallo “Scalo d’Alaggio”, dove si trovano varie tipologie di giostre. Nell’intermezzo alcuni immancabili appuntamenti da non perdere: ad esempio la cuccagna in mare, durante la quale dei volenterosi e coraggiosi atleti cercano di raggiungere il premio finale, dovendo arrampicarsi e mantenere l’equilibrio su un palo legnoso unto di grasso. Il divertimento e le risate sono assicurate! Da tradizione l’immancabile processione in barca con Santa Cesarea e la messa in “Piazza Nazario Sauro”, mentre sullo sfondo il tramonto si prende la scena. E l’ultima sera della festa da mezzanotte in poi i fuochi pirotecnici concludono la piacevole rassegna.
PUBBLICATO NELL'AGOSTO 2019